16, 2022
 
Saggi    
 
Abstract


Nicola Ribatti

Il bisturi, lo stilo e il pennello.
Qualche riflessione su letteratura e arti figurative in 'Anastomòsi' di Carlo Emilio Gadda




La critica recente ha sempre più messo in rilievo l'importanza che le arti visive assumono nell'opus gaddiano. In esso sono rintracciabili numerosissimi riferimenti, espliciti o impliciti, a opere artistiche, realmente esistenti o meno, che mostrano tra l'altro la grande capacità dello scrittore nel cogliere gli aspetti più rilevanti di un'opera o di un artista. Il notevole interesse di Gadda per le arti è altresì testimoniato dalle recensioni che egli ha dedicato a numerosi artisti in occasione di mostre (Leonardo, Ensor, De Pisis) o da quei testi che possono essere considerati veri e propri brani di critica d'arte e riflessione estetica, come quelli dedicati all'amatissimo Caravaggio, a Crivelli o a Salvador Dalì. Un ruolo di guida e mentore, come ha dimostrato a suo tempo Raimondi,1 è stato certamente svolto dal «sommo Roberto Longhi»,2 da cui Gadda riprende non solo l'interesse per i pittori lombardi e veneti del XVI e XVII secolo, scoperti e valorizzati da Longhi, ma anche l'interesse per un genere testuale come l'ékphrasis, vale a dire la descrizione verbale di opere artistiche, di cui il critico d'arte è stato indiscutibile maestro. I riferimenti alle arti visive in Gadda non si limitano però ad attestare la vastissima (e onnivora) enciclopedia figurativa dello scrittore o ad ampliare il significato simbolico di qualche passo descrittivo. Martha Kleinhans pone, ad esempio, la scrittura di Gadda sotto il segno dell'intermedialità. Sulla scorta delle longhiane «equivalenze verbali», Gadda conferirebbe alla sua scrittura «eine Bildlichkeit, [die] sucht einen Weg nicht nur nach Repräsentation, sondern auch nach der Darstellung des eigentlich Undarstellbaren».3 I lavori di Maria Antonietta Terzoli,4 e segnatamente il Commento al Pasticciaccio, hanno altresì ampiamente dimostrato come i numerosissimi riferimenti alle arti, siano essi «manifesti» o «criptici», assolvono a un importante «valore metatestuale»5 che risulta imprescindibile per l'interpretazione stessa delle opere gaddiane. Sulla scorta di questo filone critico, le osservazioni che seguono si concentreranno su una breve ma densa prosa di Gadda, Anastomòsi, e proveranno a verificare la presenza dei modelli iconografici a essa sottesi indagandone la funzione e il significato.
2. Il saggio viene inizialmente pubblicato nel 1940 con il titolo Ablazione del duodeno per ulcera; sarà poi incluso, con il titolo di Anastomòsi, nella raccolta Gli anni (1943) e, infine, ripreso con minime variazioni in Verso la Certosa (1961).6 L'occasione che induce lo scrittore alla composizione del testo viene ricordata da Bertoni:7 Gadda avrebbe dovuto sottoporsi a un intervento all'addome a causa di un'ulcera duodenale. A tal fine egli aveva chiesto al chirurgo milanese Fasiani di poter assistere preventivamente a un intervento analogo. Ne nasce una sorta di «prosa d'arte»8 in cui lo scrittore, che si trova prima in una «specie di teatro anatomico in soffitta» (A 329) e poi discende direttamente nella sala operatoria, descrive con minuzia tutti i dettagli dell'operazione: l'incisione e l'apertura dell'addome, l'estrazione dell'intestino, l'ablazione del duodeno, la successiva ricucitura. L'operazione descritta va ben oltre il semplice resoconto oggettivo dettato da interessi di tipo scientifico, ma si carica, come ha giustamente osservato Bertoni,9 di una chiara valenza allegorica. Lo testimoniano le espressioni con cui lo scrittore definisce gli intestini: «trama» (A 333), «groviglio» (A 334), «nefando pasticcio» (A 336), «laberinto» (A 333), «scombinata mollezza» (A 334), «secrete parvenze» (A 331). Termini come «groviglio» o «pasticcio» rimandano chiaramente alla gnoseologia di Gadda, per il quale la realtà è «groviglio» o «pasticcio», è costituita da una trama infinita di relazioni e gli oggetti in essa presenti non sono altro che un grumo di infinite relazioni, da cui partono e verso cui convergono i raggi infiniti che connettono tra loro tutti i dati della realtà. Il gesto del chirurgo, che con il bisturi incide la superficie del corpo, porta alla luce il groviglio che vi si nasconde, rimuove la causa del male, sutura e ri-costruisce il corpo, diviene allegoria del processo conoscitivo che, andando oltre la superficie fenomenica, riesce a cogliere e a "sbrogliare" la trama complessa del reale riportandola a sistema. Come osserva giustamente Bertoni, Gadda adotta nel testo un modello conoscitivo che si potrebbe definire "anatomico".10 Il "viaggio" nel corpo umano compiuto da Gadda sotto la guida del chirurgo si presenta infatti come un percorso ermeneutico in cui il chirurgo, quasi come una sorta di aruspice, «esteriorizza» i «molli enigmi», li porta alla luce e li "interpreta" quasi «a volervi scoprire una qualche ostinata reticenza, una simulazione pervicace, antica» (A 335). Tale processo conoscitivo implica dunque anche violenza, disgregazione e morte: per il Gadda della Meditazione milanese «conoscere è inserire alcunché nel reale, è, quindi, deformare il reale».11 E in un altro passaggio: io penso al conoscere come a una perenne deformazione, introducente nuovi rapporti e conferente nuova fisionomia agli idoli che talora dissolve e annichila [.]. E nel progresso del conoscere il dato si decompone, altri dati sorgono dai cubi neri dell'ombra e quelli da cui siamo partiti non hanno più senso, "non esistono più".12 Il processo conoscitivo porta necessariamente a "violare" la realtà (l'operazione chirurgica è definita «spaventosa effrazione», A 333), a deformare il dato e a ri-costruirlo esattamente come fa il chirurgo, che incide e "viola" il corpo per poi ri-costituirlo. È interessante notare come questo modello conoscitivo "anatomico", che assai verosimilmente Gadda riprende dalla cultura tardo-rinascimentale e barocca,13 venga declinato in Anastomòsi attraverso una molteplicità di isotopie tematico-figurative che attraversano la prosa come fossero "fili" di una complessa trama metaforica. La prima isotopia, già anticipata nelle considerazioni precedenti, è quella che rimanda alla dimensione della scrittura. Il bisturi è definito come «penna tagliente, lucidissima» (A 332), il resettore elettrico è definito «quasi matita nuova» (A 333) e «matita dalla strana anima» (A 335); il tessuto peritoneale inciso dal bisturi-stilo è detto «foglio roseo» (A 332), «foglio rosato» (A 332). Per Gadda, come si è osservato, lo scrittore agisce in modo analogo al chirurgo: attraverso la sua penna egli «penetra» metaforicamente oltre la superficie del fenomenico per cogliere il «guazzabuglio» della realtà e «organare il groviglio conoscitivo».14 Il corpo stesso, paragonato a un «misero Arlecchino» e a una «vecchia veste frusta» (A 335), appare come un textus, come intreccio fisico e metaforico il cui groviglio viene ricondotto a sistema dallo scrittore-chirurgo. Dalle citazioni precedenti emerge un'ulteriore isotopia, che si potrebbe definire artistica. Si è visto che il bisturi è paragonato a una matita «dalla strana anima» (A 335), quasi dotata di vita propria, e il peritoneo è paragonato a un «foglio roseo» (A 332).15 A ciò si può aggiungere che la pelle appare «pitturata» (A 330) dalla tintura di iodio, l'incisione all'addome è definita «spaventosa losanga» (A 332), il corpo è descritto come un «pupazzo sbuzzato» (A 335), quasi fosse una sorta di manufatto artistico o un modellino rotto, di quelli usati dagli artisti per riprodurre le fattezze del corpo umano. Il bisturi del chirurgo è non solo «penna», ma è anche «matita», è una sorta di "pennello" che raffigura le disiecta membra della realtà per ricomporle nell'unità figurativa della pittura.16 La stessa descrizione dell'operazione sembra seguire una sorta di tecnica pittorica di sapore quasi caravaggesco. L'ambiente della sala operatoria è infatti immersa nel buio, al centro si proietta il cono di luce che fa emergere dal buio i vari personaggi presenti, caratterizzati dal bianco, su cui il narratore insiste in modo quasi ossessivo. La luce illumina in pieno il corpo del paziente, le cui viscere vengono raffigurate quasi ricorrendo a "pennellate" di colore: abbiamo il «rosa pallido, rosso, bianchiccio, con qualche frustolo gialliccio, e la trama verdescura o violacea dei vasi sanguigni» (A 333), altrove descritti «come radici e barbe d'un'edera d'un color vinoso» (A 332), o «i colori rosati, e rossi, e biancastri, e giallicci» (A 335) dell'intestino. Ritroviamo ulteriori riferimenti figurativi allorquando il narratore allude ad alcune opere anatomiche rinascimentali: il ciarpame delle cose molli [è] revocato a schema nelle fantasiose tavole notomiche dello Anthropologium hundtiano, nei gratuiti nodi di fettuccia del Philosophiae naturalis compendium peyligkiano, piuttosto che nei disegni veridici, mirabilmente patenti, del disegnatore e notomista Leonardo: che il groviglio dell'anse intestinali ha saputo ritrarre in bellezza e in rotondità evidenziante, e quasi nel vigore del travaglio, turgide di un ragionevole accantonamento, gonfie di loro adempiute prestazioni (A 334-5). Gadda fa qui riferimento anzitutto alle tavole presenti nei trattati anatomici di Johannes Peyligk (1474-1522), filosofo tedesco autore del Philosophiae naturalis compendium (Leipzig, 1499), e di Magnus Hundt (1449-1519), filosofo, teologo e medico, autore dell' Antropologium [sic] de hominis dignitate, natura et proprietatibus (Lipsia 1501).17 Si può osservare come in una tavola dell'Antropologium cui Gadda fa riferimento (Fig. 1) ritorni il motivo dell'intestino visto come groviglio o, con cifra stilistica grottesca, come «gratuiti nodi di fettuccia» (A 334). È altresì interessante notare che Hundt, riprendendo la tradizione neoplatonica rinascimentale, esalta nel suo trattato la dignità dell'uomo inteso come "nodo", come punto di contatto tra creazione e creatore. Egli afferma infatti che: «Homo est dei et mundi nodus»18 e, poco dopo: «Et preterea solus homo est nexus dei et mundi».19 Il terzo riferimento visivo è alle celebri tavole anatomiche di Leonardo20 (Fig. 2 e Fig. 3), e anche qui è evidente il motivo del groviglio. Leonardo è artista particolarmente caro a Gadda (e in questo l'autore di distacca da Longhi) per la sua "visione scientifica" ante litteram del reale e per la sua Doppelbegabung di artista e ingegnere. Per di più egli incarna proprio il prototipo dell'anatomista-artista che viene tematizzato nella prosa. Ma il nome di Leonardo ritornerà successivamente. Un'ulteriore isotopia individuabile nel testo è quella mitica. Il chirurgo viene presentato come una sorta di Parca che, cucendo, determina il destino dell'uomo («il ricucitore [...] forse ricucirà, forse allaccerà per sempre», A 337), mentre il paravento che ostruisce il campo visivo del paziente è definito «piccolo telaio» (A 337). All'isotopia mitica appartiene anche la raffigurazione del medico come demiurgo. Da un lato, come si è detto, l'intestino è visto come «il ciarpame delle cose molli», una sorta di platonica ὕλη che si sottrae (almeno per quanto concerne il narratore che osserva) a ogni forma di comprensione e simbolizzazione; dall'altro vi sono i manuali anatomici in cui quel groviglio incomprensibile appare ridotto a pura forma, a εἶδος. Tra il polo della cieca materia, della pura parvenza, e quello della pura forma si colloca la figura demiurgica del chirurgo che riesce a dare ordine al groviglio, a ripristinare il sinolo di materia e forma: La sua dialettica si manifesta nei silenti atti; è un rifacimento biologico, un ripensare coi ferri e con le agugliate la costruzione di natura, un rivolere, un ripristinare la forma. [...] Egli opera con la complicità di natura, al disopra di lei. Profanando il buio segreto e l'intrinseco della persona, ecco il risanatore ne ha evidenziato lo schema fisico: ha letto l'idea di natura nel mucchio delle viscide parvenze (A 337). Se, come dichiara don Ciccio Ingravallo nel Pasticciaccio, la morte è una «decombinazione estrema dei possibili, uno sfasarsi di idee interdipendenti, armonizzate già nella persona»,21 il chirurgo-demiurgo «cuce e ricuce la vita entro le ampolle molli» (A 337). In questa opera di "rifacimento" del corpo del paziente Gadda, con tecnica espressionista, si sofferma in modo quasi ossessivo sull'immagine della mano che incide, scandaglia, cuce e solleva.22 È una mano che compare quasi separata dal corpo, elemento che accentua ulteriormente la dimensione unheimlich della scena descritta, ma che allo stesso tempo si presenta prepotentemente come metonimia visuale della scrittura attraverso la quale il chirurgo-scrittore ricuce e connette tra loro i possibili narrativi.23 Un'ulteriore isotopia rintracciabile nella prosa è quella della katabasis. La semiosi spaziale si caratterizza da subito come ambiente ctonio, come indica lo stesso io-narrante quando crede di trovarsi in «una cella o in un ipogeo strano dei defunti secoli egizi» (A 329), dove i medici si apprestano a compiere un rito di imbalsamazione. Il narratore fa poi costante riferimento alle «fasciature» (A 329), alle «tele» (A 329) e ai «lini» (A 329) utilizzati per l'operazione, quasi si trattasse di bende per l'imbalsamazione o di sudari atti ad avvolgere una salma. L'operazione chirurgica, poi, finalizzata all'asportazione dei tessuti malati, appare come una vera e propria katabasis, come un viaggio ermeneutico finalizzato a conoscere il male fisico e morale e a eliminarlo. Non a caso alcuni passaggi sembrano implicitamente alludere al modello della Commedia dantesca, ben presente a Gadda.24 Il chirurgo con il quale l'io-narrante compie il suo viaggio è definito per ben due volte «maestro»25 e appare sempre caratterizzato dal silenzio,26 come il Virgilio dantesco in Inf. I.27 La difficolta dell'io-narrante a comprendere i «molli enigmi (per me)» (A 331) dei visceri e la loro «ostinata reticenza» (A 331) potrebbe forse essere paragonata allo scacco interpretativo che Dante subisce, all'inizio del suo viaggio nell'oltretomba, allorquando cerca di comprendere l'oscura e minacciosa scritta posta sulla porta infernale.28 La sutura con cui termina l'operazione è definita «rattoppo demoniaco» (A 329); grazie ad essa sono «ricacciate di tra i ferri le genie invisibili, gli infinitesimali agenti della putredine» (A 337), mentre l'intestino del paziente è definito con il termine «frode» (A 335), cui Gadda contrappone la «celere veggenza» (A 335) degli atti del chirurgo; si potrebbero forse scorgere in queste "tessere" lessicali dei rimandi al cerchio delle Malebolge, dove vengono puniti indovini e consiglieri fraudolenti. Quando ormai l'addome sta per essere ricucito, e dunque quando sta per risalire dalla «tenebra corporea» (A 331), l'io-narrante dichiara: vorrei camminare la spiaggia e ribevere l'indaco della marina: e riconoscere i corpi incolumi dei viventi a smemorarsi nel sole (A 337). Anche qui potrebbero essere rintracciabili alcuni rimandi danteschi, in particolare al canto I del Purgatorio. Il termine «marina» sembra riprendere «il tremolar de la marina» (Pg. I 117), l'indaco rievoca il «dolce color d'orïental zaffiro» (Pg. I 13), la «spiaggia» potrebbe rimandare alla spiaggia dell'Antipurgatorio, il «sole» potrebbe essere un richiamo a «lo bel pianeto che d'amar conforta» (Pg. I 19), mentre l'idea dello smemorarsi (del male fisico e morale) sembrerebbe rinviare al fiume Lete descritto da Dante in Pg. XXXI-XXXIII. Infine: il chirurgo che guarisce il malato grazie alla «militante disciplina della carità e del soccorso [...] appare quasi alta e muta madre» (A 338); il sintagma «alta e muta madre», rafforzato dalla allitterazione della bilabiale /m/ e dai foni /a/ in posizione tonica, sembra rinviare alla «Vergine Madre [...] umile et alta» di Pd. XXXIII 1-2, da cui il chirurgo riprenderebbe anche la relativa funzione di intermediaria tra Dio e gli uomini. La possibile allusione a Maria permette di cogliere un altro riferimento visivo e di rilevare un'ultima isotopia tematica: quella cristologica. L'io-narrate collega esplicitamente il lavaggio delle mani del chirurgo al celebre gesto di Pilato.29 Verso la fine della prosa egli afferma: Iddio clemente sembra considerare il travaglio di quella mano instancabile [scil. del chirurgo], autorizzata da Lui a schiudere l'addome di questo tardo esemplare della specie, a estruderne interna miseria (A 336). Il chirurgo appare quale intermediario tra Dio e l'uomo, quasi un alter Christus inviato a salvare l'uomo dal male, a riscattare la sua «natura decaduta» (A 335). Allo stesso tempo il corpo del paziente, caratterizzato «d'una lividura di peste o d'una intumescenza pervenuta a maturità chirurgica» (A 330), raffigurato com'è nella sua nuda creaturalità,30 rimanda chiaramente all'iconografia della Passio Christi, come risulta chiaro dal passo seguente, dove il corpo di Cristo è definito «illividito»: Sul corpo teso, disumanato, insiste con gli atti taciti della sua bianchezza: che mi appare quasi alta e muta madre o matrice della resurrezione. Ripenso, delle nostre antiche pitture, sant'Anna, sopra la Figlia, e Lei sopra il corpo illividito del Figliolo (A 338). Compare qui un ulteriore riferimento alle arti visive, precisamente all'iconografia di Sant'Anna Metterza, vale a dire "messa a fare da terza" o "medesima terza", con cui si intendeva evidenziare il rango della santa come terza in ordine di importanza dopo Gesù e la Madonna. Nell'iconografia tradizionale la santa regge in braccio la Madonna che a sua volta regge Gesù Bambino. Tale modello era molto diffuso nelle pale d'altare medievali, ma avrà significative propaggini nel XVI e XVII secolo: si pensi, tra i molti esempi citabili, alla Sant'Anna Metterza di Masaccio-Masolino (Fig. 4). In realtà Gadda, come hanno osservato Martha Kleinhans31 e Federico Bertoni,32 sembra contaminare due modelli iconografici: da una parte quello di Sant'Anna Metterza, in cui però è presente un Cristo infante, dall'altro quello della Pietà, dove appare invece il corpo del Cristo morto. Il chirurgo, che a un certo punto si dispone dietro il medico seduto che regge la testa del paziente, evoca dunque in Gadda la memoria del modello iconografico di Sant'Anna Metterza che egli combina con quello della pietà. Non è dichiarato esplicitamente a quali opere pittoriche o a quali artisti Gadda faccia riferimento (egli parla «delle nostre antiche pitture»). Poiché in precedenza lo scrittore ha citato gli studi anatomici di Leonardo, egli potrebbe qui riferirsi a Leonardo, come ha già suggerito Bertoni.33 Ci sono giunte due opere leonardesche aventi questo soggetto: il Cartone di Sant'Anna (detto anche Burlington House Cartoon) e Sant'Anna, la Madonna e il Bambino con l'agnello (Fig. 5). Il cartone preparatorio presenta una certa mancanza di compattezza nell'organizzazione dei personaggi e fu probabilmente abbandonato da Leonardo per tale motivo.34 Maggiore organicità nell'organizzazione spaziale rivela invece il successivo Sant'Anna, la Madonna e il Bambino con l'agnello. L'artista qui riprende lo schema piramidale, tipico della precedente tradizione pittorica (si veda la struttura rigidamente verticale e piramidale nell'opera di Masolino e Masaccio), ma lo rende molto più dinamico. Egli infatti presenta una sequenza di figure che sono tra loro strettamente correlate, come se Maria e Anna avessero lo stesso corpo, rappresentato in pose e momenti temporali differenti. Si noti altresì come Sant'Anna e Maria appaiano entrambe molto giovani: si tratta della cosiddetta Mariaformitas di Sant'Anna, il topos mariano della maternità virginale e giovanile viene cioè trasferito da Maria anche a Sant'Anna al fine di evidenziare il rango e la santità di quest'ultima.35 Per quanto concerne l'interpretazione, già i contemporanei36 di Leonardo leggevano l'opera in chiave allegorica. Maria cerca di allontanare Gesù dall'agnello, allegoria della Passione, mentre Sant'Anna, allegoria della Chiesa, cerca di impedire tale gesto affinché la Storia della Salvezza faccia il suo corso e si possa giungere alla salvazione dell'uomo. Ad analoga interpretazione allegorica veniva sottoposto il paesaggio sullo sfondo. L'inospitalità della natura, non toccata da uomo eppur resa vitale dalla pioggia, rimanda all'immacolata concezione, mentre l'albero verdeggiante, che a tale paesaggio inospitale si contrappone, potrebbe alludere a Sant' Anna che, un tempo sterile, in tarda età concepisce e genera Maria grazie all'intervento divino.37 A corroborare l'ipotesi che Gadda si stia riferendo a questo dipinto di Leonardo contribuisce l'interpretazione che lo scrittore stesso fornisce dell'opera di Leonardo in Anime e schemi (incluso in I viaggi la morte), dove la Sant'Anna leonardesca è vista come il modello esemplare della madre amorevole e affettuosa («è la vera voce materna, è tenerezza amorosa»38), ma anche principio della vita che si trasmette attraverso le generazioni: Nel gioco delle significazioni, ella riveste e reca in sé le memori e necessarie speranze che il passato ha concepito per noi: è quello ch'io chiamo il supporto agnatizio (la causa efficiente in senso biologico e spirituale) della creatura umana. Come Sant'Anna in Leonardo.39 L'abbraccio tra la Madonna e Sant'Anna è «il simbolo della maternità discendente, della perenne femminilità, lungo il sopravvivere della casata infinita».40 Gadda contamina dunque, secondo un procedimento che è cifra precipua della sua prosa, riferimenti iconografici (Leonardo) e letterari (Dante) per mettere in rilievo il ruolo del chirurgo inteso come madre allegorica che trasmette la vita attraverso le varie generazioni che si susseguono. Da quanto sin qui detto si può comprendere come la prosa di Gadda si configuri essa stessa come un fittissimo intreccio di "fili tematici" tra loro strettamente intersecati. Lo scrittore realizza un dispositivo testuale in cui il riferimento a molteplici codici (letterari, mitici, visivi) ha lo scopo di ampliare le possibilità semantiche della letteratura, al fine di descrivere il reale cogliendone ogni possibile sfumatura, ogni filo del garbuglio.
3. I riferimenti pittorici a Leonardo in Anastomòsi risultano espliciti o comunque decifrabili. Non è tuttavia da escludere che la prosa sia stata influenzata da una certa pittura fiammingo-olandese. Uno dei generi più diffusi nella pittura fiammingo-olandese del XVII secolo, infatti, era la Lezione di anatomia e non è da escludere che Gadda si sia ispirato a quella produzione artistica, in particolare alla Lezione di anatomia del Dr. Nicolaes Tulp di Rembrandt. Bisogna subito dire che Gadda non cita mai esplicitamente l'artista. Tuttavia lo scrittore riconosce esplicitamente una parentela con la pittura fiammingo-olandese per quanto concerne la componente "maccheronica" della sua scrittura. In Fatto personale ... o quasi egli afferma: In un senso ampio ed alto, resultano maccheronici dopo che lirici i grandi lombardi contro l'apparato rinascimentale: il Fossano, il Foppa, il Moretto, l'allucinante violenza del Caravaggio: i Fiamminghi della descrizione, del catalogo: l'animismo folle d'un Bosch.41 Lo stesso Longhi del resto aveva messo in evidenza il debito che la pittura fiammingo-olandese, e Rembrandt in particolare, aveva nei confronti di Caravaggio.42 Gadda dimostra insomma di conoscere ampiamente quella tradizione pittorica e non si può dunque escludere che egli, pur non citandolo, possa aver conosciuto l'opera di Rembrandt (erede nordico della tradizione caravaggesca) e che temi e stilemi del più importante rappresentate di quella cultura figurativa possano essere giunti per via discorsiva43 nella prosa gaddiana. La diffusione degli studi di anatomia di Vesalio, autore della fondamentale De humani corporis Fabrica (pubblicato a Basilea nel 1543), gli studi sull'ottica e, in genere, il diffondersi di una nuova mentalità "scientifica" di tipo empirico44 fanno sì che, nell'Olanda del XVII secolo, si affermi la moda di organizzare vere e proprie lezioni pubbliche di anatomia. Queste avevano luogo una volta all'anno, d'inverno, all'interno di teatri anatomici e vi potevano partecipare non solo medici e studenti, ma anche semplici curiosi. Questi, pagando un biglietto, potevano assistere alla dissezione di un cadavere (un condannato a morte, l'unico il cui corpo potesse essere soggetto a tale pratica), in genere preceduta da riflessioni moraleggianti riguardanti la caducità dell'uomo. Un'incisione del 1609 di Woudanus45 (Fig. 6) mostra un esempio di teatro anatomico. Al centro vi è il subiectum anatomicum di cui viene, come da prassi, sezionato anzitutto l'addome poiché gli organi interni erano i primi ad andare incontro a decomposizione. Accanto vi è il chirurgo con gli strumenti del mestiere e tutt'intorno una folta schiera di studenti, medici e comuni cittadini nonché numerosi scheletri con vessilli che ammoniscono il lettore con sententiae moraleggianti come: «Nosce te ipsum» o «Pulvis et umbra sumus». La celebrazione della conoscenza doveva essere sempre unita alla riflessione morale sulla caducità umana. Anche a livello artistico si assiste ben presto al fiorire di un vero e proprio genere pittorico, quello della lezione di anatomia. Questo genere aveva un duplice scopo: da un lato celebrare i singoli personaggi, che pagavano un cospicuo prezzo per esservi raffigurati; dall'altro esaltare il prestigio della gilda dei medici che commissionava l'opera. Il ritratto doveva celebrare allo stesso tempo, come ricorda Riegl in un suo importante saggio,46 le singole individualità e l'appartenenza alla gilda. Tra le numerose opere appartenenti al genere47 si può ricordare anzitutto la Lezione anatomica di Sebastien Egbertszoon de Vreij (1603) di Aert Pieterszoon (Fig. 7). Qui l'artista raffigura ben ventotto membri della gilda dei medici, disposti su tre file intorno al dottor de Vrij che, bisturi in mano, si accinge a praticare un'incisione su un cadavere dal volto coperto. I membri più eminenti sono identificati dagli oggetti che portano in mano: un bacile (a sinistra) o l'elenco dei partecipanti (a destra). Si tratta di un'opera dalla composizione particolarmente statica e innaturale, dove l'angolazione delle teste rappresenta l'unico elemento dinamico di una composizione altrimenti fortemente innaturale. Ritroviamo lo stesso medico ne La lezione di osteologia del Dr. Sebastien Egbertszoon (1619) di Thomas de Keyser (Fig. 8). Qui il medico è impegnato in una lezione di osteologia su uno scheletro proveniente da un corpo che doveva già essere stato dissezionato in precedenza. Uno degli astanti guarda lo spettatore e indica con un gesto della mano lo scheletro come monito a riflettere sulla caducità umana. L'ammirazione per la mirabile costruzione della macchina corporea, per la vesaliana fabrica, era sempre accompagnata dalla consapevolezza dell'ineluttabilità della morte. Questo messaggio moraleggiante viene ulteriormente sottolineato, come osserva Schama,48 dalla originale posizione dello scheletro e del dottore, che si fronteggiano in una sorta di "faccia a faccia". Anche Rembrandt si dedica al genere dipingendo due opere: La lezione di anatomia del Dr. Nicolaes Tulp (1631; Fig. 9) e La lezione di anatomia del Dr. Deyman (1656; Fig. 10), quest'ultima giuntaci parzialmente danneggiata a causa di un incendio avvenuto nel 1723. La prima opera viene commissionata dal dottor Nicolaes Tulp, celebre medico esperto di gastroenterologia49 (una sorta di dottor Fasiani del XVII secolo) e praelector della gilda dei medici di Amsterdam. A lui spettava pertanto il compito dell'annuale lezione pubblica di anatomia ed egli affida l'incarico di raffigurarla a un giovane e sconosciuto pittore appena ventiseienne giunto ad Amsterdam da Leida. Al centro del dipinto di Rembrandt vi è il cadavere di un certo Adrian Adrianeszoon, detto "Het Kindt" ("Il bambino"), che era stato condannato a morte per tentato furto e tentato omicidio il 31 gennaio del 1632. Alla sua destra è raffigurato il dottor Tulp: egli impugna nella destra una pinza con cui tira i muscoli flessori dell'avambraccio sinistro (responsabili della motricità fine) e con la sinistra mima il movimento reso possibile da quei muscoli al fine di visualizzarne meglio il meccanismo di funzionamento. Il suo prestigio sociale è sottolineato dall'elegante abito, dal mantello, dai raffinatissimi merletti e dal cappello che indossa. Intorno al tavolo anatomico si trovano sette medici i cui nomi sono leggibili nella lista tenuta in mano da uno degli astanti. Essi osservano con diverse reazioni psicologiche la mano del dottor Tulp o l'atlante anatomico in cui è verosimilmente raffigurata l'anatomia di un corpo. Come si può vedere da un rapido confronto con le opere dei suoi predecessori, Rembrandt innova profondamente il genere.50 La composizione delle figure risulta molto più dinamica e "teatrale".51 Tale dinamicità deriva anzitutto dall'uso della prospettiva accidentale che, al contrario di quella centrale, non permette solo uno ma più punti di vista. Lo spettatore ha la sensazione di poter partecipare direttamente all'evento, quasi di poter girare intorno al tavolo operatorio o di sedersi accanto al medico seduto a sinistra, nello spazio lasciato libero da Rembrandt tra la sua sedia e il tavolo anatomico, esattamente come fa Caravaggio nella Vocazione di San Matteo. Ad "aprire lo spazio" contribuisce anche la raffigurazione di scorcio del cadavere, che Rembrandt riprende dalla Deposizione nel sepolcro di Rubens e che ha il suo archetipo nel Cristo morto di Mantegna, chiaramente citato nella Lezione di Anatomia del Dr. Deyman.52 Il senso di dinamicità si realizza anche attraverso la disposizione delle figure all'interno di una piramide asimmetrica, entro la quale tutti i personaggi appaiono chiaramente, senza alcuna sovrapposizione. Un'altra grande novità consiste nel realismo psicologico con cui Rembrandt raffigura i volti dei medici. La luce, che proviene dall'alto a sinistra, scivola letteralmente sui volti degli astanti, ne modella con grande precisione i tratti (dovevano essere chiaramente riconoscibili), fino a registrare i dettagli delle barbe colte, e ne mette in rilievo le varie reazioni psicologiche che vanno dallo stupore alla curiosità e all'ammirazione. Un'ulteriore innovazione rispetto all'iconografia codificata consiste nel fatto che la dissezione non viene praticata sull'addome, come avveniva usualmente, ma sul braccio, e questo nonostante Tulp fosse celebre proprio per i suoi studi di gastroenterologia. Questa variazione ha una precisa motivazione. Sulla prima edizione della Fabrica di Vesalio l'autore è rappresentato intento a sezionare un braccio (Fig. 11). Il padre della moderna anatomia, contro ogni forma di separazione tra sapere pratico e teorico, elogiava tra l'altro la mano come controparte dell'intelletto umano: la vera conoscenza doveva venire dallo studio diretto del corpo umano53. Nel quadro di Rembrandt, sul foglio contenente l'elenco degli astanti, è raffigurato un "uomo vesaliano" sezionato ed è probabile che l'atlante presente sulla scena sia proprio una copia della Fabrica. Rembrandt realizza a pieno l'intento celebrativo per cui era stata commissionata l'opera presentando il dottor Tulp come il "nuovo Vesalio", intento con la sua mano a mostrare la prodigiosa fabrica del corpo umano costruita dal "divino ingegnere". Il gesto della mano di Tulp che mima i movimenti dei muscoli flessori delle dita (Fig. 12 e Fig. 13) non si limita tuttavia a costituire un riferimento a Vesalio e, di conseguenza, un omaggio al suo committente, ma assume una notevole rilevanza simbolica. Tale rilevanza è ulteriormente messa in evidenza dalla luce che la illumina e dalla sua collocazione in un luogo particolarmente significativo: quello ottenuto intersecando la diagonale maggiore della tela con la sua perpendicolare. I muscoli attivati sono quelli che garantiscono la motricità fine della mano e, distinguendolo da tutte le altre specie viventi, permettono all'essere umano di afferrare gli oggetti: un bisturi, un pugnale (come ha fatto la sottostante mano di Aris Kindt) o un pennello. Rembrandt con quel gesto intende dunque celebrare non solo l'anatomista Tulp e la moderna visione scientifica del mondo, ma anche e soprattutto celebrare la pittura che, al pari del moderno sguardo scientifico, permette di indagare e scoprire la verità nascosta sotto il velo delle apparenze. La mano del pittore è pari alla mano dell'anatomista: entrambe incidono la superficie delle cose per cogliere la verità in essa nascosta. Rembrandt fa proprio quel modello conoscitivo "anatomico" che, come si è detto, attraversa la cultura del Seicento europeo. Egli riprende inoltre un topos, quello della «mano d'artista», che ha grande fortuna nella pittura dal XVI secolo in poi.54 Tra i numerosi esempi si può ricordare L'autoritratto in uno specchio convesso (1523) del Parmigianino (Fig. 14), dove l'artista, attraverso un gioco di specchi, ingrandisce artificiosamente la propria mano curvandola e facendole assumere la posa dell'impugnatura. Qui l'artista vuole celebrare il primato della pittura come arte dell'illusione.55 O si pensi a L'autoritratto come allegoria della Pittura (1638-1639) di Artemisia Gentileschi (Fig. 15), in cui la pittrice, identificandosi con l'allegoria della Pittura, si ritrae con il braccio sensualmente scoperto e teso sulla tela vuota, il pennello in mano, colta nell'attimo iniziale del momento creativo, quando il pennello sta per tracciare il primo segno sulla tela.56 Per Rembrandt nell'arte non vi è nulla di illusionistico o di sensuale. Essa è invece, per citare Gadda, «indefettibile strumento per la scoperta e la enunciazione della verità».57 Il pennello del pittore è simile al bisturi dell'anatomista: incide la superficie, la "pelle" della realtà per scavare sotto di essa, sezionarla e coglierne la complessità, come mostra il «reticolo» dei muscoli raffigurato con straordinario realismo e precisione anatomica. Non vi è tuttavia in Rembrandt un'ingenua e acritica celebrazione dell'arte e della scienza. Egli è anzi consapevole che ogni tentativo che aspiri a cogliere la verità al di là della parvenza implica anche deformazione, distruzione e talvolta morte. Lo denuncia chiaramente il corpo di Aris Kindt, che, insieme alla mano di Tulp, rappresenta l'altro centro semantico del dipinto. Il cono di luce che prorompe dall'alto, con una tecnica che ricorda ancora una volta la Vocazione di Caravaggio, illumina in pieno il corpo «illividito» di Aris Kindt. Rembrandt raffigura inoltre il volto cadaverico di Aris con la stessa cura e precisione con cui dipinge il volto dei medici. Si è visto inoltre come la posizione scorciata del corpo rimandi al modello iconografico della Passio Christi. Rembrandt dunque non si limita a compiere un elogio della nuova mentalità scientifica, ma ne mostra anche la facies hyppocratica. Nessuno degli astanti guarda il corpo di Aris: il loro lo sguardo è rivolto all'Atlas anatomico o alla mano di Tulp. Rembrandt sembra così denunciare il pericolo di una dicotomia tra res extensa (il corpo di Aris) e res cogitans (l'Atlas). È invece la pittura a sanare tale dicotomia nella perfezione della forma. Da quanto detto si qui può notare come, pur non essendo dimostrabile una filiazione diretta tra la Lezione di Anatomia del Dr. Tulp e Anastomòsi, molteplici siano tuttavia le consonanze tra l'opera artistica e la prosa. Il tema trattato è analogo: la descrizione/raffigurazione di un intervento medico su un corpo. Nel testo di Gadda non si tratta propriamente di una dissezione, ma, come si è visto, più volte il corpo del paziente sottoposto a operazione chirurgica è paragonato a una salma. Lo scrittore fa poi esplicito riferimento al «teatro anatomico» (A 329), utilizzato nell'Olanda del XVII secolo per le lezioni pubbliche di anatomia; sono citati alcuni atlanti anatomici rinascimentali. La prosa e il dipinto sono caratterizzate da un analogo simbolismo dei colori (dominano il nero, il bianco e il rosso). Simile è altresì la semiosi spaziale: il chirurgo è solo, da un lato del tavolo operatorio, mentre gli assistenti circondano il corpo del paziente; in entrambe le opere si fa riferimento al modello iconografico del compianto e della Passio Christi. Centrale, inoltre, risulta il modello conoscitivo "anatomico" che si concretizza nel motivo della mano intesa come metonimia visiva dello scrittore/artista che, come il chirurgo, disseziona la realtà allo scopo di portarne alla luce la verità e la complessità (il motivo del reticolo è raffigurato in Rembrandt dal fascio dei muscoli flessori). Comune è infine la tensione etico-conoscitiva che mira a svelare la verità nascosta. Gadda e Rembrandt rappresentano/descrivono un viaggio che va oltre l'involucro corporeo nel tentativo di coglierne la trama complessa: raffigurano entrambi una illuminazione, una epifania del noumenico nel contingente.

N. R.



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Note

1 E. Raimondi, Barocco moderno. Roberto Longhi e Carlo Emilio Gadda, Milano, Bruno Mondadori, 1990. torna su
2 C. E. Gadda, Saggi giornali favole e altri scritti, vol. ii, a cura di C. Vela, C. Gaspari, G. Pinotti, F. Gavazzeni, D. Isella, M. A. Terzoli, Milano, Garzanti, 2008, p. 875. Sull'importanza di Longhi per Gadda si vedano anche M. Marchesini Scrittori in funzione d'altro. Longhi, Contini, Gadda, Modena, Mucchi, 2005; Ead., La galleria interiore dell'Ingegnere, Torino, Bollati Boringhieri, 2014; F. Longo, «Leggi: e te tu vedrai». Gadda e le arti visive, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 2018. torna su
3 M. Kleinhans, «Satura» und «pasticcio». Formen und Funktionen der Bildlichkeit im Werk Carlo Emilio Gaddas, Tübingen, Niemeyer, 2005, p. 7. Forse un limite del pur pregevole saggio di Martha Kleinhans consiste nell'estendere eccessivamente il concetto di Bildlichkeit includendovi ogni sorta di tropo. Solo un ipotetico "grado zero della scrittura" risulterebbe pertanto privo di componenti visuali. torna su
4 Cfr. M. A. Terzoli, Alle sponde del tempo consunto. Carlo Emilio Gadda dalle poesie di guerra al «Pasticciaccio», Milano, Effigie, 2009; Ead., Iconografia criptica e iconografia esplicita nel «Pasticciaccio», in Un meraviglioso ordegno. Paradigmi e modelli nel «Pasticciaccio» di Gadda, a cura di M. A. Terzoli, C. Veronese e V. Vitale, Roma, Carocci, 2013, pp. 145-93; Ead., Commento al «Pasticciaccio» di Carlo Emilio Gadda, Roma, Carocci, 2015. torna su
5 Terzoli, Commento al «Pasticciaccio» di Carlo Emilio Gadda cit., p. 24. torna su
6 Le citazioni che seguono derivano da quest'ultima versione del testo, presente in C. E. Gadda, Saggi giornali favole e altri scritti, vol. i, a cura di L. Orlando, C. Martignoni, Milano, Garzanti, 1991, pp. 329-39, di seguito abbreviato con A e numero di pagina. torna su
7 F. Bertoni, La verità sospetta. Gadda e l'invenzione della realtà, Torino, Einaudi, 2001, p. 21. torna su
8 Ivi, p. 12. torna su
9 Ivi, p. 20. torna su
10 Ibid.torna su
11 C. E. Gadda, Meditazione milanese, in Scritti vari e postumi, a cura di A. Silvestri, C. Vela, D. Isella, P. Italia, G. Pinotti, Milano, Garzanti, 1993, pp. 615-894, a p. 863. torna su
12 Ivi, p. 668. torna su
13 Si veda ad esempio il saggio di L. Van Delft, Frammento e anatomia. Rivoluzione scientifica e creazione letteraria, Bologna, Il Mulino, 2004, in cui lo studioso analizza, nell'ambito del Seicento europeo, il parallelismo tra la diffusione degli studi di anatomia, dovuti essenzialmente al grande successo della Fabrica di Vesalio, e il diffondersi presso artisti e scrittori di un vero e proprio "modello anatomico" di indagine. Come l'anatomista esplora il corpo umano attraverso il bisturi, analogamente il moralista "disseziona" con i suoi aforismi l'animo umano per meglio conoscerlo e curarlo. torna su
14 Gadda, Meditazione milanese cit., p. 742. torna su
15 Cfr. anche: «foglio peritoneale» (A 334) e «foglio rosato del peritoneo» (A 334). torna su
16 Una analoga costellazione semantica, che correla metaforicamente le figure dello scrittore, del chirurgo e dell'artista, si ritrova in uno scritto di divulgazione tecnica del 1942 dal titolo: La chirurgia dei quadri all'Istituto Centrale del Restauro (in Gadda, Scritti vari e postumi cit., pp. 178-87). Qui l'attività di restauro dei quadri è paragonata a un'operazione chirurgica: la tela, affetta da una vera e propria «malattia» (ivi, p. 183), viene "curata" dalla «mano medicale» (ivi, p. 184) del restauratore, mentre «l'aggiunta» a un'opera è definita «glossa deformatrice del testo, un laido empiastro sulla carne della bellezza» (ivi, p. 187). torna su
17 Gadda cita questi stessi autori anche nella recensione alla Mostra leonardesca, quando parla degli studi anatomici di Leonardo; cfr.: C. E. Gadda, La «mostra Leonardesca» di Milano, in Verso la Certosa, in Gadda, Saggi giornali favole e altri scritti cit., vol. i, pp. 410-18, a p. 414. Su Gadda e Leonardo si veda P. Antonello, Leonardo, in Pocket Gadda Encyclopedia, edited by F. G. Pedriali: https://www.gadda.ed.ac.uk/Pages/resources/walks/pge/leonardoantonello.php#dednref7. Utile anche C. Vecce, "Avvicinare Leonardo". Carlo Emilio Gadda alla Mostra Leonardesca, in «I Quaderni dell'Ingegnere», 2014, V, pp. 201-21. torna su
18 M. Hundt, Antropologium de hominis dignitate, natura, et proprietatibus, Leipzig, 1501, f. 6r.torna su
19 Ibid.torna su
20F. Zöllner, Leonardo da Vinci. Tutti i dipinti e i disegni, Taschen, 2019, p. 221. torna su
21 C. E. Gadda, Romanzi e racconti, vol. ii, a cura di G. Pinotti, D. Isella, R. Rodondi, Milano, Garzanti, 1989, p. 70. torna su
22 Si vedano i seguenti passi: «la sua mano, per immunizzarsi e lasciare immune il paziente corpo, accetta di perdere un millesimo della sua sagacia» (A 331); «Con una mano (mi dico) sarà sul carpo del prostrato a guardia del polso» (A 331), «lo solleva d'una sua mano sopra le garze» (A 335), «mano instancabile» (A 335). torna su
23 Non è da escludere che anche il particolare della mano del chirurgo, che agisce separatamente dal corpo "incidendo" in modo quasi misterioso il corpo del paziente, possa essere desunto dalla tradizione pittorica: si pensi al Festino di Baldassare di Rembrandt o a La visione di Baldassare di Ribera, in cui una mano (la mano di Dio secondo l'episodio biblico narrato nel libro di Daniele), separata dal corpo, traccia dei segni incomprensibili. Sul tema della "mano d'artista" si veda A. Mascia, L'autobiografismo della mano. Da mano d'artista a mano divina, in «CoSMo», 2021, pp. 215-30. torna su
24 Insieme all'Eneide e ai Promessi sposi, la Commedia dantesca costituisce uno degli ipotesti più importanti per il Pasticciaccio (cfr. Terzoli, Commento al «Pasticciaccio» di Carlo Emilio Gadda cit., pp.14-15 e passim). Per le citazioni dantesche che seguono faccio riferimento a Dante Alighieri, Commedia, con il commento di A. M. Chiavacci Leonardi, Zanichelli, Bologna, 2001. torna su
25 «Assisterò a un intervento del maestro» (A 329) e «Il maestro senza parole ha stretto la sua penna tagliente, lucidissima» (A 329). torna su
26 Cfr.: «imbavagliato del suo bianco silenzio» (A 337); «La sua dialettica si manifesta nei silenti atti» (ibid.); «sul corpo teso, disumanato, insiste con gli atti taciti della sua bianchezza» (A 338). Qui il termine «disumanato», attribuito al paziente ridotto a una dimensione puramente creaturale, sembrerebbe evocare e contrario il «transumanar» di Pd. I 70. torna su
27«Mentre ch'i' rovinava in basso loco, / dinanzi a li occhi mi si fu offerto / chi per lungo silenzio parea fioco» (Inf. I 61-63). torna su
28 Sull'interpretazione del passo rinvio alle celebri pagine di J. Freccero, Dante. La poetica della conversione, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 143-63. torna su
29 «È strano: il gesto della indifferenza morale vien compiuto con la sollecitudine serena di chi ha preso conoscenza dei fini e dei mezzi, con la pacata insistenza della ragione. Il gesto dell'antico procuratore di Roma perde l'antico senso e divien l'atto iniziale di una prammatica vigile e sicura del suo processo, il modo proprio di chi ben sa e benignamente provvede, ed escluderà il male dalla tenebra corporea e dopo gli esatti minuti vi ricomporrà le ragioni della vita» (A 330). torna su
30 «quel corpo inerte sarà oggetto della perizia dei soccorritori. Scevro di ogni sovrapposizione della civiltà. Inetto a rappresentare il grado e la condizione di ieri: spoglio degli indumenti distintivi, pelliccia o tabarro, di che lo stato sociale o i meriti o l'arte o l'ingegno o i risparmi o la tecnica dell'abbigliamento e dell'adulazione potevano averlo addobbato, nel giorno di sua totale facoltà» (A 329). torna su
31 Kleinhans, «Satura» und «pasticcio» cit., pp. 245-46. torna su
32 Bertoni, La verità sospetta cit., p. 133. torna su
33 Ibid.torna su
34 Cfr. Zöllner, Leonardo da Vinci cit., p. 147. torna su
35 Ivi, p. 186. torna su
36 Ibid.torna su
37 Ivi, p. 189. torna su
38 Gadda, I viaggi la morte, in Saggi giornali favole e altri scritti cit., vol. i, pp. 419-667, la cit. è a p. 605. torna su
39 Ibid. torna su
40 Ibid. torna su
41 Gadda, Fatto personale. o quasi, in I viaggi la morte cit., pp. 498-99. torna su
42 Nell'introduzione al catalogo della mostra su Caravaggio del 1951, ad esempio, Longhi evidenzia come il luminismo di Rembrandt sia di chiara ascendenza caravaggesca: «Nell'incidenza repentina del raggio che scende da uno spiraglio aperto apposta entro l'oscurità di una stanza [...] il presagio punta direttamente sul bianco-e-nero del Rembrandt, sulla sua magia notturna», R. Longhi, Mostra del Caravaggio e dei Caravaggeschi. Catalogo, Sansoni, Firenze, 1951, pp. I-XXXI, in partic. p. XXIV. Alla mostra era tra l'altro presente anche una tela di Rembrandt: il Vecchio dormiente. Si veda anche R. Longhi, Caravaggio, Abscondita, Milano, 2013, pp. 82-86. Per il legame tra Caravaggio e Rembrandt si vedano: A. Golhany, Rembrandt. Studies in His Varied Approaches to Italian Art, Leiden-Boston, 2020; M. M. Mascolo, Rembrandt. Un artista nell'Europa del Seicento, Roma, Carocci, 2021, pp. 82 sgg. torna su
43 Per i concetti di intertestualità e interdiscorsività rimando a C. Segre, Avviamento all'analisi del testo letterario, Torino, Einaudi, 1985, pp. 175-213. torna su
44 Sul legame tra scienza e pittura nell'Olanda del Seicento si veda il fondamentale S. Alpers, Arte del descrivere, Torino, Boringhieri, 1984. torna su
45 La riprendo da van Delft, Frammento e anatomia cit., p. 160. torna su
46 Cfr. A. Riegl, Lo sguardo di Rembrandt, Roma, Castelvecchi, 2014. torna su
47 Per un confronto tra le opere di Rembrandt e i suoi predecessori si vedano: G. Wolf-Heidegger - A. M. Cetto, Die anatomische Sektion in bildlicher Darstellung, Karger, Basel/New York 1967; W. Schupbach, The paradox of Rembrandt's "Anatomy of Dr. Tulp", in «Medical History», II, 1992; C. Volkenandt, Rembrandt. Anatomie eines Bildes, Fink, 2004; S. Schama, Gli occhi di Rembrandt, Milano, Mondadori, 2017. torna su
48 Schama, Gli occhi di Rembrandt cit., p. 449. torna su
49 A Tulp risale la scoperta della valvola ileocecale che collega il tratto finale dell'intestino tenue con l'intestino crasso. torna su
50 Prendo qui numerosi spunti da Schama, Gli occhi di Rembrandt cit., p. 449 sgg., e Volkenandt, Rembrandt cit., p. 186 sgg. torna su
51 Sulla teatralità nelle opere di Rembrandt si veda S. Alpers, L'officina di Rembrandt: l'atelier e il mercato, Torino, Einaudi, 1990. torna su
52 Pur essendo successiva, quest'opera mostra un'impostazione più tradizionale rispetto alla Lezione di anatomia del Dr. Tulp. torna su
53 Cfr. S. Mammola, La ragione e l'incertezza. Filosofia e medicina nella prima età moderna, Milano, Franco Angeli, 2012, p. 126. torna su
54 Riprendo qui alcune osservazioni da Mascia, L'autobiografismo della mano cit., 219 sgg. torna su
55 Ivi, p. 219. torna su
56 Ivi, pp. 221-22. torna su
57 Gadda, I viaggi la morte cit., p. 541. torna su