Ilaria Bonincontro
Il paratesto nella digitalizzazione di edizioni tradizionali
L’uso di dedicare un’opera a una persona o a un gruppo è una pratica che ha una lunghissima tradizione, risalente all’epoca antica, sebbene la dedica vera e propria, come testo autonomo, codificato in forma di epistola o epigrafe dedicatoria sia stata introdotta in epoca moderna. Le dediche d’opera o di esemplare sono da tempo oggetto di ricerca per il loro valore di fonte per lo studio della storia letteraria in quanto esse riflettono il contesto storico–culturale che le ha prodotte. La complessità e l’autonomia del messaggio che una dedica veicola ne consente un trattamento che può perfino prescindere dal testo di riferimento. La dedica è solo uno dei possibili messaggi paratestuali, che accompagnano, presentano, rendono materiale il testo.
Il concetto di paratesto, introdotto da Genette1 nel 1982, comprende un ampio numero di elementi che presentano il testo e gli conferiscono natura di libro: titolo, sottotitolo, intertitoli, prefazione e postfazioni, avvertenze, premesse, note, epigrafi, illustrazioni, sovraccoperta e altri accessori che incorniciano il testo. Secondo Genette tali elementi occupano una zona dai confini non ben definiti, collocata ai margini del testo e ciò non in senso astratto ma concreto, poiché il paratesto è strettamente legato alla materializzazione del testo, alla sua esistenza in forma di libro. I contenuti del paratesto non sono formalizzati né uniformi tanto che la sua definizione si risolve nella catalogazione degli elementi che ne fanno parte.2 Tuttavia è importante porre l’accento sulla sua funzione di presentazione del testo o, più in generale, su ciò che Genette definisce «carattere strettamente funzionale» del paratesto: «il paratesto, in tutte le sue forme, è un discorso fondamentalmente eteronomo, ausiliare, al servizio di qualcos’altro che costituisce la sua ragion d’essere, e che è il testo [...] le funzioni del paratesto non possono essere descritte teoricamente, e in un certo senso a priori [...]. Le funzioni del paratesto costituiscono un oggetto molto empirico e molto diversificato, che deve essere colto induttivamente».3
Se è vero che il paratesto serve a dare un’identità al testo, allo stesso tempo esso è il prodotto di uno specifico contesto culturale e sociale e quindi rispecchia abitudini e gusti dell’epoca in cui è stato prodotto. Scrive Santoro, riferendosi in modo specifico al paratesto, che «la combinazione di simboli materiali partorisce sempre e comunque una forma autosufficiente [...] indipendente rispetto al significato semantico dei simboli [...] una forma che è essa stessa messaggio e documento, testimonianza di un circuito di comunicazione con mittente e destinatario».4 In questa ottica il paratesto può diventare di per sé oggetto di indagine come fonte per lo studio di ambiti socio-culturali, di correnti di pensiero, di stili e movimenti culturali, talvolta anche di una «particolare storia delle idee».5
La teorizzazione di Genette viene a dare organicità a riflessioni sul ruolo del paratesto e sul suo legame con il testo, che nel corso degli anni Settanta, e ancora negli anni Ottanta, accompagnarono il lavoro di bibliologi e bibliotecari da una parte, di paleografi dall’altra.6 La necessità di descrivere a fini catalografici i libri portava inevitabilmente a studiare con attenzione tutti gli elementi del paratesto in quanto chiavi di accesso all’oggetto libro e insieme strumenti di comprensione del suo contenuto. Elementi paratestuali esistevano anche nel libro manoscritto,7 in quanto presentazione materiale del testo, e sono stati ampiamente studiati da paleografi e codicologi. Si tratta in genere di approfondimenti dedicati a singole categorie in quanto ciascuna di esse può essere fonte per lo studio di aspetti diversi della tradizione e della ricezione del testo; ciò che interessa in questi studi è per lo più l’interpretazione, la comprensione del significato culturale e storico di specifici fenomeni più che una riflessione metodologica sulla categoria concettuale del paratesto o di alcuni degli oggetti che lo costituiscono.8
L’informatica ha aperto uno scenario completamente nuovo nel quale è stato necessario tornare a riflettere sul paratesto e ampliarne la definizione, nonché le funzioni, alla luce delle nuove caratteristiche proprie del testo digitale. Il paratesto di Genette era infatti una componente della materializzazione del testo, cioè dell’edizione tradizionale in forma di libro. Il venir meno della “materialità” a favore della nuova dimensione digitale – che, aprendo nuove possibilità di accesso e di gestione dei contenuti, ha inevitabilmente modificato la natura stessa del testo così come era concepito nell’era della stampa, cioè come oggetto statico – non ha certo annullato il ruolo del paratesto. Al contrario lo ha reso ancor più necessario, lo ha investito di nuove funzioni che, secondo alcuni, hanno portato addirittura a un «rovesciamento gerarchico tra testo e paratesto»,9 così che il secondo diventa decisivo per la comprensione del primo. Anche gli elementi del paratesto sono in parte cambiati, o meglio se ne sono aggiunti di nuovi, che hanno funzione di guida nella navigazione all’interno del testo: funzione fondamentale proprio quando il testo è costruito per una fruizione non più, o non principalmente, lineare. L’aspetto grafico del paratesto assume un’importanza notevole, che in alcuni casi potrebbe diventare perfino maggiore del contenuto testuale, soprattutto perché può condizionarne o limitarne l’accesso.
Torniamo al paratesto pre-informatico o tradizionale. Nel descriverlo si tende a confondere due piani, o almeno non mi pare ci sia una consapevole distinzione tra due elementi:
a) le caratteristiche tipografiche che caratterizzano il “testo–libro” (dalla impaginazione alla scelta della carta), alle quali si riconosce un valore paratestuale,
b) i diversi contenuti paratestuali che circondano il testo (dagli elementi del frontespizio al colophon).
Le caratteristiche tipografiche sono una forma particolare di paratesto, che accompagnano sia il testo sia i contenuti paratestuali stricto sensu presenti nel libro, in quanto questi ultimi sono a loro volta testo. Tutto ciò che attiene alla disposizione del testo sulla pagina e al suo aspetto grafico costituisce in realtà una codifica, non formalizzata ma comprensibile a un lettore umano, il quale è in grado di coglierne il valore connotativo rispetto agli oggetti testuali cui si collega.
Esiste poi un terzo piano di analisi, definibile come “interpretativo,” corrispondente alla funzione del paratesto, al suo significato, al messaggio che esso veicola. Si tratta di aspetti ancora meno suscettibili di formalizzazione, il cui riconoscimento va lasciato al lettore; del resto già Genette scriveva che «Le funzioni del paratesto costituiscono un oggetto molto empirico e molto diversificato, che deve essere colto induttivamente».10 Alle dediche ad esempio sono stati rivolti molti studi interpretativi al fine di collegarne caratteristiche retoriche, formulari, scelta dei destinatari, collocazione nel libro e impaginazione (dunque sia elementi di contenuto sia elementi connotativi) al contesto storico, culturale, politico in cui sono state prodotte.11
Il moltiplicarsi di iniziative di digitalizzazione di testi a stampa, cui si assiste in questi anni, non sembra ancora aver avviato una riflessione sul trattamento del paratesto presente nell’edizione tradizionale. Si è scritto sul nuovo ruolo del paratesto che nasce già digitale, insieme col testo al quale si riferisce, e su possibili nuovi modelli per la gestione di questi contenuti paratestuali. Non sembra invece essere stato al centro della discussione il quesito se il paratesto presente in un libro (per ipotesi a stampa) conservi la sua funzione una volta separato dal supporto materiale originario e trasferito su un nuovo canale di trasmissione, quello appunto digitale. Ritengo che la causa principale di questa lacuna nel dibattito sia legata al fatto che il ricorso alla nuova tecnologia informatica non ha ancora portato a un significativo ripensamento dell’oggetto libro, che pure è il prodotto di una specifica tecnologia: la stampa. La conversione in formato elettronico di edizioni a stampa viene intesa semplicemente come trasposizione sul video dell’originale cartaceo, anche nel caso di edizioni critiche,12 che pure sono strumenti di studio, sui quali il lettore ha generalmente interesse ad applicare procedure di analisi in parte affidabili efficacemente alla macchina. Ciò è particolarmente evidente nel caso di edizioni digitali realizzate come riproduzione fotografica dell’originale, che potremmo legittimamente definire edizioni facsimilari o meccaniche.
Non è forse un caso che i formati maggiormente utilizzati per la diffusione via rete delle edizioni elettroniche siano quelli propri delle immagini digitali (TIFF, JPEG) oppure il PDF (Portable Document Format). Il PDF è un formato molto diffuso,13 che conserva perfettamente l’aspetto del documento originario (impaginazione, caratteri di stampa, stili tipografici, colori, grafica) indipendentemente dalle caratteristiche del libro da riprodurre, perché la pagina visualizzata è anche in questo caso una fotografia digitale. A differenza delle altre immagini digitali, il documento PDF offre però uno strumento per la ricerca di parole, se oltre alla fotografia della pagina contiene la trascrizione digitale del testo. Per ottenere tale risultato è necessario trascrivere il testo o farlo leggere al computer con l’ausilio di un programma per il riconoscimento automatico dei caratteri.
La digitalizzazione consiste fondamentalmente nella traduzione in numeri (numeri binari, quelli su cui si basa il funzionamento del computer) dell’informazione presente su supporto analogico,14 quindi nella sua codifica informatica; lo scopo è la semplice riproduzione e conseguente trasmissione dell’informazione su un nuovo canale. Questa operazione può essere automatizzata; il valore aggiunto del prodotto digitale è legato alla conservazione, alla facilità di scambio dell’informazione, alla possibilità di contenere una quantità di dati su un solo supporto enormemente superiore di quanto fosse possibile con un supporto analogico. La semplice digitalizzazione non consente un significativo miglioramento della gestione dell’informazione,15 che resta demandata unicamente all’utente umano.
Spesso l’uso dell’informatica per l’edizione di testi si risolve, quindi, in una sottoutilizzazione dei nuovi strumenti, al solo scopo di riprodurre nel formato digitale un testo concepito in modo gutemberghiano, cioè come testo unico fissato su un supporto immutabile, quello cartaceo: un testo univocamente identificabile anche grazie al suo paratesto, che dovrà quindi conservare sul video le stesse caratteristiche che presentava nella stampa. Il computer in questi casi è solo un mezzo di trasmissione, certamente più economico ed efficiente della stampa, perché fra l’altro consente una diffusione del testo attraverso Internet. Ma l’informatica offre ben altri strumenti per la gestione dei dati, che vengono così ignorati.
La questione da porsi è la seguente: perché è ancora preferita questa modalità di edizione?16 Perché si resta a un livello di codifica elementare, quella binaria, che serve solo a memorizzare i dati e istruire la macchina a restituire la pagina sul video, ma non consente ulteriori forme di gestione del testo? Il nodo sostanziale sta nella necessità di tradurre nel linguaggio del computer il significato di ogni dato, di ogni informazione che si vuole gestire automaticamente. La traduzione consiste nell’adozione di livelli sempre più sofisticati di codifica: non dunque una semplice digitalizzazione, bensì una informatizzazione.
Dovremo intendere per testo digitalizzato la memorizzazione automatica del testo presente in un’edizione tradizionale, con modalità che permettono alla macchina solo la sua visualizzazione, anche identica all’originale, ma non la sua gestione. Diversamente il testo informatizzato presenta la traduzione nel linguaggio informatico dell’informazione contenuta, in modo che il computer ne possa fare una gestione in qualche modo “consapevole”. L’informatizzazione, intesa in questo modo, può presentare diversi gradi di complessità, che dipendono dalle scelte operate dall’autore dell’informatizzazione medesima, in pratica da quanta e quale informazione egli intende tradurre nel linguaggio macchina; maggiore complessità corrisponde a maggiore flessibilità del prodotto finale, a maggiori possibilità di elaborazione dei dati da parte dell’utente.
Nel passaggio al supporto digitale gli elementi paratestuali dell'edizione cartacea devono pertanto essere formalizzati e codificati affinché possano diventare un messaggio comprensibile al lettore macchina. Il paratesto va considerato in quest’ottica, testo a tutti gli effetti, e la codifica che ne esplicita la natura, dichiarando al computer per ogni elemento la categoria di appartenenza (titolo, sottotitolo, autore, editore, etc.) diventa allora il suo paratesto, per così dire il paratesto del paratesto, o, meglio, il suo metatesto. Non basta più la mise en page, che svolge per il lettore umano proprio la funzione della codifica, consentendogli di distinguere e riconoscere ogni elemento del paratesto; l’impaginazione stessa, se necessario, dovrà avere a sua volta una duplice codifica: la dichiarazione esplicita della sua funzione e la codifica procedurale affinché venga riprodotta sul video.
Il lettore umano potrà continuare a leggere sullo schermo il paratesto senza alcuna differenza rispetto all'edizione a stampa; il valore aggiunto della codifica sarà la possibilità di far riconoscere alla macchina questo particolare testo e di fargli eseguire varie operazioni: dalle più banali (ad esempio verifica di presenze e/o assenze di specifici elementi) ad altre più complesse. Si deduce da questo ragionamento che il valore aggiunto di un’edizione informatica è tanto maggiore, quanto più è complesso il livello della sua informatizzazione; ciò comporta inevitabilmente un lavoro aggiuntivo che in gran parte ricade sull’autore stesso dell’edizione.
Con l’eccezione delle edizioni digitali facsimilari, qualunque edizione informatica, anche se basata sul modello tradizionale di matrice gutemberghiana, richiede dunque l’immissione di un paratesto codificato. E gli elementi paratestuali dovranno assumere una nuova, duplice codifica: procedurale e dichiarativa.
La nuova codifica procedurale o grafica serve a guidare il lettore nella lettura del testo sul nuovo supporto. Un e-book si presenta impaginato come una edizione tradizionale con alcune significative eccezioni, conseguenze tutte dell’uso della nuova tecnologia. La separazione in pagine viene meno,17 le note a piè di pagina non avendo più lo spazio fisico ove essere collocate, vengono riunite insieme e nel nuovo spazio unidimensionale sono poste alla fine del testo,18 il sommario viene trasformato in un menu per facilitare l’accesso ai contenuti del libro, e così via. La posizione di alcuni elementi paratestuali può anche variare secondo il programma utilizzato per la visualizzazione dell’e-book o secondo le personalizzazioni scelte dall’utente.
Nel novero degli elementi paratestuali scompare la testatina e viene introdotto il link. La testatina, o titolo corrente, perde completamente di significato con il venir meno della distinzione in pagine; essa aveva infatti la funzione di guida del lettore, gli ricordava il titolo della sezione che stava leggendo, ma questa funzione è ora affidata al menu in cui solitamente appare evidenziata la voce corrispondente al titolo della sezione corrente. Il link diventa invece l’elemento dominante del paratesto, quello che consente l’accesso al testo e dal testo alle note; il link viene a essere uno strumento decisamente più rapido ed efficace di quelli tradizionali per la ricerca e l’individuazione di specifici luoghi all’interno nel libro: dal testo principale alla nota, dal sommario a un capitolo, da un lemma dell’indice al contesto in cui ricorre. Il testo informatizzato, non semplicemente digitalizzato, pur costruito a imitazione di un testo tradizionale, offre un valore aggiunto (consente l’esecuzione di procedure di analisi automatica, l’aggiornamento dei contenuti, il collegamento con altri testi, e così via), agevola il lettore nella fruizione dei contenuti ma l’entità di tale valore è direttamente proporzionale al lavoro di codifica fatto sul testo digitalizzato.
Vale la pena notare che il lettore dell’e-book utilizza molti elementi paratestuali presenti nell’edizione tradizionale più o meno nello stesso modo, ma può decidere di personalizzarne l’impaginazione. Di conseguenza quegli aspetti grafici – che come già detto costituiscono una codifica del paratesto comprensibile al lettore perché condivisa e resa stabile, pur con eccezioni, nell’uso corrente – potrebbero, a causa delle personalizzazioni, non essere più universali né condivisi da tutta la comunità dei lettori. Il paradosso potrebbe essere che il paratesto digitalizzato richieda non solo una codifica per essere riconoscibile alla macchina, ma anche un metatesto che lo renda riconoscibile al lettore umano. L’ipotesi è forse meno remota di quanto si possa pensare se riferita al web come spazio di pubblicazione, perché esso consente con estrema facilità di modificare l’impaginato: cambiare ad esempio l’ordine degli elementi di un frontespizio (autore, titolo, luogo di pubblicazione, editore, ecc.) è già sufficiente a renderne dubbia l’identificazione.
La codifica dichiarativa è necessaria per consentire il riconoscimento e la gestione automatica degli elementi paratestuali da parte della macchina. È importante ribadire ancora una volta la differenza tra la codifica procedurale e quella dichiarativa. In entrambi i casi è richiesto un intervento aggiuntivo rispetto alla digitalizzazione, intervento che consiste nell’identificazione degli elementi del paratesto e nell’associazione a ciascuno di essi di un codice interpretabile dalla macchina. La codifica procedurale serve solamente a ottenere che sul video, o meglio sullo spazio pagina bidimensionale virtualmente ricostruito sul video o riprodotto materialmente a stampa, ciascun elemento si presenti in una determinata posizione e con un determinato aspetto grafico. Tali caratteristiche tipografiche difficilmente possono garantire l’univocità di significato richiesta a un codice, affinché esso possa consentire automaticamente la selezione di porzioni testuali con valore appunto paratestuale. Per questo serve la codifica dichiarativa, che esplicita, in un linguaggio comprensibile alla macchina, l’appartenenza di stringhe testuali a una categoria o a un’altra. Una parola visualizzata in stile corsivo, solo per fare un esempio banale, potrebbe corrispondere a un titolo, a una parola in lingua straniera, a una citazione. Il lettore umano distingue i casi grazie a una competenza che il computer ovviamente non possiede; perciò dovrà essere dichiarato esplicitamente il valore del testo (titolo / termine straniero / citazione) indipendentemente dallo stile grafico assegnato, al fine di consentire l’individuazione automatica e la gestione del testo medesimo da parte del computer.
Nel testo digitalizzato dunque il paratesto diventa testo, indistinguibile dal testo al quale si accompagna; esso recupera la sua funzione di paratesto solo con l’aggiunta di un metatesto che ne esplicita la natura. L’operazione di codifica richiede spesso notevoli risorse. Ma è sempre necessario introdurla? Dobbiamo progettare l’informatizzazione19 di tutti i testi digitali? Non è necessario. Lo è solo quando pensiamo di utilizzare il testo come strumento di studio e di ricerca. Il paratesto può restare testo indistinto, ovvero distinto solo tipograficamente dal testo principale nella conversione in formato digitale quando non lo si consideri oggetto di indagine. Altrimenti deve essere corredato di metadati, quelli utili alla ricerca in corso i cui obiettivi dovranno pertanto essere prefissati con molta attenzione. Due temi sono strettamente collegati a queste riflessioni; li introduco brevemente senza pretesa di esaustività:
a) l’importanza di una preventiva riflessione sugli obiettivi della realizzazione della versione elettronica di un’edizione tradizionale,
b) le possibili soluzioni per il trattamento del paratesto.
La realizzazione di un’edizione informatizzata intesa come strumento di ricerca è attività totalmente incompatibile con procedimenti empirici, richiede anzi un’attenta e solida progettazione iniziale, la formalizzazione delle procedure e dei ragionamenti che si intende seguire,20 la definizione degli obiettivi. I risultati finali dell’intero progetto dipendono dalle premesse metodologiche e dalle scelte operate nella fase di informatizzazione (codifica) dei dati; perciò queste operazioni non possono essere demandate senza controllo a coloro che realizzano gli applicativi, pena il rischio di ottenere risultati errati o inutili, perché basati su modelli non adatti alle informazioni trattate. «Il detentore della tecnologia e il detentore dei contenuti, il filologo, nel caso specifico, – scrive Chiesa – sono in linea di principio due soggetti differenti». Lo stesso Chiesa aggiunge in nota che «la codifica dei testi per l’edizione elettronica e la gestione di specifiche pagine web testuali, per passare poi alla preparazione del software necessario all’edizione, richiedono competenze che raramente il filologo è disposto ad acquisire e non sono comprese nel suo iter formativo».21 La separazione netta tra le due figure, con l’implicazione di una distinzione tra le competenze, costituisce, a mio parere un errore e la causa – forse non l’unica ma certamente una delle principali – della maggiore diffusione di edizioni digitali rispetto a quelle informatizzate. Ciò che non viene compreso è la necessità di una riflessione metodologica, teorica, progettuale che preceda la preparazione dell’edizione elettronica, dalla codifica del testo alla predisposizione dell’ambiente di gestione dei dati. Tale riflessione prescinde dalle competenze che potremmo definire prettamente informatiche. Prima di codificare si deve elaborare un modello di rappresentazione dell’informazione adatto agli obiettivi della ricerca. Codificare non è dunque un’operazione meccanica né delegabile: essa consiste principalmente nell’analisi del testo e nell’individuazione delle caratteristiche assunte come significative che, dopo essere state fatte oggetto di codifica informatica, possono diventare oggetto di analisi automatica da parte della macchina e possono fornire elementi per una successiva interpretazione dei dati.
I nuovi strumenti offrono diverse soluzioni per l’informatizzazione del paratesto, ma senza addentrarci in aspetti squisitamente informatici, legati alla scelta dei programmi, esse si possono riassumere in due categorie: formato testuale e banca dati.
Una possibile soluzione è quella di adottare un formato di informatizzazione di tipo testuale, in cui testo e paratesto restano uniti e distinguibili mediante l’inserimento dei metadati. Si conserva in questo caso la stessa organizzazione dei dati propria dell’edizione tradizionale da cui si parte, il loro essere espressi in una forma non standardizzata che non si vuole stravolgere o scomporre. La codifica dichiarativa, in particolare quella nota come XML (eXtensible Markup Language), consente di trattare il documento come un archivio in cui gli oggetti testuali individuati corrispondono alle tabelle del database e i metadati ai campi. Il documento codificato può essere utilizzato come una copia digitale dell’originale materiale, ovvero letto e interpretato dall’utente; allo stesso tempo possono essere eseguite operazioni di controllo e analisi automatiche. La quantità di operazioni automatizzabili e l’efficacia dei risultati è strettamente dipendente dal modello progettuale, dalle scelte effettuate nella scelta della codifica; una maggiore complessità di codifica consente l’esecuzione automatica di analisi più sofisticate ma essa comporta un costo di realizzazione non sempre sostenibile. Non è necessario “descrivere” tutte le caratteristiche del testo e del paratesto; si terrà conto solo di quelle significative per la ricerca. Allo stesso modo non si può proporre un modello unico di codifica applicabile a qualsiasi testo; il sistema di codifica dipende dalle caratteristiche del testo e dagli obiettivi per cui si informatizza il testo. Il ruolo di colui che Chiesa ha definito «detentore dei contenuti»22 è evidentemente fondamentale affinché siano prese le giuste decisioni in fase progettuale.
Una seconda possibilità di edizione consiste nella realizzazione di un database contenente i testi e i dati di corredo. In questo caso si rinuncia a fornire all’utente un documento elettronico simile al documento tradizionale cartaceo come forma esteriore; i contenuti vengono scomposti e distribuiti in campi. Questa soluzione è adatta soprattutto a determinati tipi di documenti, testi per lo più brevi, descrivibili attraverso una serie di attributi che costituiscono anche le chiavi di ricerca per l’accesso ai contenuti. Ci sono elementi del paratesto che possono essere trattati come testi a sé stanti, studiati indipendentemente dal testo di riferimento e organizzati in un archivio che può contenere un ampio numero di metadati, utili per il riconoscimento e la classificazione dei paratesti informatizzati. La bancadati impone una maggiore formalizzazione dei contenuti, specialmente dei metadati e consente di ottimizzare le operazioni di indicizzazione e ricerca dati.
Una bancadati dedicata alla gestione di uno dei più complessi elementi del paratesto, la dedica, è stata realizzata nell’ambito del progetto “I margini del libro”,23 finalizzato allo studio e alla catalogazione dei testi di dedica nella tradizione letteraria italiana. Allo scopo di censire e catalogare le dediche, è stato realizzato un archivio informatico interrogabile on-line (Archivio informatico della dedica italiana AIDI) contenente la riproduzione fotografica dall’edizione originale delle dediche, la trascrizione del testo e una scheda ‘anagrafica’ costituita da una serie di informazioni significative organizzate secondo diversi parametri.
Per concludere: la trasposizione di un testo edito tradizionalmente su supporto materiale nell’ambiente digitale ne consente una maggiore diffusione e per certi originali di particolare pregio ha anche un valore conservativo. Tuttavia il nuovo prodotto digitale non costituisce necessariamente un oggetto di ricerca manipolabile con i nuovi strumenti messi a disposizione dall’informatica. Per questo è necessario “informatizzare” il testo e tutte le sue caratteristiche significative rispetto agli obiettivi della ricerca. Informatizzare vuol dire codificare, tradurre in un linguaggio comprensibile alla macchina.
Il paratesto digitalizzato conserverà il suo valore funzionale rispetto al testo che accompagna, ma sarà riconoscibile e valutabile solamente da un lettore umano. Il paratesto informatizzato, ovvero introdotto a sua volta da un testo (metatesto) che lo renda riconoscibile anche alla macchina, potrà essere manipolato con procedure automatiche. I risultati di queste procedure, il valore dei dati che se ne ricavano è direttamente proporzionale al grado di informatizzazione del testo. L’elaborazione dei modelli di informatizzazione è compito del ricercatore, il solo in grado di decidere quali e quanti informazione è utile e necessario codificare. La scelta delle modalità tecniche di realizzazione del procedimento di informatizzazione potrà essere invece utilmente il prodotto di una sinergia tra ricercatori e informatici.
Bibliografia di riferimento
• I margini del libro. Indagine teorica e storica sui testi di dedica. Atti del convegno internazionale di Studi (Basilea, 21-23 novembre 2003), a cura di M. A. Terzoli, Roma-Padova, Antenore, 2004.
• Sulle tracce del paratesto, a cura di B. Antonino, M. Santoro, M. G. Tavoni, Bologna, Bononia University Press, 2004.
• C. Demaria – R. Fedriga, Il paratesto, Milano, Sylvestre Bonnard, [2001].
• G. Genette, Palimpsestes. La littérature au second degré, Paris, Éditions du Seuil, 1982 (trad. it. Palinsesti. La letteratura al secondo grado, Roma, Einaudi, 1997).
• Id., Seuils, Paris, Éditions du Seuil, 1987 (trad. it. Soglie. I dintorni del testo, a cura di C. M. Cederna, Torino, Einaudi, 1989).
• «Margini. Giornale della dedica e altro», 1, 2007 -
(http://www.margini.unibas.ch/web/it/content/journal_ausgaben.html)
• «Paratesto. Rivista internazionale», 1, 2004 -
I. B.
Note
1 G. Genette, Palimpsestes. La littérature au second degré, Paris, Éditions du Seuil, 1982 (trad. it. Palinsesti. La letteratura al secondo grado, Roma, Einaudi, 1997) introduce il concetto nei primi paragrafi ma lo sviluppa in modo più analitico solo qualche anno dopo in Id., Seuils, Paris, Éditions du Seuil, 1987 (trad. it. Soglie. I dintorni del testo, a cura di C. M. Cederna, Torino, Einaudi, 1989).
2 Catalogazione definita dallo stesso Genette non esaustiva perché il paratesto cambia nel tempo e secondo i testi a cui si accompagna.
3 Genette, Soglie cit., pp. 13-14.
4 M. Santoro, Nulla di più ma neppure nulla di meno: l’indagine paratestuale, in I dintorni del testo. Approcci alle periferie del libro. Atti del convegno internazionale (Roma 15-17 novembre 2004, Bologna 18-19 novembre 2004), a cura di M. Santoro - M. G. Tavoni, Roma. Edizioni dell’Ateneo, 2005, vol. i, pp. 3-13, la cit. a p. 8.
5 C. Demaria - R. Fedriga, Introduzione, in Il paratesto, a cura di C. Demaria – R. Fedriga, Milano, Sylvestre Bonnard, 2001, pp. 5-22, la cit. a p. 10. Cfr. anche M. Santoro, Nulla di più ma neppure nulla di meno cit., passim.
6 M. G. Tavoni, Avant Genette fra trattati e curiosità, in Sulle tracce del paratesto, a cura di B. Antonino – M. Santoro – M. G. Tavoni, Bologna, Bononia University Press, 2004, pp. 11-18, fa risalire ai Seicento la tradizione di trattatisti che focalizzarono la loro attenzione su elementi del paratesto.
7 Pensiamo ad esempio all’importanza delle glosse marginali, ma anche a tutti gli elementi grafici che caratterizzano un manoscritto e spesso contribuiscono alla ricostruzione della sua genesi. Elementi paratestuali quali prefazioni e glosse sono riconoscibili anche nei “libri” più antichi, nei papiri. In questi casi va distinto un paratesto con funzione appunto di presentazione, da un paratesto legato più alla tradizione che non al supporto materiale, responsabilità del fruitore del testo, importante per studiare i contesti in cui ha circolato uno specifico esemplare, non necessariamente coincidenti con il contesto per il quale l’esemplare medesimo è stato prodotto. Con le dovute differenze questo secondo paratesto si ritrova anche su edizioni moderne a stampa; si veda ad esempio Nel mondo delle postille. I libri a stampa con note manoscritte, una raccolta di studi, a cura di E. Barbieri, Milano, Cusl, 2002, raccolta di saggi dedicati al tema delle postille aggiunte dai lettori con ipotesi sul loro significato.
8 Cfr. Talking to the text. Marginalia from papyri to print. Proceedings of the Conference (Erice, 26 September – 3 October 1998), edited by V. Fera, G. Ferraù, S. Rizzo, Messina, Centro Interdipartimentale di studi umanistici, 2002.
9 F. Tomasi, Il paratesto nei documenti elettronici, in I dintorni del testo cit., pp. 713-22, la cit. a p. 714.
10 Cfr. Genette, Soglie cit., p. 14.
11 Si veda ad esempio M. A. Terzoli, I testi di dedica tra secondo Settecento e primo Ottocento: metamorfosi di un genere, in Dénouement des Lumières et invention romantique. Actes du Colloque de Genève (24-25 novembre 2000), Réunis par G. Bardazzi et A. Grosrichard, Genève, Droz, 2003, pp. 161-92.
12 P. Robinson, Current issues in making digital editions of medieval texts – or, do electronic scholarly editions have a future?, in «Digital Medievalist», i/i, 2005 (disponibile sul sito della rivista www.digital.medievalist.org/journal/1.1/robinson/) scrive: «We have become rather too familiar with what one might call the token electronic edition: the edition where the real meat is on display in the print version».
13 La società Adobe, che ne detiene il copyright, distribuisce gratuitamente il visualizzatore in più versioni per le diverse piattaforme hardware e software (Acrobat reader) e ne ha così favorito la diffusione.
14 Dal foglio al nastro alla pellicola.
15 Per gestione si intende qui qualsiasi operazione che comporti la comprensione del significato dell’informazione digitalizzata.
16 Ciò è del resto perfettamente coerente con quanto rilevato da Robinson, Current issues cit.: «We should begin by being realistic about the degree to which print editions still predominate».
17 In realtà la separazione delle pagine dell’edizione originale viene codificata, in modo che il lettore possa “sfogliare” il libro e passare alla visualizzazione di una pagina anche non consecutiva a quella corrente sul monitor.
18 Tra i capitoli o alla fine di tutto il testo secondo la numerazione delle note adottata nella stampa: se ricomincia per ogni capitolo o si presenta come numerazione unica.
19Non è un gioco di parole. Si è già chiarito precedentemente il diverso significato attribuito ai due concetti di testo digitalizzato e testo informatizzato: cfr. supra p. 4.
20 Ragionamenti che T. Orlandi, Informatica, formalizzazione e discipline umanistiche, in Discipline umanistiche e informatica. Il problema della formalizzazione, a cura di T. Orlandi, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1997, pp. 7-17 (http://rmcisadu.let.uniroma1.it/~orlandi/formaliz.html) definisce «storicisti».
21 P. Chiesa, Sul controllo filologico delle edizioni critiche digitali, «Filologia mediolatina», 17, 2010, pp. 325-46, la cit. a p. 328.
22 P. Chiesa, Sul controllo filologico cit., p. 328.
23 Progetto diretto da Maria Antonietta Terzoli dell’Università di Basilea. Per informazioni più dettagliate http://www.margini.unibas.ch/web/it/index.html; e Ead., L’archivio informatico della dedica italiana (AIDI), in «Bollettino di Italianistica», iii, 2006, 2, pp. 158-70.