Roberto Galbiati
Dediche e pubblico nel Rifacimento di Berni dell’Inamoramento de Orlando
1. Prima dell'ottava iniziale dell'Inamoramento de Orlando è posta la seguente rubrica: «Libro primo de Orlando inamorato, nel qualle se contiene le diverse aventure e le cagione di esso innamoramento, tradutto dala verace chronica de Turpino, Arcivescovo remense, per il magnifico conte Matheo Maria Boiardo, Conte de Scandiano, alo illustrissimo signor Hercule, Duca de Ferrara».1
Francesco Berni nel suo Rifacimento dell'Inamoramento d'Orlando elimina la didascalia iniziale e introduce, dopo la prima ottava proemiale, tre ottave di dedica a due illustri dame dell'Italia rinascimentale: Isabella d'Este e Vittoria Colonna:
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Tu che le rive del gran Re de' fiumi
orni, e quella che 'l Mincio intorno allaga,
col valor tuo, co' tuoi saggi costumi,
col tuo bel seme, ond'Italia s'appaga;
volgi vêr me benigna i chiari lumi,
Isabella illustrissima Gonzaga;
né ti sdegnar veder quel ch'altri volse
forse a te dedicar, ma morte il tolse.
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3 |
E tu, leggiadra e glorïosa donna
che quel ch'è nudo spirto e poca terra,
e fu già di valor alta Colonna,
invitto sposo tuo, folgor di guerra,
piagni sovente involta in negra gonna,
al pianto i tuoi begli occhi alquanto serra
a quella fonte di lagrime amara,
glorïosa Marchesa di Pescara.
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4 |
Ché non fia forse improprio al tuo dolore,
ancora al tuo disio satisfarai,
sentendo ragionar d'arme e d'amore;
di questo il cor gentil so che pien hai:
l'arme fien rimembranza del valore
di quel che giorno e notte a piagner stai;
e leggendo quel ch'io cantando scrivo,
di lui, di te vedrai l'esempio vivo.2
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A queste due dediche, Berni ne aggiunge una terza a Caterina Cibo nel primo canto del terzo libro:
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Savia donna, che in mezzo all'Appennino
lieta ti siedi, in quel che tanto t'hai
guadagnato e guardato Camerino,
onde ben pari a Dido in gloria vai:
donna d'ingegno e d'animo divino,
che l'Alpi culte et Adria ospite fai,
e col tuo nome, famoso non meno
che sia per la tua patria il mar Tirreno;
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7 |
se dell'orecchie tue le mie fatiche,
(qual si sia) degne sono e delle luci,
fa lor (ti prego) l'une e l'altre amiche;
ché mentre i regi illustri io canto e ' duci
e l'opre delle donne grandi antiche,
dico che tu fra loro chiara riluci,
e con la tua virtù, senno e valore
fai sempiterno al sangue Cibo onore.
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Prima di esaminare queste ottave, riassumo le travagliate vicende editoriali del Rifacimento, poiché hanno coinvolto anche le prime due dediche.
2. Il Rifacimento, cominciato intorno al 1527-1528, fu terminato da Berni nel 1531, anno in cui chiese al Papa, al Senato Veneziano e a Francesco II Sforza tre privilegi di stampa. Anche se li ottenne, lasciò tuttavia inedita l'opera. Secondo Antonio Virgili, lo scrupoloso biografo ottocentesco di Berni, la ragione dell'abbandono del libro ormai finito deve essere ricercata nella pubblicazione della terza edizione dell'Orlando Furioso, avvenuta il 1 ottobre 1532. Lo studioso ipotizza che Berni, nel riscrivere l'Inamoramento, volle non solo adeguarlo ai gusti linguistici del tempo,3 ma anche «entrare in gara con l'Ariosto», come confermano le parole di Benedetto Varchi: «pur da dovero nel poema del Boiardo, e' si credette superare l'Ariosto, come dicono molti, egli mostrò di non avere né giudizio, né ingegno, né dottrina».4 Che Berni sia stato influenzato dal Furioso è cosa certa (si pensi solo ai proemi aggiunti al testo originale), sebbene non scontata a questa altezza cronologica, perché, ad eccezione di qualche romanzo, solo a partire dagli anni Trenta la tradizione cavalleresca assumerà a modello il capolavoro ariostesco.5 Probabilmente però la decisione di Berni di non pubblicare il Rifacimento è indipendente dalla nuova redazione del Furioso: all'origine dell'abbandono sta soprattutto l'insoddisfazione dell'autore stesso, come lasciano intendere i versi 37-45 del Capitolo al Cardinale de' Medici, scritto nel 1532:
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provai un tratto a scrivere elegante
in prosa e in versi e fecine parecchi
et ebbi voglia anch'io d'esser gigante,
ma messer Cinzio mi tirò gli orecchi
e disse: «Bernia, fa pur dell'Anguille,
ché questo è il proprio umor dove tu pecchi;
arte non è da te cantar d'Achille:
ad un pastor poveretto tuo pari
convien far versi da boschi e da ville».6
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Forse Berni era consapevole dei limiti dell'opera, il principale dei quali, come riconosce anche la critica,7 è l'assenza di un chiaro progetto dietro il rimaneggiamento. La moralizzazione del racconto, che è la tendenza maggiore del Rifacimento, non è portata avanti da Berni con la dovuta coerenza. Non solo perché il vivace capolavoro di Boiardo rifugge da ogni lettura morale, ma anche perché questa riscrittura «teatina» dovette alla lunga contrastare con lo spirito irriverente e irrequieto del poeta dei capitoli delle Anguille, dell'Ago e della Peste.8
Ma ritorniamo alle vicissitudini editoriali del Rifacimento. Il testo lasciato inedito dall'autore, venne stampato qualche anno dopo in due sciagurate edizioni: la prima nel 1541 a Milano da Andrea Calvo; la seconda nell'anno successivo a Venezia dai Giunti, sulla base della stampa milanese.9 Andrea Calvo, per assecondare Pietro Aretino, che temeva che il poema contenesse velenose accuse nei suoi riguardi, incarica il mediocre letterato milanese Gian Alberto Albicante di rimaneggiare l'opera di Berni. I suoi interventi sembrerebbero circoscritti alle zone liminari del testo: il canto iniziale e le prime quarantotto ottave del secondo; e gli ultimi due canti del poema, specificatamente dall'ottava sei del canto ottavo alla fine. Nel 1545 i Giunti, accortisi o informati delle manipolazioni di Albicante, ristamparono una nuova edizione del Rifacimento che è identica a quella del 1542, salvo che sostituirono alle prime ottantadue ottave del primo canto nuove ottave e avvisarono il lettore in una nota che le ottave finali del primo canto e forse le prime di quello successivo non sono di Berni. Dopo gli studi di Elissa Weaver,10 non vi è ragione di dubitare dell'autenticità delle ottantadue ottave iniziali dell'edizione Giunti del 1545, quelle che interessano il presente studio.
3. Con la dedica del Rifacimento a Isabella d'Este, Berni omaggia la potente Marchesa di Mantova, grande appassionata di letteratura cavalleresca, e rinvia, seppur anonimamente, al suo predecessore («altri»), che sarebbe stato intenzionato a dedicare l'Inamoramento alla figlia di Ercole. La notizia, non documentata altrove, sembra un'invenzione del rifacitore, come fa credere l'avverbio «forse» e soprattutto la rigorosa prassi dedicatoria di Boiardo: nonostante la varietà della sua produzione letteraria, egli ha dedicato le sue opere esclusivamente a Ercole, come scrive espressamente nel prologo al volgarizzamento delle Vite di Emilio Probo: «a te Inclyto mio Signore ho dedicato tutto quello (se ciò hè qualche cossa) che dal mio picholo ingegno è provenuto».11 Pare quindi poco verosimile che Boiardo pensasse di dedicare il romanzo completo ad altri che non fosse il Duca di Ferrara. Più probabile è che Berni, conoscendo la passione della nobildonna per la letteratura cavalleresca e i suoi buoni rapporti con il poeta,12 abbia inventato la notizia per presentarsi come il rispettoso interprete della volontà di Boiardo. La dedica a Isabella è quindi da leggere come una dichiarazione di intenti di Berni: egli professa, sin dai primi versi del Rifacimento, fedeltà al testo di Boiardo; si pone nel solco da lui tracciato: realizza quello che la morte gli ha negato. Stessa fedeltà all'Inamoramento è professata da Berni nella lettera al doge di Venezia per ottenere il privilegio di stampa: «Havendo io Francesco Berni quasi fatto di novo, et con grandissima mia fatica, et diligenzia racconciato tutti li tre libri del inamoramento di orlando nel medesimo subietto, che già fece il conte matheo m. Boiardo da scandiano».13
In realtà il rapporto tra il Rifacimento e il testo originale è più contraddittorio di quanto la seconda ottava del poema e la richiesta del privilegio di stampa possano far immaginare. L'operazione di Berni è ben più di una semplice «racconciatura», perché, nonostante lasci immutata la storia, dà all'opera di Boiardo un orientamento nuovo, che risulta a volte in netto contrasto con l'Inamoramento. Della complessità (e dell'ambiguità) della relazione Inamoramento-Rifacimento è una chiara prova la prima ottava del poema; la si confronti con quella di Boiardo (nella colonna di sinistra pongo sempre il testo dell'Inamoramento, in quella di destra quello del Rifacimento):
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Signori e cavalier che ve adunati
per oldir cose diletose e nove,
stati atenti e quïeti e ascoltati
la bela historia che il mio canto move:
et odereti i gesti smisurati,
l'alta fatica e le mirabil prove
che fece il franco Orlando per amore
nel tempo de il re Carlo imperatore.
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Leggiadri amanti e donne innamorate,
vaghe d'udir piacevol cose e nuove,
benignamente, vi prego, ascoltate
la bella istoria che 'l mio canto muove;
e udirete l'opre alte e lodate,
le glorïose, egregie, inclite prove
che fece il conte Orlando per amore,
regnando in Francia Carlo imperadore.
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Berni, cambiando il v. 1 di Boiardo, si prende una notevole libertà nei confronti dell'Inamoramento: mutare il pubblico di riferimento non è infatti un'operazione neutra, ma si carica di importanti conseguenze, soprattutto quando, come in questo caso, si sostituisce a un destinatario esclusivamente maschile («Signori e cavalier») un pubblico misto («amanti e donne») e innamorato e privo, tra l'altro, di connotazioni militare-cavalleresche: i «cavalier» lasciano il posto ai «leggiadri amanti». Sennonché si potrebbe obiettare che l'intervento di Berni trovi la piena autorizzazione boiardesca. Si legga, infatti, l'ultima ottava del secondo libro dell'Inamoramento (XXXI 50), confrontandola sempre con la rispettiva strofa del Rifacimento (XXXI 53):
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A voi, ligiadri amanti e damegiele,
che dentro a' cor gentil aveti Amore,
son scrite queste istorie tanto bele
di cortesia fiorite e di valore;
ciò non ascolten quest'anime fele
che fan guera per sdegno e per furore.
Adio, amanti e damme peregrine,
a vostro honor di questo libro è il fine.
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A voi, leggiadri amanti e damigelle,
che dentro a' cor gentili avete amore,
a voi son scritte queste istorie belle,
di cortesia fiorite e di valore:
lette non sian dall'anime ribelle
che fan guerra per rabbia e per furore;
a voi, leggiadri amanti e peregrine
donne, ha principio questo libro e fine.
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Come si vede, è già Boiardo ad aver composto l'Inamoramento per i «ligiadri amanti» e le «donne innamorate». Berni – si potrebbe pensare – anticipando l'apostrofe dall'ultima ottava del secondo libro al proemio del primo canto, non fa altro che "correggere" il suo modello. E che l'operazione sia cosciente è testimoniato dal distico finale dell'ottava che rinvia esplicitamente ai versi esordiali del poema.14 Come Berni con la dedica del Rifacimento a Isabella d'Este ha rispettato la presunta volontà di Boiardo, così ora ha uniformato il proemio d'apertura a quelli dei canti successivi, dove spesso le donne sono citate tra il pubblico signorile del romanzo. Si ricordi, ad esempio, l'esordio del canto XIX del primo libro: «Signori e cavalieri innamorati, / cortese damigelle e gratïose, / venitene davanti e ascoltati / l'alte aventure e le guere amorose» (I 1-4).
Ma sebbene Berni impieghi le medesime espressioni di Boiardo, molto diverso è il rapporto che instaura con il pubblico. Innanzitutto il poeta ricerca sin da subito un contatto diretto e molto informale con il suo destinatario («Tu che le rive» e «E tu, leggiadra e gloriosa donna»), in contrasto con il più rispettoso "voi" con cui si rivolge alle medesime dame in altri scritti.15 Ma non è solo la colloquialità di questi primi versi a colpire ma anche la spiccata femminilizzazione del pubblico: alle «donne innamorate» del primo verso, fanno seguito tre ottave di dedica a due donne.
Le «donne» e gli «amanti» del primo verso del poema di Berni non possono non ricordare il celebre avvio del Furioso, che cito nell'edizione del 1516: «Di donne e cavallier li antiqui amori, / le cortesie, l'audaci imprese io canto».16 Nonostante la differente funzione sintattica delle parole, Berni riutilizza Boiardo avendo in mente Ariosto. È già Ariosto infatti a prendere come interlocutrici privilegiate le donne e a sviluppare lungo tutto il poema una riflessione sull'universo femminile. E sempre d'origine ariostesca è l'altra maggiore novità del Rifacimento rispetto all'Inamoramento: gli esordi dei canti, dove, come Ariosto, Berni commenta i fatti narrati e discute di argomenti di varia natura.17 Ma diversamente da Ariosto, in queste ottave Berni non solo ammaestra e ammonisce il pubblico, ma pure gli si rivolge con toni aspri e aggressivi, assenti nell'Inamoramento e nel Furioso, che tradiscono un rapporto conflittuale con alcuni lettori particolari. Ma su questo aspetto del testo avrò modo di soffermarmi meglio in seguito.
Ritorniamo ora alle tre dediche. Come si è visto, la dedica a Isabella d'Este consente a Berni di raggiungere due obiettivi: omaggiare la potente Marchesa di Mantova, grande appassionata di poemi cavallereschi, e inserire in limine d'opera un riferimento a Boiardo. Non si può poi escludere, vista la nota ammirazione di Isabella per il Furioso, che la dedica costituisca un altro coperto rinvio ad Ariosto: oltre agli «amanti» e alle «donne» del primo verso, chiare allusioni al verso proemiale del Furioso, Berni indirizza il Rifacimento a una delle più appassionate lettrici del Furioso, elogiata generosamente da Ariosto nel corso del romanzo (1516: XI 59, XXVII 29, XXXVIII 81),18 e sorella di Ippolito, il dedicatario del Furioso.
Per comprendere la scelta delle altre due dedicatarie, che, a quanto mi risulta, non erano particolari estimatrici di letteratura cavalleresca, bisogna ricordare che Vittoria Colonna e Caterina Cibo sono tra le figure femminili di maggior spicco dell'evangelismo primo cinquecentesco,19 movimento di riforma della Chiesa cattolica cui guardava con favore anche il potente vescovo Gian Matteo Giberti, di cui Berni era segretario e stretto collaboratore. Il poeta fiorentino compose il Rifacimento a Verona (come scrive espressamente nelle ottave 5-8 del primo canto del secondo libro) negli stessi anni in cui l'alto prelato si stava impegnando a riformare il clero locale e intensificava i contatti con i gruppi dell'evangelismo italiano.20 Questo ambiente di profonda e sincera spiritualità influenzò Berni che confessava nella lettera a Caterina Cibo del 10 ottobre 1528 di essere ormai diventato «teatino e romito».21
La dedica a Vittoria Colonna dà dunque all'opera una patente di moralità: se è degna di consolare la pia Vittoria Colonna, non potrà allora che essere un virtuoso e cristiano passatempo. E l'impressione viene confermata dalla lettura degli esordi dei canti, tutti di invenzione bernesca, dove Berni ammonisce, biasima e ammaestra i lettori. Sicché non è un'ipotesi peregrina ritenere il Rifacimento lo strumento con cui Berni (forse dietro suggerimento di Giberti) diffonde a un più largo pubblico gli ideali di riforma morale-religiosa del suo influente protettore.22
Soffermiamoci sull'aspetto morale-educativo dell'opera perché, oltre a essere centrale per la comprensione del testo, è utile anche a comprendere il significato delle dediche. Agli amanti, per i quali il Rifacimento è scritto («Notate, amanti, e tu nota anche, Amore, / sendo fatta per voi l'istoria mia» I XXVIII 1 1-2), Berni si rivolge con queste parole:
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Vorrei, cortesi e dilicati amanti,
anime grazïose, anime mie,
vorrei vedervi savi tutti quanti;
e quando veggo farvi le pazzie,
i canti miei si convertono in pianti,
in far rabbuffi e dirvi villanie:
onde quel che non son, poi mi tenete;
e pur di tutto il mal cagion voi sete.
(I XXVIII 2) |
I lettori innamorati leggono una storia che ha il dichiarato scopo di "guarirli" dalla loro malattia o quanto meno di temperarla. Amore è infatti più volte definito nel Rifacimento una follia (I III 39 2; I XIX 1-4), una malattia (I V 22 2), un «vizio fra gli altri bestiale» (I XXVIII 4 1). Di questa pazzia è vittima lo stesso Orlando. Fin da subito Berni definisce l'amore del paladino per Angelica in termini negativi: «Quel dì fu il primo della sua rovina / e di quella di Carlo e del suo regno» (I I 33 1-2); nonostante Orlando ne abbia consapevolezza, non riesce però a liberarsene:
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A questo modo è ostinato Orlando,
ché, come sopra udiste, s'accorgeva
che commetteva un peccato nefando
ad ir contra 'l fratel come faceva,
e nondimeno alla ragion dà bando,
rispondendo ch'amor così voleva;
e tanto innanzi va l'ira e la furia,
che non sol fa, ma gli dice anche ingiuria.
(I XXVIII 5) |
Questo Orlando consapevole e pentito del suo errore è un'innovazione di Berni, di cui non vi è traccia nel corrispettivo proemio dell'Inamoramento, dove, al contrario, Boiardo invita il pubblico a perdonare le azioni di Orlando, perché «chi cognosce Amor e sua possanza, / farà la scusa di quel cavaliero, / ch'Amor il senno e l'intelleto avanza» (I XXVIII 2 1-3).
Berni insiste sulla resipiscenza del Conte di Anglante anche in altri luoghi del Rifacimento. Nel celebre dialogo notturno tra Orlando e Agricane, raccontato nel canto XVIII del primo libro, dopo che il re dei tartari ha terminato il suo discorso con il celebre distico «perché ogni cavalier ch'è sanza amore / se in vista è vivo, vivo è sanza core!», prende a parlare Orlando:
47 |
Rispose il Conte: «Quello Orlando sono
che ocise Almonte e il suo fratel Troiano;
Amor m'ha posto tuto in abandono
e venir fammi in questo loco strano.
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52 |
Rispose il conte: «Io sono Orlando, e sono
innamorato: così non fuss'io,
ché per questo la vita in abbandono
e la mia patria ho messa, e quasi Iddio. |
Come si vede, Berni elimina i riferimenti ai fatti d'Aspramonte e introduce un mea culpa del paladino che non solo è fuori luogo nel contesto ma anche profondamente contrario alla filosofia amorosa boiardesca.
Se Boiardo mira principalmente a dilettare gli ascoltatori, Berni intende trarre dal racconto un insegnamento utile per il pubblico. Da qui la tendenza a ingabbiare il testo in una rete morale-allegorica. Se il poema non venisse letto in questo modo, si avrebbe ragione a considerare le sue storie «sogni d'infermi e fole di romanze» (I XXV 6) – che è la classica accusa che da Petrarca in avanti si è rivolta alla letteratura cavalleresca. L'intento didattico-morale è così spiccato che Berni definisce il Rifacimento «comedìa», «quel che fu scritto con più chiaro inchiostro, / e la mia comedìa cantar non cura» (II XVII 8 5-6), con evidente riferimento all'autorità dantesca: «ma qui tacer nol posso; e per le note / di questa comedìa, lettor, ti giuro…» (Inferno XVI 127-28).
In Berni il racconto cavalleresco ha perso il suo fascino ed è diventato un pretesto per parlare d'altro. Il poeta non si abbandona più al piacere della narrazione e tra la storia e il pubblico si è aperta una frattura. Mentre per Boiardo vi è un'identificazione tra i suoi ascoltatori e i personaggi del racconto: «A voi piace de odir l'alta prodeza / de' cavalier antiqui et honorati: / el piacer vostro vien da gentileza, / però ch'a quel valor ve assumiliati» (II XIII 2 1-4), per Berni non è più così. Gli uomini d'arme di oggi combattono solo «per marcanzia» (II XXVIII 6 4) e i gentiluomini non tengono «che 'l nome solo» e sono il contrario «di quei ch'al vostro [dei gentiluomini] grazïoso viso / han lasciato arme, titoli e tesoro / acquistato col sangue e virtù loro» (III V 2 6-8). Insomma la generazione presente è ben peggiore di quella passata (II XXV 3 1-3), la corte, lungi dall'essere quel luogo di elezione descritto da Boiardo, è un covo di «ribaldi scelerati» (II XIX 3 1) e i signori attuali sono preda di appetiti «sfrenati e pazzi» (I XVII 3 2). Questa svalutazione coinvolge anche Amore, che, come si è visto, non è più un sentimento positivo, ma è una follia, da cui è bene non farsi irretire.
La «bela historia» di Boiardo, sebbene priva di riferimenti alla realtà attuale, risulta in piena sintonia con il suo tempo, poiché i valori del racconto coincidono con quelli della nobiltà settentrionale di fine Quattrocento. Paradossalmente la fiaba è prossima alla realtà. In Berni, invece, malgrado i continui accenni alle vicende contemporanee, la «bella istoria» è unicamente un superbo racconto fantastico che serve solo se insegna qualcosa al lettore. Solo alcuni individui eccezionali, come Vittoria Colonna e il suo defunto marito, possono identificarsi ancora nei personaggi del tempo antico («e leggendo quel ch'io cantando scrivo, / di lui, di te vedrai l'esempio vivo»). Ma essi, insieme con pochi altri, come Caterina Cibo o Giovanni de' Medici, «alla cui morte fu posta in obblio / la guerra, e tosto diventò taverna» (II XXVIII 8 5-6), sono personalità superiori, che si stagliano su un mondo che si è imbarbarito, da cui «Alegreza e Cortesia», dopo un breve ritorno (Inam. II I 2 3), sono di nuovo fuggite e non paiono affatto desiderose di ritornarvi.
In un mondo che ha degenerato, le dedicatarie Vittoria Colonna e Caterina Cibo sono tra le poche a conservare i valori delle dame e dei cavalieri antichi. Pertanto non necessitano di ammaestramenti, ma possono abbandonarsi alla lettura, immedesimandosi nei personaggi e nelle storie narrate. Vittoria Colonna è invitata a riconoscere nelle avventure d'«arme e d'amore» se stessa e il suo compianto consorte; Caterina Cibo ad ammirare «l'opre delle donne grandi antiche», poiché ne è una degna emula. Probabilmente, considerando il piglio combattivo e pure un po' sanguinario della Duchessa di Camerino, Berni allude alle due donne-guerriere del romanzo: Bradamante e Marfisa.
La diversa modalità di fruizione del testo a cui sono esortate le due dedicatarie è conseguenza di un'eccellenza morale, rarissima nel tempo presente. Il grande elogio delle due nobildonne si coglie solo alla luce della sfiducia verso l'epoca contemporanea manifestata a più riprese da Berni nei prologhi ai canti. Talvolta questo clima cupo si estende anche alla storia di Boiardo. Berni introduce, ad esempio, nel canto VII del secondo libro, nove ottave (37-45) che raccontano il tradimento ordito da Gano ai danni di Carlo Magno in uno dei momenti più difficili per il sovrano. Ugualmente significativa è l'ottava 29 del canto VII del primo libro, anch'essa aggiunta da Berni all'Inamoramento, che descrive Gradasso come un tiranno:
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Quando ebbe detto ciò, con gli occhi torti
quei quattro re guardò senza parlare,
che tutti in viso sbigottiti e smorti
han tosto inteso che si vuole armare:
furno gli arnesi suoi subito porti;
mentre che s'arma, inginocchion fa stare
ognun che gli è dintorno, ed ognun trema
di riverenzia e di paura estrema. |
Come le ottave di Orlando analizzate precedentemente, anche questa è contraria al racconto di Boiardo. Infatti, nonostante Gradasso abbia allestito un poderoso esercito («Centocinquamilia cavalieri» I I 7 1) solo per impossessarsi di Durlindana e di Baiardo, Boiardo lo tratta con simpatia e lo descrive come un sovrano cortese, che conosce e rispetta i princìpi e i doveri della cavalleria (I VII 41-43).
A partire da quanto si è visto, mi sembra che l'esame delle tre dediche si riveli una buona specola per studiare l'opera, poiché vi si possono osservare in nuce le principali novità del testo di Berni rispetto a quello di Boiardo. La scelta di due dedicatarie pie e impegnate in prima persona nei movimenti di riforma della Chiesa conferisce immediatamente al Rifacimento una dimensione morale che la lettura del poema avallerà. Così come la diretta allocuzione a Isabella d'Este e a Vittoria Colonna («Tu», «E tu») anticipa l'altra grande novità del Rifacimento: Berni dialoga ininterrottamente con il pubblico, a cui richiede un atteggiamento attivo verso la storia narrata: i lettori e gli ascoltatori, giacché l'opera è rivolta a entrambi («E voi, donne, che questi versi miei / o ver leggete o ver state ad udire», I XVIII 5 3-4), non sono semplici spettatori, ma parte in causa del racconto. Vi è, infine, un altro aspetto significativo su cui le dediche attirano l'attenzione: aver dedicato il poema esclusivamente a tre signore e aver invocato le donne sin dal primo verso del poema («Leggiadri amanti e donne innamorate») non può non richiamare il Furioso, che fa della riflessione femminile una delle maggiori novità della sua narrazione. Il capolavoro ariostesco è quindi sin da subito proposto come l'altro testo di riferimento del Rifacimento. Il dialogo non è soltanto con il romanzo di Boiardo e i lettori-ascoltatori, ma anche con il capolavoro del grande "continuatore" dell'Inamoramento.
4. Il profondo scarto tra il Rifacimento e l'Inamoramento è anche il riflesso delle mutate condizioni storiche in cui scrivono i due autori: tra i due poemi intercorrono le Guerre d'Italia, che hanno posto fine al bel mondo cortese del tardo Quattrocento, rivelandone l'intrinseca debolezza.23 Questi tragici eventi non potevano non condizionare la riscrittura del racconto boiardesco: essendo l'Inamoramento strettamente implicato in quella stagione, chiunque avesse voluto fare seriamente i conti con il testo e non si fosse accontentato di una rassettatura linguistica, avrebbe dovuto affrontare le responsabilità di quei «signori e cavalieri», cui il capolavoro di Boiardo è rivolto. Mi sembra quindi che la moralizzazione di Berni non obbedisca solo a un intento religioso, ma sia anche influenzata dalle mutate condizioni storiche in cui Boiardo e Berni vivono. Il genere cavalleresco, nonostante il grande successo popolare, è un genere che viene recepito come aristocratico (e non è un caso che Berni lo dedichi a tre nobildonne).24 Ma ecco il punto: questi gran signori che amano la lettura delle storie e degli amori dei paladini sono la causa principale della drammatica situazione del presente (I XVII 2-4). Non ci si può rivolger loro facendo finta che niente sia successo; cancellarne le colpe con un tratto di penna. La riscrittura deve svelare questa verità e Berni, che si atteggia spesso a profeta – oltre a definire il testo «comedìa», dissemina negli esordi dei canti echi da Dante e dalle Sacre Scritture –,25 si incarica coraggiosamente di esprimerla.
Il poeta si comporta come quel «tamburin» ubriaco che nel canto XXVIII del secondo libro biasima con dure parole il re Agramante perché, piuttosto che partire in guerra come aveva promesso, trascorre il tempo in ozio e in feste. Purtroppo al giorno d'oggi – commenta l'autore nel proemio al canto successivo – «adulatori, / parassiti, ruffian» hanno preso il posto di questi fustigatori dei potenti, «onde procedon poi tutti gli errori / di che i popoli tristi e sventurati / indegnamente patiscon le pene» (XXIX 2). Ma che Berni non appartenga a questa genia di vili cortigiani è dimostrato dalle ottave immediatamente successive dove fa ai sovrani una dura reprimenda ricordando loro il giudizio di Dio.
Mi pare quindi che l'operazione attuata da Berni nel Rifacimento sia alquanto originale: il testo non è semplicemente una «racconciatura» dell'Inamoramento per adeguarlo ai gusti linguistici primo cinquecenteschi e ai propositi di riforma spirituale di Giberti; ma è anche un'opera che guarda al presente. Pure per questa novità Berni sconta il debito con il Furioso, ma a differenza di Ariosto, non si fa nessuno scrupolo a sferzare violentemente il suo pubblico di gentiluomini e di signori e a rinfacciare loro colpe e mancanze. Oltre gli esempi già visti, si legga la seguente ottava:
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Però già ci soleva esser nimica
l'empia barbarie degli oltramontani,
non è più ora, anzi ognun la nutrica;
dico a voi, miei signori Italïani,
che con tanta vergogna, onta e fatica
chiamate all'ossa vostre e carni i cani,
e con le vil vostre voglie spezzate
il cor del mondo e l'anime guastate.
(I XVII 2) |
L'Inamoramento è trasformato da Berni in qualcosa d'altro: la "panca" di Boiardo è diventata un pulpito da cui il poeta ammaestra i lettori e grida il suo sdegno. Qualche anno prima nell'Orlandino (1526) Teofilo Folengo aveva preso a pretesto l'amore di Berta e Milone e l'infanzia di Orlando per denunciare la corruzione della Chiesa e degli ecclesiastici contemporanei: «Io dunque d'Orlandino canto poco / e molto piango de l'altar di Cristo; / io fingermi "pitocco" movo a gioco / e del fallir de' chierici m'attristo» (VIII 3 1-4).26
Sulla scia del successo delle prime due edizioni del Furioso, i due più geniali poeti "irregolari" del Cinquecento sperimentano soluzioni innovative per il poema cavalleresco: mentre Folengo, superando ogni genere letterario, crea un'opera in cui si alternano passi osceni a discussioni teologiche, Berni tramuta l'Inamoramento in «comedìa». Tuttavia, nonostante la diversità dei due testi, entrambi i poeti sfruttano una storia cavalleresca per trattare di temi contemporanei. La violenza espressiva e polemica con cui Berni e Folengo affrontano il presente allontana l'Orlandino e il Rifacimento dal Furioso e dà a questa letteratura d'evasione e di diletto un indirizzo (e si potrebbe anche dire un "impegno") che finora le era sconosciuto.
Appendice
Concludo discutendo l'ipotesi di Woodhouse,27 secondo cui nelle prime due dediche del Rifacimento si possono ravvisare echi del proemio del canto XXXVII dell'Orlando Furioso. Se fosse vero, significherebbe che Berni non abbandonò l'opera nel 1531, ma che continuò a lavorarci fino alla morte, avvenuta il 26 maggio 1535, poiché il canto XXXVII del Furioso, quello di Marganorre, compare solo nella terza edizione del poema.
Nel lungo esordio del canto XXXVII Ariosto biasima i poeti antichi per aver taciuto le doti femminili ed elogia i moderni che, a differenza dei loro predecessori, riconoscono ed esaltano le virtù muliebri. Ma le donne contemporanee, oltre a ricevere lodi dagli scrittori, si conquistano da sole pregio e onore, perché si stanno dimostrando in ogni campo, pure in quello letterario, non inferiori agli uomini. Non volendo fare un lungo elenco di queste donne straordinarie, il poeta si limita a proporre la figura di Vittoria Colonna, che con il suo «dolce stil» ha eternato il valore e la virtù del suo illustre marito (ottave 16-21).28 I contatti testuali tra le ottave di Ariosto e le due ottave di dedica del Rifacimento si limitano alla sequenza rimica donna : colonna : gonna dell'ottava 11, in cui si parla, tra l'altro, non della poetessa, ma di Isabella Colonna, moglie di Luigi Gonzaga. Ma dietro la rima non sta Ariosto, bensì Petrarca; si legga la prima terzina del Trionfo della Morte, citata quasi letteralmente da Berni: «Questa leggiadra e glorïosa donna, / ch'è oggi ignudo spirto e poca terra / e fu già di valor alta colonna». Anche senza questi puntuali rilievi, convince poco l'accostamento dei due passi, perché di natura diversa è l'omaggio dei due scrittori: mentre Ariosto elogia Vittoria Colonna essenzialmente per le sue doti poetiche, Berni la elogia come esempio di vedova fedele, senza fare nessun cenno alla sua attività artistica. Non è credibile quindi che Berni, nello scrivere la dedica alla Marchesa di Pescara, avesse in mente il proemio del canto XXXVII del Furioso.
Potrebbe sostenere la proposta di Woodhouse l'espressione «ragionar d'arme e d'amore» del v. 3 dell'ottava 4, che non può non ricordare i memorabili versi d'avvio della redazione del 1532 del Furioso: «Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori, / le cortesie, l'audaci imprese io canto». Diversamente recitava l'incipit della redazione del 1516-21: «Di donne e cavallier li [gli] antiqui amori, / le cortesie, l'audaci imprese io canto». Il binomio potrebbe così essere il terzo rinvio che Berni fa al poema di Ariosto nei primi versi del Rifacimento. L'ipotesi è suggestiva, ma anch'essa fragile, essendo la locuzione «arme e amori» diffusa nella tradizione letteraria anteriore ad Ariosto.
Nello stesso Inamoramento le due parole sono più volte accostate in luoghi significativi del testo. Si trovano nel celebre episodio del duello tra Orlando e Agricane: «de arme o de amore a ragionar ti aspeto» (I XVIII 45 8). Con il verbo ragionare anche in III II 3 1-2: «Ragionando con sieco tuttavia / de arme e de amore e cose diletose». Nel programmatico proemio del XVIII canto del secondo libro si legge: «Fo glorïosa Bertagna la grande / una stagion, per l'arme e per l'amore»; e con leggera variatio (ma il luogo è molto importante, contenendo una dichiarazione di poetica) in III V 2 1-2: «Però diversamente il mio verziero / de amore e de battaglia ho già piantato».
Rimandando alla bibliografia per il regesto degli altri testi che contengono l'espressione,29 mi concentro solo sul Mambriano, il più importante poema cavalleresco tra l'Innamorato e il Furioso, perché impiega in posizioni marcate il sintagma. Esso compare infatti, oltre che nel proemio, «e con la voce arditamente sciolta / spargerò fuor gli accenti e l'opre assonte / nell'interno mental d'arme e d'amore, / a compiacenza di chi m'è Signore» (I 5 4-8),30 fin nel titolo della prima stampa, che recita completo: «Libro d'arme e d'amore nomato Mambriano».
Dunque già prima dell'edizione del Furioso del 1532, il binomio «arme e amori» aveva una sua non trascurabile fortuna letteraria. E i Dui primi canti di Marfisa di Aretino, pubblicati sul finire del 1531 o nel 1532,31 quindi prima dell'uscita del terzo Furioso, dimostrano che non era necessario attendere Ariosto per incominciare un poema cavalleresco invocando le armi e gli amori: «D'arme e d'amor veraci finzioni / vengo a cantar con semplice parole…».32
Non mi sento quindi di confermare l'ipotesi di Woodhouse. È possibile che Berni abbia continuato a lavorare al Rifacimento dopo il 1531; è quasi certo che abbia letto la nuova redazione del Furioso; ma per ora non è dimostrabile che ci sia una relazione tra questi due fatti.
R. G.
Note
1 Le citazioni del poema sono tratte da m. m. boiardo, Inamoramento de Orlando, a cura di C. Montagnani e A. Tissoni Benvenuti, Milano-Napoli, Ricciardi, 1999.
2 Le citazioni sono tratte dall'edizione, nient'affatto impeccabile, curata da R. Nigro in Francesco Berni, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1999. Viste le frequenti imprecisioni dell'edizione, intervengo talvolta sulla punteggiatura del testo.
3 Per l'operazione di riscrittura attuata da Berni si vedano: H. F. Woodhouse, Language and Style in a Renaissance Epic: Berni's Corrections to Boiardo's 'Orlando Innamorato', London, The Modern Humanities Research Association, 1982; R. Laffranchini, Metrica e stile dell'«Innamorato» rifatto dal Berni, in «Cenobio», XXXVII, 1988, pp. 112-42.
4 A. Virgili, Francesco Berni, Firenze, Successori le Monnier, 1881, p. 311.
5 A. Casadei, Dopo il secondo 'Furioso': la 'Morte del Danese' e l'evoluzione del romanzo cavalleresco, in Id., Il percorso del 'Furioso'. Ricerche intorno alle redazioni del 1516 e del 1521, Bologna, il Mulino, 1993, pp. 129-58; e Id., Riusi (e rifiuti) del modello dell''Innamorato' tra il 1520 e il 1530, in Id., La fine degli incanti. Vicende del poema epico-cavalleresco nel Rinascimento, Milano, Franco Angeli, 1997, pp. 25-44.
6 F. Berni, Rime, a cura di D. Romei, Milano, Mursia, 1985; per un commento di questi versi e per i possibili motivi che spinsero Berni a rinunciare alla pubblicazioni cfr. E. Weaver, I narratori del 'Rifacimento' berniano, in Tipografie e romanzi in Val Padana fra Quattro e Cinquecento, a cura di R. Bruscagli e A. Quondam, Ferrara, Giornate di Studio 11-13 febbraio 1988, Modena, Panini, 1992, pp. 55-62.
7 A. Di Benedetto, L''Orlando innamorato' di Francesco Berni, in Poesia e comportamento. Da Lorenzo il Magnifico a Campanella, Alessandria, Edizione dell'Orso, 2002, pp. 57-72.
8 E. B Weaver (Erotic Language and Imagery in Francesco Berni's 'Rifacimento', in «Modern Language Notes», ic, 1984, pp. 80-100) ha notato l'atteggiamento contraddittorio di Berni a trattare l'erotismo del poema. Se è vero infatti che il poeta elimina i passi più pruriginosi del racconto di Boiardo, è anche vero che ne introduce di nuovi e dà talvolta ai versi un doppio senso assente nell'originale.
9 Per una precisa ricostruzione degli avvenimenti cfr. N. Harris, Bibliografia dell'«Orlando innamorato», Modena, Panini, 1991, vol. II, pp. 99-138.
10 E. B. Weaver, The Spurious Text of Francesco Berni's 'Rifacimento' of Matteo Maria Boiardo's 'Orlando Innamorato', in «Modern Philology», lxxv, 1977, pp. 111-31.
11 Cito da M. M. Boiardo, Tutte le opere, a cura di A. Zottoli, Milano, Mondadori, 1944, vol. II, p. 723.
12 A. Luzio, Isabella d'Este e l''Orlando Innamorato', in Studi su Matteo Maria Boiardo, Bologna, Zanichelli, 1894, pp. 147-54, e più in generale A. Luzio – R. Renier, La coltura e le relazioni letterarie di Isabella d'Este Gonzaga, a cura di S. Albonico. Introduzione di G. Agosti, Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2005, pp. 122-25 e pp. 211-12.
13 I tre privilegi di stampa si leggono in Harris, Bibliografia dell''Orlando innamorato' cit., vol. I, pp. 146-47.
14 Severino Ferrari nel suo commento all'edizione parziale del Rifacimento (F. Berni, Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo rifatto da Francesco Berni, testo scelto, compendiato e annotato da S. Ferrari, pubblicato a cura di G. Albini, Firenze, Sansoni, 1911) segnala un ricordo delle Bucoliche virgiliane nel distico finale d'ottava: «a te principium, tibi desinet» (VIII 11).
15 Berni indirizza due lettere a Caterina Cibo (la IX e la XXI dell'edizione di E. Chiorboli: F. Berni, Poesie e prose, Genève-Firenze, Olschki, 1934), e scrive un sonetto caudato a Vittoria Colonna per consolarla della morte del marito, il marchese di Pescara, Francesco Ferrante D'Avalos. Nella poesia ricorre il sintagma «esempio vivo» presente anche nei versi di dedica del poema: «voi, che di lui rimasa un vivo esempio / sète fra noi» (vv. 5-6): cfr. Berni, Rime cit., p. 85. A questa poesia rispose la Colonna con il sonetto trentasette delle sue rime amorose: cfr. l'edizione delle Rime curata da A. Bullock, Bari, Laterza, 1982, p. 21.
16 L. Ariosto, Orlando Furioso, secondo la princeps del 1516, edizione critica a cura di M. Dorigatti con la collaborazione di G. Stimato, Firenze, Olschki, 2006. Piccola variante è apportata al v. 1 nell'edizione del 1521: «Di donne e cavallier gli antiqui amori».
17 Per i proemi ariosteschi cfr. D. Delcorno Branca, Ariosto e la tradizione del proemio epico-cavalleresco, in «Rassegna Europea di Letteratura Italiana», XXXVIII, 2011, pp. 117-46.
18 G. Güntert, Le imprese di Isabella d'Este Gonzaga e l'Orlando Furioso, in Il Rinascimento. Aspetti e problemi attuali, a cura di V. Branca, C. Griggio, M. e E. Pecoraro, G. Pizzamiglio, E. Sequi, Firenze, Olschki, 1972, pp. 445-54.
19 Per Caterina Cibo, oltre al profilo di F. Petrucci in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XXV, 1981, si vedano: C. Vasoli, Una donna tra il potere e il 'Vangelo': Caterina Cibo Varano, in Id., Civitas mundi: studi sulla cultura del Cinquecento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1996, pp. 121-38; G. Zarri, Caterina Cibo duchessa di Camerino, in Donne di potere nel Rinascimento, a cura di L. Arcangeli e S. Peyronel, Roma, Viella, 2008, pp. 575-93. Per Vittoria Colonna cfr. A. Brundin, Vittoria Colonna and the Spiritual Poetics of the Italian Reformation, Ashgate, 2008.
20 A. Prosperi, Tra Evangelismo e Controriforma. Gian Matteo Giberti (1495-1543), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1969.
21 Cito dall'edizione Chiorboli delle lettere: F. Berni, Poesie e prose cit., p. 320.
22 D. Romei, L'«Orlando» moralizzato dal Berni, in www.nuovorinascimento.org (testo immesso in rete il 5 febbraio 1997) e V. Crupi, Moralità e stile nel 'Rifacimento dell'Orlando innamorato' di Francesco Berni, in «Linguistica e Letteratura», XXVIII, 2003, pp. 33-56. Per i contatti tra la morale espressa da Berni negli esordi e le idee dei riformisti cfr. S. Caponetto, Lutero nella letteratura italiana della prima metà del '500. Francesco Berni, in Lutero in Italia. Studi storici nel V centenario della nascita, a cura di L. Perrone, introduzione di G. Miccoli, Casale Monferrato, Marietti, 1983, pp. 47-63, in particolare p. 62.
23 Si veda G. Bàrberi Squarotti, Nei dintorni del 'Furioso', in Id., Fine dell'idillio, Genova, il melangolo, 1978, pp. 105-16.
24 M. Beer, Romanzi di cavalleria. Il 'Furioso' e il romanzo italiano del primo Cinquecento, Roma, Bulzoni Editore, 1987, pp. 233-34.
25 Crupi, Moralità e stile cit., p. 37 e sgg.
26 T. Folengo, Orlandino, a cura di M. Chiesa, Padova, Antenore, 1991.
27 Woodhouse, Language and Style cit., p. 192, nota 7.
28 N. Ordine, Vittoria Colonna nell''Orlando Furioso', in «Studi e problemi di critica testuale», XLII, 1991, pp. 55-92.
29 C. Segre, Avviamento all'analisi del testo letterario, Torino, Einaudi, 1999, pp. 87-89. Alle fonti citate dallo studioso bisogna aggiungere anche le Stanze di Poliziano: «e tempra tu la cetra a' nuovi carmi, / mentr'io canto l'amor di Iulio e l'armi» (I 7 7-8).
30 Cieco da Ferrara, Mambriano, a cura di G. Rua, Torino, Utet, 1926.
31 P. Larivaille, Pietro Aretino, Roma, Salerno Editrice, 1997, p. 145.
32 P. Aretino, Poemi cavallereschi, a cura di D. Romei, Roma, Salerno Editrice, 1995.