Le tavole del ricordo.
Shoah e guerre nelle lapidi ebraiche a Firenze e dintorni
Parte I
«Nel recinto del Tempio»
l’immensità della meta raggiunta non dirò che renda meno vivo il mio dolore, ma certo gli infonde un che di sereno, direi quasi di placato: perché dunque il sacrificio non è stato inutile, se noi vediamo, coi nostri occhi mortali, stabilito sulla terra quel regno della giustizia che finora era nei cieli.80
Questo sentimento patriottico, così saldo da potere dare un senso anche a una perdita tanto atroce, rappresentò senza dubbio una componente decisiva all’interno del comitato e della comunità fiorentina tutta, che infine accolse la proposta di una lapide commemorativa e la realizzò. Ma un’altra urgenza più specificamente ebraica accompagnò in questo caso l’amor patrio, e non meno intensamente sentita: al desiderio di «tramandare ai Posteri la memoria dei nostri Martiri valorosi» si affiancò una forte istanza sionistica, ben presente nella nuova leadership comunitaria, che intendeva dimostrare «coi fatti che il Sionismo può accoppiarsi con sentimenti di ogni nazionalità». La lapide avrebbe quindi dovuto assolvere a compiti molteplici: suscitare «la riconoscenza indelebile delle famiglie dei Caduti, le lodi indiscusse della generalità» e tenere alto infine il «decoro» di tutti gli ebrei.81
Questi contenuti confluirono insieme nel testo dell’epigrafe, collocata significativamente nell’atrio del Tempio (Fig. 4), che così recitava:
CADDERO DA PRODI SOLDATI D’ITALIA
NELLA GUERRA CHE FU PROCLAMATA
DI LIBERTA’ PER TUTTE LE GENTI
CONFERMANDO DOPO VENTI SECOLI
L’ANTICO VALORE DEI MACCABEI
LA COMUNITA’ EBRAICA DI FIRENZE
CELEBRANDO L’AUSPICATA VITTORIA
NEL GIORNO ATTESO DALLA FEDE DEI PADRI
INNEGGIANDO AL RISORGENTE ISRAELE
MEMORE RICONOSCENTE RIEVOCA
I FIGLI CHE SACRARONO IL LORO SANGUE
PER L’AVVENTO DI UN’ITALIA PIÙ GRANDE
D’UN ISRAELE LIBERO E UNITO
DI UN’UMANITA’ MIGLIORE E PIÙ PURA.82
Nel testo della lapide come nella cerimonia di inaugurazione, che si tenne infine domenica 9 maggio 1920, si intrecciavano non solo il codice patriottico con quello religioso, iscritti entrambi in quel culto dei «martiri caduti», «capitolo essenziale del processo di nazionalizzazione»83, ma anche il nazionalismo con il sionismo. I ventiquattro «martiri» ebrei fiorentini della Grande Guerra venivano presentati con un certo orgoglio «dopo venti secoli come gli eredi dell’antico valore guerriero dei Maccabei» e allo stesso modo «l’avvento di un’Italia più grande» veniva congiunto strettamente a un «risorgente Israele».
Era questa la Firenze in cui si consumò, proprio nell’anno della lapide − il 1920 − l’esperienza del "Comune ebraico”, che aveva alle spalle figure importanti come il rabbino di origine galiziana Samuel Hirsch Margulies (1858-1922), che fin dai primi del secolo nel suo lungo magistero fiorentino aveva instancabilmente operato per il risveglio ebraico creando un circolo di discepoli che raccolsero e diffusero la sua eredità spirituale.84 Tra questi c’era il giovane leader dei sionisti fiorentini, l’avvocato Alfonso Pacifici fautore «dell’idea dell’assoluta unità di Israele», compiuta e armonica unione fra identità religiosa e sionismo nazionale, che significava: «un ritorno completo all’ebraismo, ritorno integrale, attivo, cosciente e travolgente alla vita intera della Torah, tramite il suo studio, l’attuazione dei suoi precetti e il ritorno a Sion».85
Tuttavia questo recupero dell’«ebraismo integrale» proposto dai sionisti, invece di unire, era destinato a creare fratture dagli «effetti dirompenti per l’identità ebraico-italiana»86, che si manifestarono subito anche a Firenze. Nel 1919 erano stati eletti nel Consiglio della comunità allievi di Margulies di spiccate tendenze sionistiche, espresse chiaramente come si è visto, anche nella lapide del 1920. Ma si trattò di un’esperienza innovativa destinata a durare poco, dato che gli avversari dei giovani sionisti − espressione del notabilato ebraico tradizionale − si rivolsero non senza un certo astio al correligionario Lodovico Mortara, ministro della Giustizia e degli Affari di culto, protestando contro i mutamenti introdotti. Pur nel corso della crisi ministeriale che avrebbe portato alla fine del suo impegno nel governo, Mortara accolse le proteste antisioniste e si giunse così all’intervento del prefetto che il 20 maggio 1920, a soli undici giorni dall’inaugurazione della lapide, sciolse d’autorità il consiglio dell’Università Israelitica di Firenze e nominò un commissario straordinario.87
L’epigrafe ai caduti di carattere sionista tuttavia rimase sotto il porticato del Tempio dove ancora si trova, a segnalare la raggiunta consapevolezza ebraica di una doppia appartenenza. Se dunque per la maggioranza degli italiani il sangue versato in battaglia diveniva simbolo sacro di rigenerazione della patria, per gli ebrei il «sacrificio» diventava ancipite e le patrie da sacralizzare erano due: l’Italia ma anche quell’«Israele libero e unito» che la lapide evocava. Negli anni Venti il sionismo era poco più di un’aspirazione − e nel nostro paese per giunta minoritaria − ma i suoi esiti erano destinati a svilupparsi in una misura allora davvero inaspettata.
3. La fonte perenne
Nel corso degli anni Venti «la ferrea volontà della grandiosa costruzione»88 mussoliniana convinse anche molti ebrei, e tra questi anche gran parte dei membri della leadership della comunità ebraica fiorentina, soprattutto dopo le elezioni del novembre 1926 di netta «colorazione fascista». Come constatò impotente il Consorzio, faceva entrare «la politica anche nelle Università [israelitiche], che invece sono essenzialmente enti di culto».89 La fascistizzazione della comunità fiorentina era andata così avanti che nell’aprile del 1927, quando il giornale «La Tribuna» sferrò un attacco al periodico sionista «Israel» e ad Alfonso Pacifici, la frattura del mondo ebraico si rivelò in tutta la sua drammaticità. Il presidente della Comunità infatti non esitò a scrivere al direttore della «Tribuna» per «altamente deplorare» l’operato del correligionario sionista Pacifici e per rassicurare l’opinione pubblica: «la grandissima maggioranza» degli ebrei fiorentini era «non solo estranea, ma anzi nettamente contraria alle tendenze sionistiche ed internazionalistiche manifestate dal suddetto avvocato e da pochissimi suoi seguaci», come del resto le recenti elezioni di molti consiglieri fascisti «devoti al Duce» avevano dimostrato e dimostravano.90 Le tensioni in seno all’ebraismo italiano lungi dal placarsi si moltiplicarono fino a provocare le dimissioni del presidente della comunità di Firenze, colonnello Raffaello Gallichi, evidenziando con chiarezza l’inconciliabilità fra sionismo e appartenenza nazionale fascista.
Molte erano state nel frattempo anche le trasformazioni all’interno del regime. Tra le altre si era modificata la memoria della prima guerra mondiale e la fisionomia stessa dei caduti si era indirizzata verso una risoluta fascistizzazione: «la legittimazione storica del regime e la formulazione di una sua religione civile si costruirono sull’affermazione di una continuità tra esperienza della guerra ed esperienza fascista».91 La "rivoluzione fascista” si imponeva dunque come autentico compimento della Grande Guerra: «continuazione della guerra lunga ed eroica conchiusa e suggellata epicamente con la vittoria di Vittorio Veneto».92 In tal modo accanto ai nomi dei soldati caduti si aggiunsero ben presto su monumenti, cimiteri militari, parchi della Rimembranza anche i nomi (o le salme) dei «martiri» fascisti morti negli scontri squadristici del primo dopoguerra.93
Proprio nel clima teso ingenerato dalle forti tensioni interebraiche e antisioniste del biennio 1926-1927, il Consiglio della comunità fiorentina, per evidenziare maggiormente la propria caratterizzazione in senso fascista, predispose la posa di una nuova epigrafe per i caduti ebrei della prima guerra mondiale, che doveva prendere le distanze da quella filosionista del 1920, sottolineare la continuità fra Grande Guerra e "rivoluzione fascista” e ribadire la propria attiva fedeltà alle scelte ideologiche del regime. La nuova lapide doveva essere «un rinnovato segno in memoria degli Ebrei fiorentini caduti in guerra e per la causa fascista, […] riconsacrando la sua devozione a chi è Duce della patria».94
Questa «devozione» a Mussolini si concretizzò in un nuovo monumento progettato dallo stesso presidente commissionario della Comunità, il letterato e artista Guglielmo Vita che negli stessi anni in un suo scritto di tono semiserio, insieme con le molte ramanzine contro il cattivo gusto degli «arricchiti»95 e le «sciocchezze dei pittori avveniristi»96 suoi contemporanei, aveva anche espresso una propria precisa estetica intorno a quel «turbine di monumenti, targhe, lapidi, urne che si era scatenato sulla patria»97 dopo la vittoria. Vita era irriducibilmente avverso a tutti quei monumenti ai caduti che rappresentavano «nudi eroi sorretti dalle prosperose vittorie», così come era contrario a raffigurare «Romani combattenti coi mulini a vento, o gladiatori morenti, irate anatomie, sgonnellati angeli, millenari emblemi: aquile e leoni, tripodi e festoni, scudi e medaglioni».98
Con gusto forse non del tutto estraneo all’antico divieto religioso ebraico di effigiare la divinità, ben più dei «bronzi petulanti» di «un’arte mezzana, che si adorna con ugual sorriso lusingatore per la tomba come per la scena», Vita affermava di prediligere «le semplici pietre coi soli nomi dei caduti» capaci di per sé di «commuovere e fiammeggiare»,99 oppure la stilizzazione di un «tempietto snello, nel cui centro una fonte mormorava sommessa e perenne».100 Dunque il nuovo monumento ai caduti ebrei fiorentini che Vita progettò si conformò del tutto a questi intendimenti estetici e il risultato fu una semplice fonte di pietra, il cui bacile appoggiato su una colonna sosteneva il monumento, composto di tre lapidi centinate la cui forma stondata potrebbe richiamare l’iconografia delle tavole mosaiche (Fig. 5). Le lastre ai lati contenevano i soli nomi dei caduti (quattordici per ciascuna) e quella centrale recava la seguente scritta:
QUESTA PERENNE FONTE
SIA
PERENNE SACRA MEMORIA
DEGLI EBREI FIORENTINI
CADUTI PER LA GRANDEZZA DELLA PATRIA
1915-1920101
La cerimonia di inaugurazione del cippo si svolse il 16 dicembre 1928, preceduta da un’altra polemica fra i sionisti di «Israel» e il consiglio promotore dell’iniziativa. I sionisti disapprovarono il nuovo monumento ai caduti come un inutile «duplicato», che avrebbe solo «svalutato» la lapide posata otto anni prima. Inoltre giudicarono come «superfluità la fontana, nel suo gramo simbolismo, utilissima in Terra d’Israele, provvidenza agli assetati» ma poco opportuna a Firenze. Tuttavia per «Israel» il punto veramente dolente della nuova lapide era la scomparsa dell’ideale sionista di «un Israele libero e unito» per cui «i figli della Comunità avevano sacrato la loro vita» e che ora veniva del tutto rinnegato.102
In realtà l’autentica novità fascista della nuova epigrafe − su cui peraltro neppure «Israel» trovò nulla da ridire − stava nell’aver aggiunto il nome del «martire fascista» ebreo Gino Bolaffi all’elenco dei correligionari caduti nella prima guerra mondiale.103 Era la presenza di Bolaffi a qualificare la nuova lapide ribadendo con forza tanto la continuità fra Grande Guerra e regime quanto l’incrollabile fede fascista della leadership ebraica fiorentina, che ambiva identificarsi con il "martire” «che cadde per voler l’Italia nuovamente fatta salva colla rivoluzione fascista»104 (Fig. 6).
Non mancarono neppure attriti fra il presidente Vita e il rabbino Elia Artom, che si era lamentato per «il modo non riguardoso» con cui la presidenza lo aveva trattato e che infine decise di non partecipare alla celebrazione.105 Ma le divergenze con l’autorità rabbinica non preoccuparono più di tanto il presidente Vita, che realizzò una cerimonia impeccabile dal punto di vista della riuscita politica incassando anche gli auspici dell’Università di Firenze, dove Bolaffi aveva studiato,106 e la piena approvazione del prefetto.107 Soprattutto giunsero le congratulazioni del re e di Mussolini, entrambi ovviamente informati ufficialmente dell’iniziativa.108 L’orazione tenuta da Vita per l’occasione si distinse invece per un tono moderato, meno punteggiato di spunti politici, non privo di accenti spirituali e di una commossa rievocazione di quegli «adolescenti volti che vedemmo partire ma non vedemmo tornare».109
Tra «gli adolescenti volti» figurava appunto anche il giovane Bolaffi, morto a ventitré anni. Pur essendo stato «volontario di guerra nel 19° artiglieria»,110 il giovane ebreo che veniva accomunato ai «caduti per la patria» della lapide, non era morto al fronte bensì a Firenze il 7 novembre 1920 nei violenti scontri di piazza tra l’"Unione Politica Nazionale” − coalizione di conservatori nazionalisti e fascisti che aveva appena vinto le elezioni amministrative − e i «sovversivi» comunisti e socialisti. Due uomini avevano trovato la morte in quella truce giornata: il ragioniere ventottenne Guido Fiorini e il giovane laureato in giurisprudenza Gino Bolaffi,111 immessi entrambi da subito nel martirologio ufficiale del fascismo anche se, secondo quanto attestato da uno dei fondatori del Fascio fiorentino, «i fascisti Fiorini e Bolaffi [erano] appartenenti però anche al partito liberale; ciò allora era permesso dal Fascismo non ancora divenuto partito».112
In ogni caso anche se non fu uno squadrista (forse neppure un attivista), Bolaffi immediatamente dopo «il barbaro delitto»113 entrò a pieno titolo nel pantheon fascista dei morti per la «Causa», commemorato insieme con Fiorini come esempio di quel «primo Martirio» che avrebbe guadagnato al Fascio fiorentino di combattimento «la conquista di un primato di potenza nell’Italia intera».114 Fin dai primi anni Venti il giovane Bolaffi, di cui peraltro nella pubblicistica coeva non viene mai ricordata l’appartenenza ebraica,115 occupò un posto d’onore nella liturgia fascista del culto dei caduti, «segnale della Fiamma ch’arde sulla Nazione intiera». Il sacrificio della sua giovane vita e il sangue versato, insieme con quello degli altri «martiri», alimentavano simbolicamente la rinascita della nazione. Bolaffi e Fiorini, «sacrificati sull’altare della Patria» nello stesso giorno divennero entrambi
le immense ombre dei due Grandi Scomparsi [che] offuscarono d’allora il Sol dell’Avvenire, e riprendeva all’alba di quella tragica notte, a irradiarsi il Sole d’Italia […]. Tutta questa luminosità era chiazzata del sangue sempre rinnovato, dei cari Morti, ma splendeva e la luce si rifletteva rossastra, ammonendo gli assassini.116
L’inserimento di Bolaffi nella nuova lapide rappresentò solo una delle tappe − seppur l’unica in ambito ebraico − della crescente popolarità acquisita a livello cittadino dal giovane «martire fascista» per tutti gli anni Trenta.117 A seguito della riorganizzazione del PNF nel 1929, quando fu prevista la costituzione (facoltativa) da parte dei segretari federali dei circoli rionali, il Gruppo Rionale Fascista fondato a Settignano fu intitolato proprio a Gino Bolaffi.118 Nella sede dello stesso Gruppo Rionale nel giugno 1934 al suono delle fanfare che scandivano Giovinezza, fu inaugurato un busto di bronzo in onore del «glorioso Caduto», alla presenza della sua famiglia, del segretario federale e del commissario governativo della Comunità Israelitica di Firenze, Bettino Errera.119
Ma il momento più alto nel culto dei «martiri della Rivoluzione fascista», anche per l’ebreo Bolaffi giunse il 28 ottobre 1934, quando si tenne a Firenze, nel dodicesimo anniversario della marcia su Roma, «l’altissimo rito» della traslazione delle trentasette salme dei «gloriosi Caduti» da tumularsi nel «Sacrario» allestito nella cripta della Basilica di Santa Croce.120 La cerimonia in onore degli squadristi fiorentini, a cui la presenza di Mussolini e Starace conferì un’importanza nazionale, fu preparata con cura in ogni dettaglio:121 la composizione rigidamente gerarchizzata del corteo, la scenografia, l’imposizione del silenzio rotto solo da canti fascisti alternati a raffiche a salve, l’ossequio al labaro (giunto appositamente da Roma) fino al rito centrale dell’appello dei morti, «rito fascista per eccellenza», che celebrava solennemente «il vincolo sacro fra morti e vivi congiunti nella vitalità della fede».122
Per meglio marcare il peso e la grandiosità della manifestazione il «Bargello», settimanale della Federazione fiorentina dei Fasci di combattimento, uscì con un’edizione speciale a trentasei pagine «dedicata ai Caduti per la Rivoluzione Fascista», che strinse in una sola celebrazione tanto le imprese dello squadrismo fiorentino della "vigilia”, rievocate negli epici racconti dei protagonisti, quanto l’esaltazione in funzione propagandistica di iniziative e progetti sul territorio. In primo piano comparvero così le bonifiche nella piana; le «nuove opere» cittadine (lo stadio e la stazione di Santa Maria Novella); il risanamento del quartiere popolare di Santa Croce; l’«assistenza per il popolo»: mensa popolare, befana fascista, colonie estive, dispensari antitubercolari.123 Anche in occasione della cerimonia si confermava il paradigma narrativo fascista dominante: il glorioso passato dello squadrismo attraverso il sangue e il sacrificio dei propri «martiri» garantiva un presente entusiasmante fatto di positivi rinnovamenti e di intensa laboriosità, capace di proiettarsi, grazie al regime e al suo capo, in un futuro grandioso che attendeva tutti e a tutti prometteva benefici. Gli ebrei fascisti fiorentini aderirono con entusiasmo e commozione al grande «rito di Firenze»:
vi abbiamo portato a spalla, noi squadristi della vecchia guardia del Fascismo Fiorentino, o Compagni, caduti accanto a noi nelle vie e nelle piazze di Firenze negli anni della liberazione […]. Fra i Martiri, l’Ebreo Gino Bolaffi. Fra noi, vivi, altri ebrei a tutti gli altri fraternamente uniti nella vita e nella morte senza distinzione di fede religiosa.124
Sempre in omaggio a Gino Bolaffi, nello stesso giorno della cerimonia del «Sacrario» fu officiata anche una celebrazione supplementare allestita nel giardino del Tempio e organizzata dagli «ebrei fascistissimi», divenuti accesi sostenitori del giornale «La Nostra Bandiera» fondato pochi mesi prima a Torino, «espressione degli Italiani combattenti e fascisti di religione ebraica».125 I «camerati fiorentini» Guglielmo Vita, Piero Chimichi, Goffredo Passigli e altri andarono a deporre davanti alla fonte marmorea dei caduti − quella inaugurata sei anni prima in cui si riconoscevano pienamente − «una corona di lauro con bacche d’oro sormontata da un fiocco tricolore», salutando solennemente il martire Bolaffi con «l’austero e fiero gesto del saluto romano».126 Non mancarono neanche in questa occasione così spettacolare contrasti interebraici prodotti dall’intransigenza fascista dei bandieristi fiorentini che polemizzarono tanto con i sionisti di «Israel», accusati di «non avere pubblicato una riga sulla storica e austera adunanza fascista»,127 quanto con i vertici della comunità, di cui i "fascistissimi” deprecarono l’assenza e il disinteresse, rilevando che le onoranze al «martire» Bolaffi erano state quasi esclusivamente una loro iniziativa.128
All’appello dei martiri fu scandito anche il tuo nome, Gino Bolaffi. Le milizie ed il popolo hanno risposto: Presente! In questo coro una voce è mancata: quella della Comunità a cui tu appartenevi. Ma quale preghiera è risuonata per te, Gino Bolaffi, nel Tempio e nel linguaggio della tua fede? Quale gesto, quale atto è stato compiuto in tuo ricordo? Il Capo spirituale ed il Capo amministrativo della Comunità non compresero la storicità del rito celebrato, non l’umanità e la poesia del gesto fraterno. Gino Bolaffi! Non dolerti troppo di questi pochi assenti. Siam già molti noi, e ben più saremo domani.129
I bandieristi rivendicarono di avere chiesto per tempo, «dieci giorni avanti la celebrazione», ai vertici della comunità ebraica fiorentina di partecipare ben più attivamente alla «solenne onoranza» con «cerimonie religiose al Tempio, alla fontana dei Caduti ed al Cimitero» invitando le scuole e «rendendo così tangibile la spirituale partecipazione della Comunità allo storico evento».130 Invece questi suggerimenti, secondo i bandieristi, erano stati del tutto disattesi. Tuttavia gli «amari rilievi e le considerazioni» sullo scarso entusiasmo dei correligionari vennero infine messi da parte «per non sminuire il significato dell’omaggio reso alla memoria di Gino Bolaffi e degli altri gloriosi Caduti della Rivoluzione».131
Se la polemica almeno in parte si attenuò, in realtà fu anche merito della diplomatica accortezza dell’avvocato Bettino Errera, regio commissario della comunità. A cose fatte ringraziò pubblicamente i bandieristi fiorentini per la corona da loro posata dinanzi alla fonte in omaggio «al nome purissimo del martire fascista Gino Bolaffi». Non mancò peraltro di fare notare con discrezione come anche lui avesse fatto la sua parte nella cerimonia «facendo spargere fiori sulla stessa fontana, ai piedi della stele commemorativa», prova sufficiente dei sentimenti fascisti degli ebrei della comunità.132 Tuttavia si trattò di un armistizio che avrebbe avuto vita breve, poiché il contrasto interno alla comunità era destinato a crescere ancora.
4. Omaggio all’Impero
Nei successivi anni Trenta, come descritto dalla storiografia sul tema, in concomitanza con il paese, proseguì intensamente anche la fascistizzazione dell’ebraismo italiano, favorita tanto dall’appartenenza di molti ebrei alla pubblica amministrazione, dove era esplicitamente richiesta la fedeltà al regime, quanto dalla «presa di distanza di Mussolini dalla campagna antiebraica varata da Adolf Hitler»,133 che ebbe sulle comunità italiane un effetto assai rassicurante. Non estranee a questo processo di adesione crescente al regime furono anche le spinte accentratrici e autoritarie insite nella legge «irregimentatrice»134 della compagine ebraica varata nel 1930, che riformava l’ordinamento delle comunità: in cambio di una «tranquillizzante dichiarazione ufficiale di "diritto all’esistenza”»,135 queste perdevano in sostanza la loro secolare autonomia, che peraltro rimpiansero solo in pochi.136
Nei primi mesi del 1934 la concomitanza di una campagna antisionista del regime e nel marzo dello stesso anno gli arresti a Torino di antifascisti di "Giustizia e Libertà”, di cui molti erano ebrei, aprì una nuova campagna antisemita nei settori fascisti più intransigenti.137 Se in questa occasione «il regime nel suo complesso non raccolse la sollecitazione a porre agli ebrei, e soprattutto ai sionisti, una scelta irrevocabile, il mondo ebraico si vide sottoposto a un attacco senza precedenti»,138 che comportò anche una crisi interna con lacerazioni e conflitti di breve durata ma davvero aspri, dato che le leggi razziali, ancorché inaspettate, erano ormai a ridosso. Stretti attorno alla «Nostra Bandiera», gli ebrei "fascistissimi” continuarono a scontrarsi con i sionisti contendendosi a livello nazionale la leadership dell’Unione − nuova istituzione prevista dalla legge del 1930 − che, a sua volta, si trovò sempre più schiacciata fra opzioni contrastanti, incalzata di volta in volta da bandieristi, sionisti, istanze governative e un antisemitismo ancora allo stato di frangia estremistica ma sempre più agguerrito.
In questo clima molti ebrei si sentirono chiamati a ridefinire la propria identità, in parecchi casi ribadendo con forza una sentita adesione all’Italia e al fascismo, ma «proprio sulla natura di questa adesione, sui suoi limiti e le sue forme anche esteriori, si consumò lo scontro politico» all’interno delle comunità italiane.139 Così per ribadire energicamente la loro fede nel regime e nel duce, gli ebrei fascisti disprezzavano e condannavano ogni comportamento pubblico che recasse detrimento alla loro univoca italianità: le bandiere bianco-azzurre dei sionisti, il salutarsi «ostentamente con la parola Scialom […], bella soltanto se letta nei testi sacri», «l’uso di adoprare, frammiste al comune linguaggio, parole ebraiche o peggio deprecabili termini dei vecchi "gerghi”».140 Desideravano che i loro dirigenti nei comportamenti pubblici cambiassero radicalmente stile, abbandonassero le cautele, le «vecchie abitudini quietistiche e chiocciolose [sic!]»; «non distinguersi, non farsi notare» non era più una virtù.
Noi siamo invece dell’avviso che bisogna distinguersi, tra i migliori cittadini. La grande maggioranza degli ebrei italiani è sempre stata veramente italiana, nel Risorgimento, nella Grande Guerra, nella Rivoluzione Fascista, come lo è oggi nei ranghi del Regime affrontando la prova della guerra in A.O. e la resistenza [...].
Per questo l’invito [è] far largo ai giovani, allo spirito giovanile, non accomodante, cui ripugnano gli acrobatismi diplomatici e le abilità opportunistiche; che ama l’aria pura e gli atteggiamenti coraggiosi e franchi e squisitamente, genuinamente fascisti ed ha un significato ed è per noi un’insegna di battaglia.141
La battaglia «genuinamente fascista» contro la leadership dell’Unione infatti continuò nel gennaio del 1937 con la costituzione da parte dei bandieristi del "Comitato degli italiani di religione ebraica”. Non ci furono risultati sul piano politico, dato che in piena campagna razziale Mussolini non intendeva certamente «attuare un cambio di uomini e di linea politica ai vertici di quell’organismo»,142 ma si lacerò ulteriormente il tessuto dell’ebraismo italiano.
Anche nella comunità fiorentina la crisi, già esplicita fin dai tempi della Fonte dei Caduti, si aggravò con il progredire del conflitto interno fra ebrei sionisti di «Israel», che proprio a Firenze aveva sede, ed ebrei "fascistissimi” membri del Comitato, sempre più impegnati nella battaglia per la leadership comunitaria. Alla guida dell’ente fiorentino in effetti i bandieristi arrivarono nel maggio 1937, quando vinsero le elezioni e Bettino Errera, commissario governativo dal 1934, lasciò la presidenza del Consiglio comunitario al commendator Goffredo Passigli, autorevole industriale proprietario di un calzificio e membro fra i più intransigenti del fascismo ebraico.143
Al momento della conquista dell’Impero, l’adesione degli ebrei fascisti alla politica coloniale mussoliniana, come era da aspettarsi, era stata piena e incondizionata, all’insegna della «dedizione più assoluta, più illimitata, più fervida alla causa della Patria».144 Con identico slancio molti ebrei nazionalisti risposero anche alle iniziative antisanzioniste, allo scopo di «assicurare il trionfo nazionale contro l’infame congiura delle potenze ricche, monopolizzatrici delle ricchezze del mondo, ai danni dell’Italia proletaria e fascista».145 A conquista avvenuta, quando nel maggio 1936 fu proclamato l’Impero dai colli di Roma, fierezza, entusiasmo, devozione al re e al duce, «artefice ammirato del superbo successo»,146 furono espressi dai bandieristi con molte manifestazioni di esultanza, che coinvolsero quasi tutte le comunità italiane e persino gli ebrei dell’Asmara.
Firenze non fece eccezione. Ci furono estemporanei festeggiamenti "privati”, come quello che vide, il giorno dopo l’annuncio della vittoria, Goffredo Passigli guidare i dipendenti del suo calzificio in corteo per deporre corone di lauro: una al Monumento ai Caduti della Grande Guerra e un’altra alla Cripta dei Caduti Fascisti in Santa Croce.147 Ma ebbe luogo anche a Firenze, ancora nel giardino della sinagoga, un’iniziativa ben più solenne: la seconda posa di un cippo con lapide a opera dello stesso comitato promotore che aveva già realizzato la Fonte dei Caduti nel 1928. Anche in questa occasione il disegno del monumento fu opera di Guglielmo Vita: intendeva dare un «segno imperituro che ancora una volta affermi il devoto nostro amore per la Patria».148 Per raccogliere i fondi il comitato promosse una «sottoscrizione popolare» fra i membri della comunità che raggiunse una «cifra veramente insperata di quote e di firme»149 (Fig. 7).
Questa volta il monumento non fu dedicato ai caduti, anzi sui morti di questa guerra coloniale − pochi o tanti che fossero − nei discorsi ufficiali non fu spesa nemmeno una parola, sia perché molto probabilmente non morirono ebrei fiorentini in Africa Orientale, sia soprattutto perché, anche al di là della minoranza ebraica, ambiguità e reticenze circondarono le morti dei nostri soldati in quella guerra, soldati che sul piano delle politiche della memoria e del mito del «martirio» ricevettero assai meno dei caduti in altre guerre italiane.150 Per la verità alla cerimonia fiorentina non si parlò nemmeno dei soldati rimasti vivi: non un cenno a quel mezzo milione di combattenti e operai militarizzati che in guerra erano andati e avevano combattuto. Parimenti non meritò una menzione neanche la «camicia nera fiorentina» Alfredo Melli, arruolatosi volontario con la 221 a Legione, correligionario che sul fronte africano si era distinto per «sprezzo del pericolo in un’azione».151 Il «ricordo marmoreo» e la liturgia della cerimonia si concentrarono invece programmaticamente sulla celebrazione della conquista più che sui soldati che l’avevano resa possibile. Soprattutto la ritualità e le retoriche cerimoniali si focalizzarono sul duce, il «fondatore dell’Impero», e sulla «grandiosa impresa africana e la civiltà che Egli ha fondato».152 In tal modo il guadagno imperiale per tutta la nazione era "fascisticamente” inteso come opera di un uomo solo.
Nel giardino della sinagoga la «vibrante cerimonia» dell’inaugurazione ebbe luogo domenica 3 gennaio 1937. Il monumento che si scoperse consisteva in un cippo che recava la «fatidica data» della proclamazione dell’Impero, «9 Maggio 1936 − Anno XIV E.F.» a cui sottostava, come una firma, la scritta «La Comunità Israelitica». A sua volta il cippo era sormontato da un arco di marmo su cui campeggiava una frase lapidaria di Mussolini: «L’Italia ha finalmente il suo Impero. M»153 (Fig. 8).
Alla cerimonia parteciparono molte autorità civili e militari, carabinieri, vigili, rappresentanti di gruppi rionali; anche Alessandro Pavolini, «l’intellettuale squadrista»,154 non fece mancare la sua adesione sia pure per iscritto. Fu questa una delle ultime cerimonie in cui l’ebraismo fiorentino partecipava alla vita civile e politica del regime insieme con tutti gli altri italiani: di lì a poco la segregazione sancita dalle leggi razziali avrebbe spezzato i vincoli fra maggioranza e minoranza e incrinato per sempre la fiducia dell’appartenenza.
Ma qualche traccia di relazioni difficoltose, almeno un’eco dell’ostilità che la campagna antisemita stava rovesciando sul paese − un’inquietudine − doveva pur attraversare il contesto comunitario ebraico, se persino nella trionfalistica cerimonia bandierista il rabbino Abramo Arturo Uzielli sentì l’obbligo di comprovare l’italianità dei correligionari, dedicando gran parte della sua orazione a dimostrare l’esistenza di un felice legame fra l’antica Roma e gli ebrei, tanto apprezzati da Cesare e Augusto e ribadendo, quasi come per rassicurarsi, che «all’illuminatissimo Duce nostro [è] ben noto che gli eterni principi dell’Ebraismo [...] ben s’accordano e corrispondono ai principi etici che stanno alla base dello stato fascista».155
Al contrario di questi auspici, proprio nel corso del 1937, il regime si avviava con decisione a varare l’antisemitismo di Stato: sulla "questione ebraica” crebbe una campagna antisemita virulenta, «programmata e sistematica»156 che, già in corso fin dall’autunno dell’anno precedente, divenne sempre più martellante e nel 1938 approdò infine all’emanazione di leggi razziali rigorose e pervasive. Gli ebrei italiani furono colti per lo più di sorpresa: il divorzio proclamato unilateralmente da un regime che molti avevano amato portò a ulteriori dissesti identitari, accresciuti dall’indifferenza con cui la maggioranza degli italiani reagì alla segregazione della minoranza ebraica, al suo progressivo isolamento e al peggioramento delle sue condizioni di vita.
Uno degli esiti delle leggi antisemite fu l’accentuarsi ulteriore della spaccatura interna fra ebrei filofascisti ed ebrei sionisti. A Firenze, dove i bandieristi erano pervenuti alla dirigenza della comunità, si ebbe perfino un episodio di violenza: il 15 novembre 1938 a poche settimane dai decreti antisemiti, un gruppo di ebrei fascisti − due dei quali membri del nuovo consiglio comunitario − con una vera e propria azione squadristica devastarono la tipografia Poligrafica di via San Gallo dove «Israel» veniva stampato.157 Si trattò di una pesante quanto inutile dimostrazione di fedeltà alle autorità, che peraltro procedettero pochi giorni dopo alla soppressione del giornale e iniziarono a disporre capillarmente restrizioni e spoliazioni previste dalle leggi antisemite e dalle numerose circolari applicative, in vigore ben oltre la caduta del regime il 25 luglio 1943. Dopo la parentesi badogliana, a partire dall’8 settembre quando si aprì per gli ebrei, dopo la "persecuzione dei diritti”, la nuova fase della "persecuzione delle vite”, nessuna passata fedeltà al fascismo poté fare da baluardo agli ebrei "fascistissimi” in nessuna parte nell’Italia occupata, e anche a Firenze le cose andarono nello stesso modo. Per Auschwitz, insieme a molti altri, partirono anche i bandieristi: lo stesso presidente della comunità fiorentina Goffredo Passigli con due dei suoi figlioli e due dei cinque assalitori della tipografia di «Israel». Nessuno di loro fece ritorno.158
La lapide del trionfo imperiale non c’è più oggi nel giardino della Sinagoga: è stata rimossa dopo la liberazione di Firenze, sentita allora come un’eredità sgradita e grottesca.
5. Tutti gli sventurati fratelli
Mentre una decisa quanto inedita visibilità della Shoah, tra la fine degli anni Novanta e gli anni Duemila diventava un fenomeno transnazionale in tutto il mondo occidentale, nel giardino della Comunità ebraica fiorentina, ancora altre epigrafi venivano posate. In particolare nel 2003 si inaugurò una seconda lapide in memoria degli ebrei deportati da Firenze (Fig. 9). A distanza di circa cinquant’anni dalla vecchia lapide del 1951, il Consiglio della comunità volle impegnarsi a integrare l’elenco dei deportati e fu deciso di farlo non con una semplice aggiunta di nomi, ma con un nuovo monumento che fu infine realizzato in travertino scuro, concepito come «un muro, il frammento di una parete lapidea costruita con ricorsi di pietre». L’intenzione dell’architetto era di evocare, attraverso i nomi delle vittime incisi nei singoli blocchi di pietra come su delle pagine,
il libro della memoria, oppure delle lapidi configurando metaforicamente un cimitero con una "prospettiva schiacciata”, un implicito segno di sepolcro per coloro ai quali, di fatto, la sepoltura è stata negata. Fanno parte di questa "architettura delle rimembranze” due piante, due rose canine di colore rosso ardente che affiancano la lapide ai due lati, spuntando tra la ghiaia che copre e nasconde la terra -piante notoriamente tenaci e generose di fioriture: un gesto perpetuo dedicato a quei nomi.159
Su questa scura parete si legge la seguente epigrafe:
A CINQUANTOTTO ANNI DALLA FINE DELLA SECONDA GUERRA
MONDIALE
QUI RICORDIAMO ACCANTO AI MARTIRI FIORENTINI
TUTTI GLI ALTRI SVENTURATI FRATELLI DEPORTATI DA FIRENZE NEI
CAMPI DI STERMINIO
Sotto questa scritta, due righe in ebraico spostate sulla destra riportano una citazione biblica, l’invocazione «O terra non coprire il mio sangue»160: il grido che Giobbe sofferente lancia al cielo, affinché le sue sventure non vengano oscurate e possa egli alzare alti i suoi lamenti a Dio. Più sotto, suddivisi in blocchi separati, seguono novantaquattro nomi "nuovi” di vittime dello sterminio. Staccati dagli altri, sotto la dicitura «Altre vittime della barbarie nazifascista» compaiono otto ulteriori nomi di persone morte in Italia a causa delle persecuzioni in circostanze molto differenti: tre casi di suicidio, tre fucilati, una neonata morta di stenti dopo la deportazione dei genitori, un’anziana signora deceduta a Fossoli dopo l’arresto all’Ospizio israelitico.161 Nella nuova lapide il Consiglio intendeva integrare l’elenco dei nomi dei morti correggendo il criterio adottato nel 1951: «elencare solo le vittime dei nazisti che facevano parte della Comunità fiorentina almeno da un anno», criterio che nel 2003 veniva giudicato «molto ponderato ma assai limitativo».162 Dunque si aggiunsero nella nuova lapide i nomi di tutti gli altri deportati da Firenze, almeno quelli noti: innanzitutto i correligionari di altre parti d’Italia; poi gli ebrei profughi stranieri e infine anche gli ebrei fiorentini deportati che, avendo abiurato l’ebraismo, erano stati esclusi dalla precedente epigrafe. Tra loro significativamente trovarono posto anche i bandieristi fiorentini, finalmente accettati anche loro nel novero degli «sventurati fratelli» semplicemente come vittime da ricordare, con questa inserzione implicitamente chiudendo i conti con le logoranti lacerazioni interebraiche vissute dalla comunità sotto il regime163 (Fig. 10).
Merita di essere ancora segnalata in questa rassegna un’altra lapide presente nel giardino del tempio, ancora una volta da riferirsi alla seconda guerra mondiale e alle persecuzioni nazifasciste. È stata posata di recente, il 15 aprile 2010, epoca in cui è stato portato a termine il restauro della Sinagoga e del museo annesso (Fig. 11).
Come si vede, la lapide è montata su un semplice basamento, quasi un leggio, e accompagna, come una didascalia, i resti di alcune colonne del matroneo del tempio, andate abbattute nel tentativo di distruzione della sinagoga effettuato dai nazisti al momento della loro ritirata; il cippo-leggio e le colonne posate semplicemente sul terreno del giardino costituiscono di per sé un insieme monumentale (Fig. 12). La scritta recita prosasticamente:
La notte tra il 3 e il 4 agosto 1944, i nazisti abbandonavano la città. Come loro ultimo atroce atto, fecero saltare i ponti, ma dovevano esplodere anche le mine poste nella Sinagoga; miracolosamente non tutte erano ben collegate e fu distrutta solo una parte dei matronei. I cimeli delle colonne distrutte sono qui a testimoniare quello che poteva essere il crollo totale del Tempio Maggiore di Firenze
Opera del Tempio Ebraico
Firenze 15 aprile 2010
Lo stesso testo è ripetuto più sotto in inglese, a testimonianza di una vitalità anche turistica ormai raggiunta dall’intero complesso monumentale ebraico fiorentino, dove i segni delle distruzioni sono diventati altrettante tappe di un percorso storico-museale aperto al mondo e alla città, in consonanza con l’importanza assunta ovunque dal genocidio antiebraico.
6. Eretz Israel
La seconda lapide è meno recente (risale al 1998) ma non meno significativa: celebra la nuova e viva fratellanza della comunità ebraica fiorentina con lo stato d’Israele nel cinquantenario della sua proclamazione, e contemporaneamente evoca «il sacrificio» di altri «fratelli caduti».
La scritta in italiano è preceduta da due citazioni bibliche in ebraico: la prima è l’angosciosa domanda che rinnova il mesto lamento di David per la morte in battaglia di Saul e di Gionata, rivolta ora alle nuove vittime della storia recente: «Lo splendore di Israele cadde trafitto sulle alture. Come caddero i prodi!»164. La seconda frase, ancor più lapidaria − «Non è forse questo un tizzone scampato dal fuoco?» −165 si riferisce alla sorte del popolo di Israele, sempre scampato alla completa distruzione per volere divino. Il bilinguismo ebraico-italiano crea una corrispondenza significativa fra gli eventi commemorati nelle epigrafi -episodi specifici situati nel fluire progressivo e cangiante delle vicende umane- e l’opposta prospettiva, atemporale e statica in cui la parola biblica iscrive l’accaduto. Si crea una tensione fra un tempo lineare, che si protende verso il molteplice e il relativo, e un tempo più solenne scandito sub specie aeternitatis che dilata e riscatta lo statuto fragile delle umane vicissitudini (Fig. 13).
Si commemorano specificamente qui tre ebrei fiorentini emigrati in Israele che persero la vita nel primo conflitto arabo-israeliano del 1948, simbolicamente legati contemporaneamente a Firenze e alla nuova patria israeliana:
LA COMUNITA’ EBRAICA DI FIRENZE
A 50 ANNI DALLA NASCITA DELLO STATO DI ISRAELE
RICORDA IL SACRIFICIO DEI SUOI FRATELLI CADUTI
NELL’ANNO 5708-1948
ENZO JOSEPH BUONAVENTURA 1891-1948
ANNA DI GIOACCHINO CASSUTO 1911-1948
RUBEN ARTOM 1928-1948
Il primo nome che compare è quello di Enzo Joseph Bonaventura, psicologo e pioniere della psicoanalisi italiana che a Firenze era stato docente di psicologia. Licenziato a causa delle leggi razziali, nel 1939 emigrò in Palestina e approdò all’Università di Gerusalemme. Trovò la morte il 13 aprile 1948 in un attacco al convoglio del suo istituto sul Monte Scopus.166 Troviamo poi Anna Di Gioacchino (1911-1948), moglie del rabbino capo fiorentino morto ad Auschwitz, Nathan Cassuto. Anche Anna Di Gioacchino era stata deportata nel gennaio 1944, ma sopravvisse e tornò. Trasferitasi in Israele con i suoi tre figli fu uccisa nello stesso attentato in cui perse la vita Bonaventura. Il terzo personaggio menzionato nella lapide era figlio del rabbino Elia Samuele Artom, che a Firenze tra il 1926 e il 1935 aveva esercitato il suo magistero e dove nel 1928 era appunto nato Ruben, caduto ventenne anch’egli nel 1948. La natura ancipite di queste tre esistenze viene riproposta plasticamente nella traduzione in ebraico dei loro nomi e delle date di nascita e di morte di ciascuno, seguiti dall’appellativo onorifico per i defunti «Sia benedetta la loro memoria».167
Accogliendo questa lapide nel recinto del Tempio, si rappresentava la fine simbolica della seconda guerra mondiale: commemorando i caduti fiorentini della prima guerra arabo-israeliana, cruciale per l’esistenza stessa dello stato d’Israele, si esprimeva nitidamente come tanta parte dell’ebraismo italiano avesse guadagnato un centro focale forte di riferimento, un luogo di appartenenza, lontano geograficamente da Firenze ma ormai, pur in mezzo a molte contraddizioni, costitutivo dell’identità ebraica della diaspora (Fig. 14).
M. B.
Note
1 G. Bassani, Una lapide in via Mazzini, ora in Id., Il romanzo di Ferrara, Milano, Mondadori, 1980, p. 90.
2 G. Schwarz, Ritrovare se stessi. Gli ebrei nell’Italia postfascista, Roma-Bari, Laterza, 2004, p. 7.
3 Esemplare il caso di Elio Servadio (1894-1957), medico e ufficiale sanitario del Comune di Prato. Dopo le persecuzioni, pur essendo tornato a vivere in Italia dalla Palestina dove si era rifugiato fin dal dicembre del 1938, non riprese mai più il suo posto a Prato, né esercitò più l’arte medica (F. Ventura, Dottor Elio Servadio "dispensato dal servizio”, Pisa, Pacini, 2008).
4 Schwarz, Ritrovare se stessi cit.; cfr. anche: Il ritorno alla vita. Vicende e diritti degli ebrei in Italia dopo la seconda guerra mondiale, a cura di M. Sarfatti, Firenze, Giuntina, 1998; I. Pavan, Tra indifferenza e oblio. Le conseguenze economiche delle leggi razziali in Italia 1938-1970, Firenze, Le Monnier, 2004; G. D’Amico, Quando l’eccezione diventa norma. La reintegrazione degli ebrei nell’Italia postfascista, Torino, Bollati Boringhieri, 2006.
5 M. Sarfatti, La Shoah in Italia. La persecuzione degli ebrei sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 2005, p. 109. Per i dati sugli ebrei deportati cfr. L. Picciotto, Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945), Milano, Mursia, 20022 (1a ed. 1991).
6 P. Levi, Il canto del corvo (I), ora in Id., Ad ora incerta, Milano, Garzanti, 2004, p. 16.
7 I. Calvino, Prefazione, in Id., Il sentiero dei nidi di ragno, Torino, Einaudi, 19644 (nuova edizione con prefazione dell’autore; 1a ed. 1947), pp. 7-24, la cit. è a p. 8.
8 G. Crainz, L’ombra della guerra. Il 1945, l’Italia, Roma, Donzelli, 2007, p. 8. Cfr. anche L. Paggi, Il popolo dei morti. La repubblica italiana nata dalla guerra (1940-1946), Bologna, Il Mulino, 2009.
9 E. Collotti, Il fascismo e gli ebrei. Le leggi razziali in Italia, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 151-65.
10 Schwarz, Ritrovare se stessi cit., p. 143.
11 Cfr. art. 5 del Decreto legislativo luogotenenziale del 27 luglio 1944, n. 159, sulle sanzioni contro il fascismo: «chiunque, posteriormente all’8 settembre 1943, abbia commesso o commetta delitti contro la fedeltà e la difesa militare dello stato, con qualunque forma di intelligenza o corrispondenza o collaborazione col tedesco invasore, di aiuto o di assistenza ad esso prestata, è punito a norma delle disposizioni del codice penale militare di guerra». (G. Vassalli, Collaborazionismo, in: http://www.treccani.it/enciclopedia/collaborazionismo_(Enciclopedia-Italiana)/; ultimo accesso: 17 gennaio 2017). Cfr. anche il Decreto legislativo luogotenenziale, 22 aprile 1945, n. 142.
12 M. Franzinelli, L’amnistia Togliatti. 22 giugno 1946: colpo di spugna sui crimini fascisti, Milano, Mondadori, 2006, p. 261.
13 Cfr. M. Flores, V. Galimi, La Shoah in tribunale. Giustizia postbellica e memoria delle persecuzioni, in Storia della Shoah in Italia. Vicende, memorie rappresentazioni, vol. II, Memorie, rappresentazioni, eredità, a cura di M. Flores, S. Levis Sullam, M.-A. Matard-Bonucci, E. Traverso, Torino, UTET, 2010, pp. 37-56, in partic. p. 44.
14 Archivio Storico della Comunità Ebraica di Firenze (d’ora in poi ACEFI), D.14.3, fasc. n. 9 "Processo Martelloni. 1949-1950”, lettera manoscritta dell’avvocato D. Lattes al presidente della Comunità di Firenze A. Orvieto, datata 6 luglio 1950.
15 F. Fortini, I cani del Sinai, Bari, De Donato, 1967, p. 75.
16 Archivio di Stato di Firenze (d’ora in poi ASFI), Corte d’Assise di Firenze 1954/12, fasc. VII, Requisitoria del Procuratore Generale nel Procedimento penale contro Martelloni Giovanni ed altri 67, datata 8 ottobre 1949, p. 38. Per le persecuzioni a Firenze cfr. M. Baiardi, Persecuzioni antiebraiche a Firenze: razzie, arresti, delazioni, in Ebrei in Toscana tra occupazione tedesca e RSI. Persecuzione, depredazione, deportazione (1943-1945), vol. I, Saggi, a cura di E. Collotti, Roma, Carocci, 2007, pp. 45-140.
17 M. Cartoni, Il processo della "banda Martelloni” iniziato con una chiara esposizione del presidente, in «La Nazione Italiana», 7 luglio 1950, p. 2.
18 Per l’operato antiebraico della "banda” Carità, cfr. Baiardi, Persecuzioni antiebraiche a Firenze cit., pp. 68-93; cfr. anche R. Caporale, La "Banda Carità”. Storia del Reparto Servizi Speciali (1943-1945), prefazione di D. Gagliani, Lucca, San Marco Litotipo, 2005, pp. 134-142.
19 Franzinelli, L’amnistia Togliatti cit., p. 249.
20 Ibid.
21 G. Crainz, Autobiografia di una repubblica. Le radici dell’Italia attuale, Roma, Donzelli, 2009, p. 40.
22 E. Collotti, Il razzismo negato, in Id. (a cura di), Fascismo e antifascismo: rimozioni, revisioni, negazioni, Roma-Bari, Laterza, 2000, pp. 355-76, la cit. é a p. 359; cfr. Schwarz, Ritrovare se stessi cit., pp. 112 e 137.
23 O. Bartov, La memoria della Shoah: la questione del nemico e della vittima, in Storia della Shoah cit., vol. II, pp. 15-78, la cit. è a p. 44.
24 P. Levi, I sommersi e i salvati, Torino, Einaudi, 1986, p. 57.
25 P. Levi, Buco nero di Auschwitz, in «La Stampa», 22 gennaio 1987, p. 1.
26 E. Traverso, Introduzione, in Storia della Shoah. La crisi dell’Europa, lo sterminio degli ebrei e la memoria del XX secolo, vol. I, La crisi dell’Europa e lo sterminio degli ebrei cit., pp. 3-13, la cit. è a p. 4 (corsivo del testo).
27 Levi, Il canto del corvo (I) cit., p. 16.
28 «Inespiabile» fu il lapidario aggettivo usato da Umberto Saba per definire quanto accaduto nel campo di sterminio di Majdanek, appena gliene giunse notizia nel primissimo dopoguerra (U. Saba, Scorciatoie e raccontini, Milano, Mondadori, 1946, p. 72).
29 G. Schwarz, L’elaborazione del lutto. La classe dirigente ebraica italiana e la memoria dello sterminio (1944-1948), in Il ritorno alla vita cit., p. 168. Per le ricerche relative alle vittime della Shoah italiana, cfr. L. Picciotto Fargion, L’attività del Comitato Ricerche Deportati Ebrei. Storia di un lavoro pionieristico (1944-1953), in Una storia di tutti. Prigionieri, internati, deportati italiani nella seconda guerra mondiale, a cura dell’Istituto Storico della Resistenza in Piemonte, Milano, Angeli, 1985, pp. 75-96. Cfr. anche il più recente C. Di Sante, Auschwitz prima di "Auschwitz”. Massimo Adolfo Vitale e le prime ricerche sugli ebrei deportati dall’Italia, postfazione di L. Picciotto, Verona, Ombre Corte, 2014.
30 M. Baiardi, Appendice I. Elenco degli ebrei deportati da Firenze, in Ebrei in Toscana tra occupazione tedesca e RSI cit., pp. 140-74.
31 L. Viterbo, A ricordo perenne dei deportati, in «Firenze ebraica», nn. 1-2, gennaio-aprile 2003, p. 33.
32 Nel settembre 1944 fu comunicato alla Comunità ebraica fiorentina che si era costituito il Comitato di Ricerche Deportati Ebrei (ACEFI, D. 14.3, fasc. n. 8, "Unione delle Comunità. Corrispondenza del novembre 1944”, lettera dell’UCII, datata 26 settembre 1944). Cfr. Picciotto Fargion, L’attività del Comitato Ricerche Deportati Ebrei, in Una storia di tutti cit., p. 77. Il primo elenco dei deportati «ebrei catturati o fucilati a Firenze e Siena» fu inviato da Firenze all’Unione poche settimane dopo (ACEFI, D. 14.3, fasc. n. 8 "Unione delle Comunità. Corrispondenza del novembre 1944”, lettera della Comunità ebraica di Firenze all’UCII, datata 1° novembre 1944).
33 Schwarz, Ritrovare se stessi cit., p. 158.
34 ACEFI, D.13.2, fasc. 6, missiva del Comitato Ricerche Deportati Ebrei di Roma, diretta alla Comunità di Firenze (a firma del Col. M. A. Vitale), datata 6 luglio 1949. Per la figura di Vitale, cfr. R. Bassi, Ricordo di Massimo Adolfo Vitale. Dal Comitato Ricerche Deportati Ebrei al Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, in «La Rassegna Mensile di Israel», vol. XLV, nn. 1-3, gennaio-marzo 1979, pp. 8-21; cfr. anche Id., Scaramucce sul lago Ladoga, prefazione di T. Zevi, Palermo, Sellerio, 2004.
35 La madre dell’architetto Bemporad, la vedova Clara Galletti, fu arrestata il 27 marzo 1944 insieme con le tre figlie Lidia, Marcella e Anna, e il figlio Giorgio non ancora sedicenne e disabile (ACEFI, E. 14. 1, fasc. 7, ad nomina). Un breve profilo professionale di Nello Bemporad è rinvenibile sul sito: http://siusa.archivi.beniculturali.it/cgibin/pagina.pl?TipoPag=prodpersona&Chiave=61437&RicProgetto=reg-tos&RicVM=indice&RicSez=prodpersone&RicTipoScheda=pp (ultimo accesso: 24 gennaio 2017). Bemporad era stato incaricato di procedere alla redazione del progetto dal presidente della Comunità fiorentina Orvieto il 27 maggio 1951 (ACEFI, "Gestione Comunità. Lapidi di ricordo. Caduti e deportati. 1920-1951”. E. 14.1, fasc. n. 9, "Capitolato d’appalto per l’esecuzione di un monumento commemorativo ai Deportati Ebrei della Comunità di Firenze”).
36 Per non separare nell’epigrafe i nuclei familiari, fu deciso che le donne maritate comparissero con il cognome del coniuge, seguito dal loro cognome da nubili.
37 «Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è Uno»: è la parte iniziale dello Shemà Israel che riprende Deuteronomio 6, 4, in Bibbia ebraica. Pentateuco e Haftaroth, a cura di R. D. Disegni, Firenze, Giuntina, 1995, p. 302. La preghiera dello Shemà esorta i fedeli alla fede nell’unicità di Dio, al rispetto dei comandamenti e all’obbligo di trasmissione ai figli della nozione monoteistica. Cfr. anche A. Pacifici, Discorsi sullo Shemà, Roma-Gerusalemme, Israel-Taoz, 5714-1953.
38 Y. H. Yerushalmi, Zakhor. Storia ebraica e memoria ebraica, trad. di D. Fink (Zakhor. Jewish History and Jewish Memory, Seattle, University Washington Press, 1982), Parma, Pratiche, 1983, p. 22.
39 Cfr. ivi, pp. 105-12. Per una riflessione sulla memoria della sofferenza nella tradizione ebraica e la sua sacralizzazione, anche in riferimento alla Shoah, cfr. E. Benbassa, La sofferenza come identità, Verona, Ombre Corte, 2009.
40 A. M. Banti, Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo, Roma-Bari, Laterza, 2011, pp. 62 e sgg.
41 Salmo 44, 18, in Bibbia ebraica. Agiografi cit., p. 34.
42 Ibid.
43 A.-V. Sullam Calimani, I nomi dello sterminio, Torino, Einaudi, 2001, pp. 19-20.
44 Anche la circolare diramata dal Consiglio della Comunità ebraica alle famiglie per la ricerca dei dati delle vittime recitava infatti nella sua intestazione «Ricordo marmoreo per i Deportati» (ACEFI, E.14.1, fasc. 6, circolare "Ricordo marmoreo per i Deportati”, datata aprile 1951, corsivo di chi scrive). Per una storia del termine «olocausto», cfr. il capitolo omonimo contenuto nel già ricordato volume di Sullam Calimani, I nomi dello sterminio cit., pp. 79-101.
45 Viterbo, A ricordo perenne dei deportati cit., p. 35.
46 ACEFI, E.14.1, fasc. 8, Allegato alla lettera di P. Nissim diretta ad A. Orvieto, datata 21 febbraio 1951.
47 ACEFI, E.14.1, fasc. 6, circolare «Ricordo marmoreo per i Deportati» cit.
48 Giuseppe Passigli di Goffredo e Agnese Reggio era nato a Ferrara il 13 febbraio 1923; si battezzò il 2 aprile 1940 con notifica pervenuta in Comunità il 20 settembre 1940 (ACEFI, E. 25. 3, "Gestione Comunità. Stato civile” pag. 102 bis, n. 5334); fu arrestato nel dicembre 1943 nei pressi di Greve in Chianti da italiani insieme con il padre Goffredo e il fratello Leone, i quali, al contrario di Giuseppe, compaiono nella lapide del 1951. Nessuno dei Passigli sopravvisse ad Auschwitz. Per le circostanze del loro arresto, cfr. Baiardi, Persecuzioni antiebraiche a Firenze cit., pp. 74-78. Piero Chimichi, nato a Pisa il 1 agosto 1905, era il corrispondente da Firenze del giornale torinese degli ebrei fascisti «La Nostra Bandiera»; sua moglie Laura Prato, nata a Firenze il 1 marzo 1906, era la figlia del rabbino David Prato. Cfr. Picciotto, Il libro della memoria cit., ad nomina.
49 E. Artom, In memoria degli ebrei di Firenze deportati e caduti. Documento 14, in Resistenza liberale a Firenze, a cura di M. Brambilla - G. Fantoni (prefazione di Z. Ciuffoletti), Roma, Elidir, 1995, pp. 175-178, la cit. è a p. 175. Cfr. S. Rogari, Eugenio Artom, in Fiorentini del Novecento, vol. II, a cura di P. L. Ballini, Firenze, Polistampa, 2002, pp. 10-21.
50 Artom, In memoria degli ebrei di Firenze deportati e caduti cit., p.176.
51 Ivi, p. 177.
52 Ivi, p. 178. Il nome di Bruno Bauer compare nelle lapidi del 1920 e del 1928. Daria Mondolfi Bauer (1867-1944), fu arrestata nell’aprile del 1944 e uccisa all’arrivo ad Auschwitz (Picciotto, Il libro della memoria cit., ad nomen)
53 ACEFI, E/61, "Unione delle Comunità Israelitiche 1932-1937; 1945-1955”, fasc. 7, doc. n. 863, lettera di R. Cantoni dall’Unione alla Comunità di Firenze, datata 9 settembre 1946.
54 Artom, In memoria degli ebrei di Firenze deportati e caduti cit., p. 178.
55 ACEFI, E. 14. 1, fasc. 10; lettera del presidente della Comunità ebraica di Firenze A. Orvieto, diretta al Ministro di Grazia e Giustizia Adone Zoli, datata 20 novembre 1951.
56 Cfr. Scoperta una lapide in ricordo degli israeliti vittime del razzismo. Il ministro Zoli assiste alla cerimonia − Il riconoscimento del Rabbino per l’opera fraterna dei sacerdoti e religiosi, in «Il Mattino», lunedì 19 novembre 1951, p. 2.
57 ACEFI, E.14.1, fasc. 12, manca la denominazione, ma si tratta della lista degli inviti diramati per la cerimonia della lapide. Tra i parlamentari invitati ci sono per la Democrazia Cristiana: Guido Corbellini, Maurizio Vigiani, Attilio Piccioni (allora vice presidente del Consiglio dei ministri); per il Partito Comunista italiano: Orazio Barbieri, Armando Sapori, Dino Saccenti, Giulio Montelatici; per il Partito Socialista italiano: Attilio Mariotti, Giovanni Pieraccini, Ferdinando Targetti, per il Gruppo misto: Piero Calamandrei.
58 Domenica 18 novembre 1951, in contemporanea alla cerimonia alla Sinagoga, si svolsero infatti a Firenze «un’assise provinciale per la pace», presieduta dal professor Luigi Russo (Stamane al Teatro Imperiale la seconda Assise della Pace, in «L’Unità-Cronaca di Firenze», domenica 18 novembre 1951, p. 2), e il convegno provinciale della Federazione Comunista Fiorentina per il reclutamento e il tesseramento per il 1952, a cui parteciparono molti dirigenti comunisti locali, nessuno dei quali ovviamente fu presente alla Sinagoga (Raggiungere i centomila iscritti alla Federazione Comunista Fiorentina, in «L’Unità» Cronaca di Firenze, martedì 20 novembre 1951, p. 2).
59 ACEFI, E.14.1, fasc. 12, Elenco di "Simpatizzanti e soci non ebrei della amicizia ebraico-cristiana”, pp. 1-2.
60 Sull’"Amicizia ebraico-cristiana”, cfr. il saggio di L. Martini, Cristiani ed ebrei in dialogo a Firenze nel’900, in Identità religiosa di Firenze nel Novecento. Memoria e dialogo, a cura della Fondazione Giorgio La Pira, Firenze, Polistampa, 2002, pp. 112-32; S. Baldi, Il dialogo ebraico-cristiano e la nascita dell’Amicizia ebraico-cristiana di Firenze (1947-1970), in Movimenti popolari evangelici nei secoli XIX e XX, a cura di D. Maselli, Firenze, Fedeltà Edizioni, 1999, pp. 67-89; E. Mazzini, Cristiani ed ebrei dopo la Shoah. Momenti e protagonisti dell’Amicizia ebraico-cristiana di Firenze (1945-1965), in «Annali di storia di Firenze», VIII, aprile 2014, pp. 361-90 (disponibile all’indirizzo: http://www.fupress.net/index.php/asf/article/view/14451; ultimo accesso: 21 gennaio 2017).
61 G. La Pira, Giornata internazionale di amicizia ebraico-cristiana, ora in Id., Scritti discorsi e lettere, a cura di U. De Siervo, G. Giovannoni, G. Giovannoni, vol. III, Firenze, Nuova Editrice-Comune di Firenze, 1988, pp. 325-37 (specificamente su Firenze, pp. 333-34).
62 ACEFI, E.14.1, fasc. 10, lettera di A. Orvieto a E. Artom, datata19 novembre 1951.
63 A. Orvieto, Fior d’Arno, in Id., Il vento di Sion e I Canti dell’escluso, prefazione di D. Lattes e E. Turolla, Roma, Fondazione per la Gioventù Ebraica, 1961-5721, p. 257.
64 D. Lattes, Angiolo Orvieto, poeta ebreo, in Orvieto, Il vento di Sion e I Canti dell’escluso cit., p. 8.
65 Schwarz, Ritrovare se stessi cit., p. 176.
66 Collotti, Il fascismo e gli ebrei cit. p. 163.
67 Artom, In memoria degli ebrei di Firenze deportati e caduti cit. p. 178 (corsivo di chi scrive).
68 W. Lattes, Ricordo degli ebrei fiorentini, in «Il Nuovo Corriere», mercoledì 21 novembre 1951, p. 3. Cfr. anche: A., F., S., S., W. Nirenstein, Come le cinque dita di una mano. Storia di una famiglia di ebrei da Firenze a Gerusalemme, Milano, Rizzoli, 1998.
69 M. Toscano, Gli ebrei in Italia dall’emancipazione alle persecuzioni, in «Storia contemporanea», n. 5, ottobre 1986, pp. 913-14 (cit. in R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 19935, 1a ed. 1961, pp. 20-21).
70 A. Cavaglion, Tendenze nazionali e albori sionistici, in Storia d’Italia, XI, Gli Ebrei in Italia, t. II, Dall’emancipazione a oggi, a cura di C. Vivanti, Torino, Einaudi, 1997, pp. 1291-1320, la cit. è a p. 1297.
71 Ivi, p. 1295.
72 T. Catalan, L’organizzazione delle comunità ebraiche italiane dall’Unità alla prima guerra mondiale, in Storia d’Italia. XI, Gli Ebrei in Italia cit., pp. 1243-1290, la cit. è a p. 1287. Per la partecipazione degli ebrei alla prima guerra mondiale: De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo cit., p. 16 (cfr. nota 1) e anche P. Briganti, Il contributo militare degli ebrei italiani alla Grande Guerra (1915-1918), Torino, Zamorani, 2009.
73 J. Winter, Il lutto e la memoria. La Grande Guerra nella storia culturale europea, trad. di N. Rainò (Sites of Memory, Sites of Mourning. The Great War in European cultural history, Cambridge, UK, Cambridge University Press, 1995), Bologna, Il Mulino, 1995, p. 118.
74 B. Tobia, Monumenti ai caduti. Dall’Italia liberale all’Italia fascista, in La morte per la patria. La celebrazione dei caduti dal Risorgimento alla Repubblica, a cura di O. Janz e L. Klinkhammer, Roma, Donzelli, 2008, pp. 45-62, la cit. è a p. 56 (c.vo del testo).
75 E. Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Roma-Bari, Laterza, 20012 (1a ed. 1993), p. 20.
76 Tobia, Monumenti ai caduti. Dall’Italia liberale all’Italia fascista cit., p. 55.
77 ACEFI, E. 14. 1, fasc. 1, lettera manoscritta di O. Levi al Comune Israelitico di Firenze, datata 12 aprile 1920.
78 Ibid.
79 G. Fiori, Casa Rosselli. Vita di Carlo e Nello, Amelia, Marion e Maria, Torino, Einaudi, 1999, pp. 18-20.
80 A. Rosselli, Lettera a Maria Bianca Viviani della Robbia cit. in Fiori, Casa Rosselli cit. p. 27.
81ACEFI, E. 14. 1, fasc. 1, lettera di O. Levi al Comune Israelitico di Firenze cit.
82 Per il testo dell’epigrafe, vedi anche D. Lattes e A. Pacifici, Da Firenze. Cose fiorentine, in «Israel», n. 11, 29 novembre 1928, p. 4.
83 A. Gibelli, Culto degli eroi e mobilitazione politica dell’infanzia tra Grande guerra e fascismo, in La morte per la patria cit., pp. 81-99, la cit. è a p. 82. Per il concetto di "martire” nel lessico politico e la sua evoluzione a grandi linee, v. R. Suzzi Valli, Il culto dei martiri fascisti, in La morte per la patria cit., pp. 101-117, in partic. a p. 105. Per l’intreccio dei codici patriottico e religioso nel culto dei morti della «religione civile antifascista» del secondo dopoguerra cfr. G. Schwarz, Tu mi devi seppellir. Riti funebri e culto nazionale alle origini della Repubblica, Torino, UTET, 2010, p. 57.
84 A. Astrologo − F. Del Canuto, Firenze 1920. Storia del Comune Ebraico, in «Rassegna Mensile di Israel», vol. XLIV, n. 1, gennaio 1978, pp. 6-42. Per la figura di Margulies, cfr. C. A. Viterbo, Un maestro ancora presente, in «Rassegna Mensile di Israel», XXXVIII, n. 4, aprile 1972, pp. 195-206; J. M. A. Pacifici, Ha-Rav S.Z. Margulies, ivi, pp. 207-13; A. Neppi Modona, Ricordi personali su S. H. Margulies, ivi, pp. 214-21.
85 S. Della Seta e D. Carpi, Il movimento sionistico, in Storia d’Italia, XI, Gli ebrei in Italia cit., pp. 1321-1368, la cit. è a p. 1326. Cfr. anche V. Piattelli, ‘Israel’ e il sionismo in Toscana negli anni Trenta, in Razza e fascismo. La persecuzione contro gli ebrei in Toscana (1938-1943), a cura di E. Collotti, vol. I, Saggi, Roma, Carocci, 1999, pp. 35-79, in partic. pp. 36-7.
86 Cavaglion, Tendenze nazionali e albori sionistici, in Storia d’Italia, XI, Gli ebrei in Italia cit., pp. 1291-1320 , la cit. è a p. 1293.
87 L. Viterbo, Cronache dal passato fiorentino: la difficile successione del Rabbino Margulies (1920-1926), in «La Rassegna Mensile di Israel», LX, n. 3, sett.-dic. 1994, pp. 148-178, in partic. p. 148. Cfr. M. Longo Adorno, Gli ebrei fiorentini dall’emancipazione alla Shoà, Firenze, Giuntina, 2003, pp. 19-20 e p. 155 (nota 38).
88 E. Ovazza, In margine alla storia. Riflessi della guerra e del dopoguerra, 1914-1924, prefazione di V. Buronzo, Torino, Casanova, 1925, p. 116. Questo testo rappresenta una testimonianza accorata e motivata di intensa partecipazione prima alla Grande Guerra e poi alla "rivoluzione fascista”, scritto dal banchiere torinese, «tenente d’artiglieria di complemento» Ettore Ovazza, che nel 1934 sarà tra i fondatori del settimanale degli ebrei fascisti «La Nostra Bandiera». Per ulteriori notizie su Ovazza, che finirà massacrato dai nazisti insieme con la sua famiglia sul Lago Maggiore nel settembre 1943 si veda A. Stille, Uno su mille. Cinque famiglie ebraiche durante il fascismo, Milano, Mondadori, 1991, pp. 11-95.
89 Verbale della seduta del Consorzio del 9 gennaio 1927 cit. in M. Toscano, Ebraismo e antisemitismo in Italia. Dal 1848 alla guerra dei sei giorni, Milano, Angeli, 2003, p. 166 (nota 38).
90 ACEFI, E. 19.1 (1918-1935), Gestione Comunità, fasc. "Polemica Pacifici-Tribuna”, lettera del presidente della Comunità fiorentina al direttore de «La Tribuna», datata 7 aprile 1927, cit. in Toscano, Ebraismo e antisemitismo in Italia cit., p. 168 (nota 48).
91 P. Dogliani, Redipuglia, in I luoghi della memoria. Simboli e miti dell’Italia unita, a cura di M. Isnenghi, Roma-Bari, Laterza, 20103 (1a ed. 1996), pp. 421-435, la cit. è alle pp. 426-7.
92 Circolare n. 13, datata 13 febbraio 1923, inviata dal sottosegretario D. Lupi ai R.R. Provveditorati agli Studi sulla questione viali o parchi delle Rimembranze, in Dogliani, Redipuglia cit., p. 380 (nota 8).
93 Proprio a Firenze «tra le targhe inaugurate dai diversi rioni nel 1926 e 1927 in onore dei "Caduti per la Patria" quella del rione San Gallo, per esempio, comprendeva i nomi di 365 caduti della Grande Guerra, due volontarie della Croce Rossa e tre fascisti» (Suzzi Valli, Il culto dei martiri fascisti cit., p. 11).
94 ACEFI, E.14.1, fasc. 4, telegramma del presidente dimissionario della Comunità israelitica di Firenze, G. Vita, diretto a S. E. Benito Mussolini, datato 16 dicembre 1928. Cfr. M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione, Torino, Einaudi, 2000, p. 70.
95 G. Vita, Nostalgie di bellezza (con 99 disegni e documenti), Firenze, Vallecchi, 1928, p. 17.
96 Ivi, p. 124.
97 Ivi, p. 97 (l’intero capitolo Si scopron le tombe, pp. 97-101, è dedicato ai monumenti ai caduti).
98 Ivi, pp. 97-98.
99 Ibid.
100 Ivi, pp. 98-99.
101 Monumento censito in Monumenti ai caduti. Firenze e provincia, a cura di L. Brunori, Firenze, Polistampa, 2012, p. 71.
102 Da Firenze. Cose fiorentine, in «Israel», n. 11, 29 novembre 1928, p. 4 (lettera di G. Passigli a «Israel», datata 21 novembre 1928, e relativa risposta dei direttori del giornale D. Lattes e A. Pacifici).
103 Un altro nome di caduto venne aggiunto ai ventisei già presenti nella lapide del 1920: si trattava di Gino Bemporad di Dante, nato a Sorano (Grosseto) nel 1892 e «disperso sull’altopiano di Bainsizza» nell’agosto 1917 (notizie rinvenibili al sito: http://www.cadutigrandeguerra.it/ShowImg.aspx?id=Pyta6Nqj1NXg98BApkOxMg4WgefXh9EQYZVUssTRS6Ump2xAjNmXILjdDvstGfHepzquMOSwX985nQi%2bu%2fP6Ng%3d%3d;
ultimo accesso: 30 gennaio 2016).
104 G. Vita, La fonte perenne nel Tempio di Firenze in memoria dei Caduti per la Guerra e la Rivoluzione, in «La Nostra Bandiera», n. 3, 17 maggio 1934, p. 1. Oggi nella lapide il nome di Gino Bolaffi non compare, abraso nel dopoguerra (l’informazione proviene da una conversazione avvenuta il 17 maggio 2011 fra chi scrive e Lionella Neppi Modona Viterbo, che qui si ringrazia). Si può notare infatti nella lastra destra un posto vuoto in basso, che evidenzia un’asimmetria rispetto all’elenco dei quattrodici nomi della lastra di sinistra.
105 ACEFI, E. 14.1, fasc. 2, lettera del rabbino E. Artom, datata 6 dicembre 1928. Elia Artom, allora rabbino maggiore a Firenze e libero docente di ebraico all’Università, era stato allievo di Samuel H. Margulies; si distingueva «particolarmente per la inflessibile forza del carattere e lo spirito del dovere» (Elia S. Artom, in «Rassegna Mensile di Israel», nn. 2-3, ott.-dic. 1928, p. 124).
106 ACEFI, E. 14. 1, fasc. 3, lettera di U. Cassuto al Presidente, datata 15 dicembre 1928.
107 ACEFI, E.14.1, fasc. 2, autorizzazione del prefetto della Provincia di Firenze alla manifestazione, datata 10 dicembre 1928.
108 ACEFI, E. 14.1, fasc. 4, minute dei telegrammi inviati dal presidente G. Vita a S. M. il Re e a S. E. Benito Mussolini in data 16 dicembre 1928; ivi, telegramma del re alla Comunità di Firenze, datato 17 dicembre 1928 e lettera del prefetto (a nome del capo del governo, B. Mussolini) alla Comunità di Firenze, datata 18 dicembre 1928.
109 Vita, La fonte perenne nel Tempio di Firenze in memoria dei Caduti per la Guerra e la Rivoluzione cit.
110 M. Milani, La Zona di Giurisdizione del G.F.R. "Dante Rossi” (Stradario Storico-Biografico. S. Croce: Il Sacrario dei Caduti), Firenze, Industria Tipografica Fiorentina, 21 aprile 1940, p. 460.
111 Gino Bolaffi era nato a Firenze il 31 marzo 1897 da Emma Castiglioni (1894-1868) e Gustavo (1865-1941), medico, a cui il «martirio» del figlio valse la discriminazione in occasione delle leggi razziali (Archivio Storico del Comune di Firenze, "Censimento della razza ebraica. 1938”, CF 10196, ad nomina). Per ulteriori notizie su Gino Bolaffi e la sua fine, cfr. G. A. Chiurco, Storia della Rivoluzione Fascista, vol. II, Anno 1920, Firenze, Vallecchi, 1929, pp. 158-59; Come Gino Bolaffi cadde per il trionfo della Causa Fascista, in «La Nostra Bandiera», n. 15, 9 agosto 1934, p. 4; Milani, La Zona di Giurisdizione del G.R.F. "Dante Rossi” cit., pp. 460-61; P.N.F.-Ufficio Stampa, Caduti per la Rivoluzione, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1942, p. 15. Cfr. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo cit., p. 73; M. Franzinelli, Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista. 1919-1922, Milano, Mondadori, 2003, p. 298.
112 U. F. Banchelli, Le memorie di un fascista 1919-1923 (ed. ampliata e riveduta), Firenze, Edizioni della V.A.M., 1923, p. 29. Che Bolaffi non appartenesse a nessuna squadra di combattimento viene avvalorato anche dal fatto che il suo nome non compare in nessuno degli elenchi degli "uomini della vigilia”, di cui pure è prodiga la memorialistica locale: cfr. i numerosi elenchi degli squadristi e dei sostenitori del fascio fiorentino riportati in B. Frullini, Squadrismo fiorentino (prefazione di A. Pavolini), Firenze, Vallecchi, 1933.
113 Testo del manifesto firmato dai «Fasci di Combattimento» e dai «Combattenti» comparso subito dopo l’assassinio di Bolaffi e Fiorini, riportato in M. Milani, Guida del rione e stradario storico di Settignano. Giurisdizione G.R.F. "Gino Bolaffi”, Firenze, Stabilimento Tipografico A.G. Pieri, 1938, pp. 82-83.
114 R. Ottanelli − O. Valle, Stille di sangue (Fascismo Fiorentino), Firenze, Stabilimento Tip. I. Funghi & C, 1922, p. 48 (una delle prime pubblicazioni incentrate sul martirologio dei fascisti fiorentini). Su Bolaffi e le circostanze della sua morte cfr. ivi, pp. 9-13; Frullini, Squadrismo fiorentino cit., pp. 89-91; S. Versari, Una pagina di storia del fascismo fiorentino. Il fascio autonomo. In appendice la Squadra d’azione "Guido Fiorini”, Rocca S. Casciano (Firenze), Stabilimento Tipografico Licinio Cappelli, [s. d., ma 1938], p. 85; M. Piazzesi, Diario di uno squadrista toscano, 1919-1922, prefazione di R. De Felice; introduzione di M. Toscano, Roma, Bonacci, 1980, pp. 90-91; Milani, Guida del rione e stradario storico di Settignano cit., pp. 79-83 (vi si trova anche una fotografia del giovane Bolaffi con dedica del padre Gustavo al Gruppo Rionale Fascista di Settignano "G. Bolaffi”, p. 81).
115 L’appartenenza ebraica non viene rammentata nei testi coevi fascisti né nella pubblicistica successiva; fanno ovviamente eccezione i ripetuti articoli su Bolaffi come «Primo Caduto della Rivoluzione» comparsi a più riprese su «La Nostra Bandiera» (qui di seguito citati).
116 Ottanelli − Valle, Stille di sangue (Fascismo Fiorentino) cit., p. 13. Per le tematiche relative al culto dei caduti, cfr. Gentile, Il culto del littorio cit., pp. 47-48.
117 La solenne inaugurazione di un busto del martire fascista Gino Bolaffi, in «La Nostra Bandiera», n. 8, 21 giugno 1934, p. 4.
118 M. Palla, Firenze nel regime fascista (1929-1934), Firenze, Olschki, 1978, p. 111.
119 La solenne inaugurazione di un busto del martire fascista Gino Bolaffi cit., p. 4. Cfr. anche: A. Minerbi, La comunità ebraica di Firenze, in Razza e fascismo cit., pp. 115-222, in partic. p. 138.
120 In memoria di Gino Bolaffi, in «La Nostra Bandiera», n. 24, 25 ottobre 1934, p. 1. Cfr. anche: [S. n.], L’Olocausto di Firenze. I Caduti della Rivoluzione Fascista, La Nazione editrice, Firenze, ottobre 1934.
121 Per la minuziosa ricostruzione della cerimonia: A. Staderini, La "Marcia dei martiri”: la traslazione nella cripta di Santa Croce dei Caduti Fascisti, in «Annali di Storia di Firenze», vol. III, ottobre 2011, p. 202 (disponibile all’indirizzo: http://www.fupress.net/index.php/asf/article/view/9851; ultimo accesso: 18 gennaio 2017). Cfr. anche: Suzzi Valli, Il culto dei martiri fascisti cit., pp. 115-17.
122 Gentile, Il culto del littorio cit., p. 48 (c.vo del testo).
123 La stessa impaginazione del numero speciale del «Bargello» fu molto attenta, in funzione propagandistica, a connettere strettamente il sacrificio dei «martiri» con l’elogio delle imprese del regime. Sotto il titolo a tutta pagina, Il loro sacrificio insegnò la via del dovere verso la Patria e dell’amore per il popolo, comparvero tre articoli, a dimostrazione di cosa il regime intendesse realmente per «amore per il popolo»: N. Antinori, "Andare verso il popolo”. La politica assistenziale del Fascismo; Il contributo del Fascismo fiorentino all’assistenza per il popolo; A. P., Il regime per la razza. L’attività del Consorzio Provinciale Antitubercolare di Firenze, in «Il Bargello», Edizione speciale dedicata ai Caduti per la Rivoluzione Fascista, n. 43, 27 ottobre 1934, p. 25. Allo stesso modo, sotto il titolone Caddero per il Fascismo e dettero nuova vita alle energie della stirpe, troviamo articoli sullo sviluppo dell’artigianato e sull’O.N.M.I. (G.L.O., Il Fascismo ha rimesso in valore il nostro artigianato; Il Fascismo vigila sull’avvenire della razza. L’Opera Nazionale Maternità e Infanzia nella Provincia di Firenze, ivi, p. 24). Tra gli squadristi che contribuirono al numero speciale del settimanale, si annoverano gli interventi di Giacomo Lumbroso, Raffaele Manganiello, Giovan Battista Marziali, Alessandro Pavolini, Guido Baroni, Dino Perrone-Compagni, Ottone Rosai, Onorio Onori, Mario Piazzesi. Per «Il Bargello», cfr. Palla, Firenze nel regime fascista (1929-1934) cit. pp. 184-204 e C. Bencini, ‘Il Bargello’ di Firenze e ‘Il Ferruccio’ di Pistoia, in Razza e fascismo cit., pp. 293-312.
124 P. Chimichi, Il rito di Firenze, in «La Nostra Bandiera», n. 25, 1° novembre 1934, p. 1.
125 Atto di nascita. Fuori dell’equivoco, in «La Nostra Bandiera. Settimanale degli italiani di religione ebraica», n. 1, 1 maggio 1934, p. 1. Cfr. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista cit., p. 98-100 e L. Ventura, Ebrei con il duce. La Nostra Bandiera, 1934-1938, Torino, Zamorani, 2002. Per un’accurata ricostruzione delle vicende della comunità ebraica fiorentina dagli anni Trenta fino all’occupazione tedesca, si veda Minerbi, La Comunità ebraica di Firenze, in Razza e fascismo cit., pp. 115-222. Cfr. anche Piattelli, ‘Israel’ e il sionismo in Toscana negli anni Trenta cit., pp. 35-79.
126 Cfr. L’omaggio de ‘La Nostra Bandiera’ alla memoria di Gino Bolaffi, in «La Nostra Bandiera», n. 25, 1 novembre 1934, p. 1. I bandieristi tributarono al Duce anche tutta la loro gratitudine per avere «accolti e protetti» i correligionari stranieri perseguitati, come «segno di superiore, umana fraternità» (G. V. [G. Vita], Presente!, in «La Nostra Bandiera», ibid.).
127 Cfr. Fenomeno di amnesia, in «La Nostra Bandiera» cit., p. 3. In effetti il giornale sionista «Israel» ignorò del tutto la cerimonia di inaugurazione della lapide fiorentina, ma fedele alla propria consegna di occuparsi prevalentemente di "vita ebraica”, pubblicò invece con un certo rilievo, poche settimane dopo, la notizia dell’inaugurazione in città di un convitto annesso al Collegio Rabbinico italiano, posto sotto «la concorde direzione didattica del rabbino Elia S. Artom e di Umberto Cassuto» (L’inaugurazione del Convitto annesso al Collegio rabbinico Italiano, in «Israel», n. 16, 3 gennaio 1928, p. 3).
128 Cfr. Ringraziamenti, in «La Nostra Bandiera», n. 26, 8 novembre 1934, p. 3.
129 G.V., Presente!, in «La Nostra Bandiera» cit., p. 1.
130 Cfr. Ringraziamenti, in «La Nostra Bandiera» cit. (lettera di G. Passigli, P. Sacuto, B. Passigli, E. Nissim, C. Piperno, diretta al Commissario della Comunità, datata 17 ottobre 1934).
131 Ibid.
132 Ibid. (lettera di B. Errera, datata 30 ottobre 1934).
133 Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista cit., pp. 86-87.
134 Ivi, p. 76 (la legge in questione era il R. D. n. 1731 del 30 /10/1930); cfr. Collotti, Il fascismo e gli ebrei cit., pp. 20-21.
135 Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista cit., p. 74.
136 A. Cavaglion, Ebrei senza saperlo, Napoli, L’Ancora del Mediterraneo, 2002, pp. 107 e ss.
137 Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista cit., pp. 90-98.
138 Collotti, Il fascismo e gli ebrei cit., p. 21.
139 Minerbi, La Comunità ebraica di Firenze, in Razza e fascismo cit., p.116.
140 Cfr. Parlare italiano, in «La Nostra Bandiera», n. 1, 1° gennaio 1937, p. 2.
141 Cfr. Largo alla giovinezza. Cose milanesi… e di ogni luogo, in «La Nostra Bandiera», n. 7, 15 aprile 1936, p. 2.
142 Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista cit., p. 129.
143 Minerbi, La comunità ebraica di Firenze cit., pp. 143-47.
144 Cfr. Ora decisiva, in «La Nostra Bandiera», n. 10, ottobre 1935, p. 3.
145 Cfr. Gesti significativi di ebrei ex combattenti, in «La Nostra Bandiera», n. 12, dicembre 1935, p. 10.
146 Cfr. l’editoriale senza titolo, in «La Nostra Bandiera», n. 9, 5 maggio 1936, p. 1.
147 Cfr. Simpatica manifestazione, in «La Nostra Bandiera», n. 10, 31 maggio 1936, p. 6.
148 Cfr. Cronache di vita ebraica italiana. Firenze per l’Impero, in «La Nostra Bandiera», n. 23, 16 dicembre 1936, p. 6.
149 Cfr. Le manifestazioni patriottiche degli italiani ebrei per la fondazione dell’Impero. Elevate parole di Guglielmo Vita, in «La Nostra Bandiera», n. 2, 16 gennaio 1937, p. 1.
150 N. Labanca, Morire per l’Impero. Su cifre e parole per i caduti italiani di una guerra coloniale fascista, in La morte per la patria cit., pp. 119-156, in partic. p. 155.
151 Cfr. Distinzione, in «La Nostra Bandiera», n. 12, 30 giugno 1936, p. 6.
152 Cfr. Le manifestazioni patriottiche degli italiani ebrei per la fondazione dell’Impero, in «La Nostra Bandiera» cit.
153 Ibid. Cfr. per la cronaca e due foto della cerimonia: Firenze, in «Davar», a. VI, n. 1-2, genn.-febbr. 1937-XV − Shévat-Adàr 5697, pp. 69-70. Anche «Israel» dava notizia dell’inaugurazione, sia pure senza enfasi e in un esiguo trafiletto: Dalle città d’Italia. Da Firenze. Per la fondazione dell’Impero, in «Israel», nn. 15-16, 7-14 gennaio 1937, p. 7.
154 A. Leogrande, Pavolini nonno e nipote, in «Minima & Moralia. Un blog di approfondimento culturale», 26 aprile 2010 (http://www.minimaetmoralia.it/wp/pavolini-nonno-e-nipote/ , ultimo accesso 31 gennaio 2017).
155 Cfr. Le manifestazioni patriottiche degli italiani ebrei per la fondazione dell’Impero. Il discorso del Rabbino, in «La Nostra Bandiera», n. 2, 16 gennaio 1937, p. 1.
156 Collotti, Il fascismo e gli ebrei cit., p. 41. Cfr. anche M. Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei. Cronaca dell’elaborazione delle leggi del 1938, Torino, Zamorani, 1994.
157 Piattelli, ‘Israel’ e il sionismo in Toscana negli anni Trenta cit., p. 72 e p. 79 (nota 175); Minerbi, La comunità ebraica di Firenze cit., pp. 171-72. Cfr. per lo stesso episodio anche A. Luzzatto, Autocoscienza e identità ebraica, in Storia d’Italia. XI, Gli ebrei in Italia cit., pp. 1829-1900, in partic. p. 1845.
158 Per l’arresto dei Passigli, cfr. infra, nota 48.
159 D. Palterer, Un impegno da mantenere. Firenze: nuova lapide nel giardino del tempio, in «Firenze ebraica», n. 3, maggio-giugno 2003, p. 24 (corsivo del testo).
160 Giobbe 16, 18, in Bibbia ebraica. Agiografi cit., p. 160. «La copertura e l’assorbimento del sangue sparso in terra venivano considerati come espiazione del delitto. Giobbe quindi paragona le sue disgrazie a sangue sparso senza copertura per cui se ne potesse tramandare il ricordo e fosse riconosciuta la sua innocenza», ivi, nota 7.
161 La neonata era la piccola Eva Cassuto, figlia del rabbino capo di Firenze, Nathan e di Anna Di Gioacchino, entrambi deportati; per gli altri casi cfr. Picciotto, Il libro della memoria cit., ad nomina.
162 Viterbo, A ricordo perenne dei deportati cit., p. 35.
163 Tra questi, per esempio, il già ricordato bandierista Piero Chimichi e sua moglie Laura Prato. Secondo la testimonianza della figlia, i Chimichi «furono arrestati a Firenze il 27 gennaio 1944 da elementi tedeschi e fascisti» (ASFI, Corte d’Assise di Firenze 1954/12, fasc. "Circolo d’Assise di Firenze”. Vol. III, verbale della testimonianza di A.-S. Chimichi, resa a Roma il 30 maggio 1947, p. 69). Tra gli altri deportati fiorentini battezzati, non inseriti nella lapide del 1951, troviamo il caso già ricordato di Giuseppe Passigli (cfr. infra, nota 48), Elena Castelli Modigliani, suo figlio Vittorio Modigliani; tra i fucilati i due fratelli Papini, Franco e Alfredo (ACEFI, Dep. 13.2, fasc. 3 Elenchi di ebrei fiorentini. Elenco di ebrei catturati a Siena e a Firenze).
164 2 Samuele 1, 19, in Bibbia ebraica. Profeti anteriori, a cura di R. D. Disegni, Firenze, Giuntina, 2003, p. 156. «L’invocazione può riferirsi a Israele e cioè significare: il fiore dei tuoi figli, lo splendore della nazione è scomparso», ivi (nota 4).
165 Zaccaria 3, 2, in Bibbia ebraica. Profeti posteriori, a cura di R. D. Disegni, Firenze, Giuntina, 20113, p. 350.
166 Cfr. Enzo Bonaventura (1891-1948). Una singolare vicenda culturale dalla psicologia sperimentale alla psicoanalisi e alla psicologia applicata, a cura di S. Gori-Savellini, Firenze, Giunti, 1990.
167 Desidero ringraziare Shulamit Furstenberg Levi per le traduzioni dall’ebraico.