14, 2020
 
Saggi    
 
Abstract


Flavio Ferri-Benedetti

"Dell’opra eccitator primiero": Metastasio, Farinelli
e Ferdinando VI nelle dediche gemelle per la Nitteti del 1756




1. Metastasio e Farinelli, i “cari gemelli”
Molto è stato scritto sulla relazione d’arte e d’amicizia di due giganti del Settecento quali furono il drammaturgo Pietro Metastasio e il soprano evirato Carlo Broschi (Farinelli), sul loro indissolubile legame durato almeno sessantadue anni (sebbene la maggior parte di essi a livello epistolare) e sul loro comune debutto sulle scene grazie alla serenata napoletana Angelica e Medoro del 1720: l’uno come novello librettista per la musica del maestro Porpora e l’altro come dotatissimo cantante quindicenne alle prime armi, allievo di quest’ultimo. Le tante lettere di Metastasio che sono rimaste illustrano e testimoniano con garbo e simpatia non solo uno scambio culturale, letterario e musicale, ma anche un vero rapporto affettivo e spirituale, forse tra i più rilevanti ed interessanti del secolo.
I “cari gemelli”, come solevano chiamarsi a vicenda, erano legati da una profonda amicizia che potrebbe riassumersi citando una lettera di Metastasio al soprano inviata il 26 agosto 1747: «Io non so esprimermi meglio che dicendovi che v’amo quanto merita d’essere amato Farinello».1 Non sarà compito di questo breve articolo il riproporre i dettagli di questo illustre rapporto. Basti a questo fine la copiosa bibliografia dedicata a tale imprescindibile binomio artistico del Settecento, in special modo gli importanti studi del prof. Mario Valente2.
2. La genesi della Nitteti come libretto desiderato e dedicato: lo scambio epistolare
La breve “azione teatrale” L’isola disabitata, dal sapore esotico-selvaggio molto alla moda a partire dalla seconda metà del Settecento, fu ideata dal librettista appositamente per la corte di Madrid, dove Ferdinando VI, come già suo padre Filippo V, vantava la presenza di Farinelli quale intimissimo e potentissimo favorito, nonché responsabile degli spettacoli musicali. Infatti, Broschi aveva la possibilità di amministrare scene, regie, commissioni musicali e drammaturgiche senza dover praticamente badare a spese. Il successo de L’isola disabitata nel maggio del 1753, musicata dall’italo-viennese Giuseppe Bonno (1711-1788), provocò l’invio a Vienna di preziosi regali per il poeta, come si evince dagli scambi epistolari dell’anno seguente.3 Metastasio, inoltre, non mancò di inviare al “caro gemello” interessanti spunti e indicazioni per la messa in scena della pièce, come era solito fare.
Questa piacevole e fruttifera collaborazione fece sicuramente desiderare a Farinelli la produzione di una vera e propria opera con libretto di Metastasio, un dramma in musica più ambizioso se paragonato a una semplice “azione teatrale” di soli quattro personaggi com’era L’isola disabitata. Già nel giugno del 1754 Metastasio si lamenta scherzosamente della premura con cui il cantante affretta la stesura dell’opera che da “tanto tempo” quest’ultimo vorrebbe per Madrid, dichiarando appunto di essere ancora alla ricerca di un soggetto adatto.4 Nonostante le proteste a causa dei numerosi impegni a corte e, come vedremo dopo, dei vari problemi di salute, l’abate confessa di avere già steso quasi tutto il primo atto in agosto, «a dispetto di tutto l’inferno che si è risvegliato per disturbarmi»,5 e in settembre afferma di aver terminato il secondo atto «senza perder fiato». Tuttavia sottolinea amichevolmente l’insistenza del suo «amabilissimo Svizzero», aggettivo che il poeta romano dedica con ironia a Broschi per definire la sua premura nel vedere e toccare con mano i frutti dell’incarico.6 Metastasio finalmente conclude la redazione del libretto e lo invia il 20 dicembre 1754, senza ricevere notizie da Madrid riguardo l’esito della spedizione fino al maggio dell’anno seguente, sentendosi poi rassicurato dalla conferma, seppur tardiva,7 dell’arrivo. In ottobre riceve già un dono di ringraziamento tramite il conte di Torre Palma, presente a Vienna in qualità di ministro plenipotenziario di Ferdinando VI.8 Metastasio esagera, però, quando scrive a Antonino Montaperto di Santa Elisabetta nell’aprile 1756 che «son già due anni che dopo dieci di ostinata persecuzione […] mandai finalmente al caro gemello una nuova opera scritta da me a tenore del suo desiderio, cioè breve, tenera e fastosa»: in realtà erano passati solo un anno e quattro mesi dall’invio. È tuttavia vero che l’opera non aveva ancora potuto essere rappresentata per via della poca qualità dei cantanti a disposizione fino ad allora e anche a causa dei terribili terremoti del 1755,9 ma lo sarà finalmente nell’autunno del 1756. L’abate scrive a Tommaso Filipponi il 1° novembre 1756 che la Nitteti era già stata rappresentata a Madrid con magnificenza e grande successo10. Lo stesso giorno scrive al fratello Leopoldo Trapassi sorpreso del fatto che, a quanto pare, l’opera fosse già conosciuta, in stampa, anche a Roma: «La mia Nitteti è una figlia scapestrata. È già venuta a fare la civetta in Roma, prima di farsi vedere in Vienna. Non so come in Madrid l’abbiano così emancipata dalla patria potestà. Me ne lagnerò amaramente con Farinello…».11 Ad ogni modo, Metastasio si mostra felice dell’esito della Nitteti e della cura con la quale Farinelli ha prodotto l’opera a Madrid − «Chi non vorrebbe comporre opere con la sicurezza che divengono prodigi fra le vostre mani?» − e si cruccia di non aver ricevuto ancora gli esemplari dell’opera promessi dal soprano12. L’abate si lamenta inoltre di alcuni cambi sofferti dal suo libretto nella versione di Madrid, e cercherà di assicurarsi che a Torino, in una produzione posteriore, venga utilizzato il libretto senza alterazioni.13 Sebbene Metastasio consigliasse nel 1754 Gioacchino Cocchi come possibile compositore,14 fu Nicolò Conforto a ricevere questo incarico, già conosciuto a Madrid ad esempio per il suo Siroe metastasiano (1752).15 Già nel 1757 sappiamo di nuove versioni della Nitteti a Reggio Emilia (con musica del Traetta) e a Napoli (con musica del Piccinni). Il libretto verrà di seguito sfruttato fino all’inizio del secolo XIX da compositori come Hasse, Jommelli, Anfossi, Paisiello, Sacchini o Bertoni, tra gli altri. Inoltre, come accadde ad altri lavori del Metatasio, la Nitteti appare non solo accompagnata da una traduzione spagnola stampata per la prima alla corte (libretto bilingue), ma anche nella interessante adattazione realizzata da F. M. Nipho e stampata a Siviglia, Valencia e Barcellona. Da non dimenticare, poi, la certosina traduzione di Benito Antonio de Céspedes, presbitero aragonese, tramandata unicamente dal manoscritto della Biblioteca Provincial de Toledo.16
3. Il triangolo di dediche della Nitteti
3.1. Il sonetto della Nitteti
La Nitteti inviata a Madrid da Metastasio è accompagnata da una particolare dedica in forma di sonetto, la quale si trova sia nella versione bilingue del libretto associata al debutto svoltosi al Buen Retiro, sia in alcune edizioni successive (solo in italiano), ad esempio nelle ristampe eseguite a Roma e Milano, ma non nei libretti per le versioni di Reggio Emilia, Torino o Napoli, tra le altre. Il sonetto ricomparirà poi nelle edizioni integrali delle opere dell’autore, come già nel tomo v della conosciutissima opera omnia parigina “presso la vedova Hérissant”.17 Il sonetto riceverà, nel contesto delle edizioni integrali, la numerazione xxi, come anche nel Brunelli18.
Vediamo in primo luogo il debutto in stampa del sonetto-dedica (Madrid 1756), con una traduzione spagnola in veri endecasillabi rimati di fattura alquanto notevole.

Vediamolo ora anche colla punteggiatura e l’ortografia ufficiale, come appare nell’edizione Hérissant del 1780 e nel tomo ii del Brunelli (quest’ultimo, però, preferisce la minuscola per “ibero”):

Nell’immaginario allegorico-letterario del poeta romano, le Muse possono vantare con egli un rapporto matrimoniale non esente da litigi e ripicche, e le creazioni della penna vengono spesso chiamate o soprannominate “figlie”: un parallelismo curioso per un abate celibe la cui famiglia è, oltre a quella imperiale della sua “Padrona”, soprattutto quella che si è costruito attraverso amicizie e conquiste artistiche, primo fra tutti l’amato “gemello”, ovvero Carlo Broschi. Lo vediamo, ad esempio, nel febbraio del 1750, quando Metastasio invia la sua famosa Canzonetta (A Nice) alla principessa napoletana Anna Francesca Pignatelli di Belmonte: la piccola ma deliziosa lirica, con musica dello stesso poeta, non solo è chiamata dal suo creatore «questa mia Elena vagabonda», ma la affida alle cure della destinataria con una quasi tragicomica severità: «L’accolga con rigore, la metta in penitenza: e le faccia quella specie di trattamento che merita una figlia disubbidiente, che ha violati con tanta sfacciataggine i necessari divieti del proprio padre».19 Già prima abbiamo visto Metastasio chiamare Nitteti “figlia scapestrata”, fosse anche solo per il ritardo nell’arrivo dei libretti a Vienna e per la più rapida apparizione del libretto a Roma. Con le Muse, poi, il rapporto è particolare, a volte quasi ironico. Lo stesso Farinelli, ostinato nel chiedere a Metastasio la stesura della Nitteti per Madrid, si vede recapitare nella lettera del 18 giugno 1754 non solo le lamentele dell’abate contro la premura da “mostro marino” del soprano, ma anche una preghiera d’ispirazione: «Imploratemi salute e fortuna con le Muse, che in tanti anni di matrimonio non vogliono aver meco quella compiacenza che avevano quando aspiravano alla mia conquista».20 Certo una relazione non facile, quella con le Muse: «Dopo tanti anni di matrimonio [con esse], io vivo ora in una certa familiarità, che potrebbe parere amicizia, ma a dirla così fra noi non è altro che dissimulazione», scrive nel 1753 a Mattia Damiani.21 Una liaison che Metastasio denuncia quasi con lo stesso gusto ipocondriaco, quello dei suoi tipici “mille cancherini”, che lo contraddistingueva nel piangere e compiangere malanni fisici più o meno seri. Anche nel Parnaso accusato e difeso del 1738 inveisce, tramite la fervida Virtù (forse l’allegoria del lato più moralistico dell’abate), contro le inquiline del Parnasso: «le Muse ancora / Nemiche ho da soffrir. Non sudan queste / Che a render vano il mio sudor».22 Addirittura ammette di dover battersi con le Muse, allo stesso tempo che coi suoi «indiscretissimi flati», per riuscire a terminare un’opera, come scrive al Filipponi nel 1751.23 Allo stesso amico torinese spiega che, se l’ispirazione manca, è per via degli «affetti isterici» delle Muse,24 termine quasi degno di una psicologia prescientifica che Metastasio usa a volte anche riguardo a sé, facendo riferimento a certe difficoltà caratteriali o umorali. Le Muse sono però anche madri putative del poeta oltre che mogli, come spiega, forse con una sottile misoginia, allo stesso Filipponi nell’aprile del 1747: «nato […] ed allevato fra le gonne delle povere Muse, che sono al fine donnicciuole».25 Quindi, la Nitteti è una figlia partorita e spedita al “soglio ibero”, e più precisamente affidata alle cure di Broschi, il quale avrà la quasi solenne responsabilità di insegnarle l’arte e la disciplina del rispetto reale, come è giusto che sia per un dono commissionato da un favorito del sovrano per il sovrano stesso. Una figlia d’arte che poi diventa quasi ambasciatrice coi famosi gemelli facendo da ponte tra la Corte Imperiale viennese e la Corte Cattolica madrilena. L’opera deve addirittura essere considerata dal cantante-regista-impresario come una «nipotina piena di buona volontà».26 La metafora della paternità/maternità nei confronti delle creazioni poetiche arriva però al parossismo nella lettera dell’8 dicembre 1756, quando Farinelli sembra desiderare un’ennesima nuova opera da Metastasio: Voi mi vorreste gravido un’altra volta! Dopo tanti parti credete che non si perda la voglia di partorire? Contate per niente i dolori, le nausee della gravidanza, il timore di far qualche maledetto aborto? L’apprensione del grado e della penetrazione de’ semidei per i quali si dee partorire?27 In questa collezione di termini famigliari metaforici (madri, mogli, nipoti, figlie) non va dimenticato però il gemellaggio o “gemellaggine”, sostantivo che l’autore adopera nelle sue lettere. È importante perché rende effettivo l’impegno acquisito dal destinatario sotto la giustificazione dell’unione artistica, musicale (“la tua voce”) e letteraria (“il mio pensiero”), dominando la seconda quartina del sonetto. Si noti come non fosse necessario, nel libretto spagnolo, spiegare la natura di questo gemellaggio, chiarimento che troviamo però nell’edizione parigina dell’opera omnia quasi trent’anni dopo, come abbiamo visto sopra: «L’affettuoso nome di gemello…». È forse azzardato immaginare un tentativo da parte di Metastasio di impedire commenti sgradevoli riguardo cotale affettuosità e tenerezza tra due uomini le cui lettere sembrano quasi infuse d’amore platonico? Ricordiamo quando Farinelli viene descritto come «antico possessore non che conoscitore del cuor mio»,28 o quando Metastasio invia «una legione di baci»29 al soprano, senza dimenticare la «sensualità quasi peccaminosa» nel ricevere i libretti promessi da Madrid.30 Non sembra solo semplice, amichevole cortesia, questo passaggio del 4 novembre 1750: A queste prove come dubitar della vostra tenerezza? È principio il più sicuro fra tutti gli assiomi amorosi che l’impazienza di comunicarsi a vicenda e le gioie e gli affanni è la più dolce premura di veri amanti, e fra i moti interni che produce e l’amicizia e l’amore non v’è altra differenza se non che gl’impeti dell’uno sono ragione dell’altra.31 E almeno una volta, nella lettera del 26 agosto 174732, Metastasio teme le malelingue e sembra evidente a quale tipo di “impostura” voglia fare riferimento, soprattutto in un contesto dove i confini tra amicizia e amore diventano ambigui: Io non so esprimermi meglio che dicendovi che v’amo quanto merita d’essere amato Farinello. Ma sospendiamo queste tenerezze, affinché qualche maligno non ci appicchi un’impostura di quelle che servono a consolar l’invidia intollerante dell’onesta, tenera, vera e disinteressata amicizia. Ad ogni modo, Farinelli riceve nel sonetto-dedica l’avvertenza della sua responsabilità per quanto riguarda “l’onor de’ carmi”, e quindi anche l’onore della nuova creazione metastasiana destinata al “soglio ibero”, appartenendo ancora il soprano, seppur criado familiar di Ferdinando VI,33 alla “armonica famiglia” dei celebri musici italici. Qui si intende tra le righe anche il matrimonio tra parole e musica, ancora uno dei cardini della buona scuola belcantistica italiana, nella quale, idealmente, i compositori e i musicisti/musici hanno il compito sacro di rendere onore alla parola cantata, al libretto, al quale Metastasio stesso ha ridato lustro e rispettabilità dopo il declino drammaturgico e poetico del melodramma della fine del Seicento, il quale viene descritto nel suo momento più evidente non solo dall’Arcadia, ma anche da parodie umoristiche come quella di Benedetto Marcello, che ancora non aveva vissuto la riforma metastasiana.34 Ma, come avviene sempre in Metastasio, è il cuore a prevalere, e lo fa nell’ultima terzina: più del dovere di un membro della “armonica famiglia”, votato a rendere onore ai versi e alla creazione artistica, sarà l’affetto paterno dell’autore per l’opera/figlia lo spunto che debba finalmente spronare Farinelli a portare a termine con successo l’adozione della Nitteti, se non altro come dimostrazione effettiva dell’amore insito nel loro gemellaggio. Si tratta quindi di una preghiera affettuosa di traslazione di cure e di amore a una creatura inviata da Vienna a Madrid, appunto quella “nipotina” che si spera possa trovare agevole domicilio presso Broschi e che attende applauso e clemenza ai piedi dei sovrani spagnoli.
3.2. La dedica di Farinelli nel libretto madrileno
Purtroppo, non si conservano le lettere dirette da Farinelli a Metastasio. Tuttavia, dobbiamo al geniale Carlo Vitali l’edizione dell’epistolario destinato da Broschi al conte Sicinio Pepoli, lettura obbligatoria, spiritosa e a tratti anche toccante, nella quale possiamo intravedere il carattere e lo stile del celebre musico.35 E sebbene non conserviamo commenti epistolari del soprano per quanto riguarda la nascita dell’opera, abbiamo la dedica diretta dall’“eccitator primiero” della Nitteti al destinatario finale di un prodotto del quale egli era stato l’intermediario. Tale dedica, stampata sul libretto della prima assoluta, è infatti per Ferdinando VI e viene proposta in versione bilingue, così come il sonetto e, naturalmente, il dramma per musica. Riproponiamo qui il testo italiano del 1756 conservando l’uso delle maiuscole tipico dell’epoca: in questo modo possiamo riflettere sul grado di importanza di certi sostantivi ed aggettivi rispetto ad altri nella maniera di pensare del soprano, sottolineando la gerarchia di cose e persone in un testo/contesto così tipicamente adulatorio com’era, nel Settecento, la dedica di uno stampatore, autore o musicista a un regnante o “padrone” (nel gergo metastasiano, colui che rende possibile e fattibile la creazione artistica e la sua posteriore messa in scena):
S[acra]. R[eale]. C[attolica]. M[aestà].
nella direzione, per me oltre modo onorevole, de’ Spettacoli destinati in questo Giorno alla plausibile memoria del Glorioso Natale della S. R. C. M. V[ostra]. non è mia lusinga, se ardisco credere, che i benefici influssi in me piovuti dal Sovrano cenno della S. R. C. M. della REGINA mia Signora hanno di gran lunga superate le mie stesse speranze. Ne reco per pruova a’ Piedi della M. V. in questo Libretto il Dramma intitolato la NITTETI, parto ben recente della non mai abbastanza encomiata vena del mio Abbate Pietro Metastasio, il quale dalla Corte Imperiale, a cui consagra tutt’ora i preziosi frutti del suo studio indefesso, e del suo talento sublime, ad onta del perpetuo contrasto, che soffre dalla sua complessione cagionevole, e dalle ordinarie sue occupazioni, ha voluto aver parte con questo suo nuovo Poema agli applausi, che con tanta ragione a piene voci le tributano nella ricorrenza di simil Giorno i suoi Popoli fortunati. Poco avrebbe che aggiungere il mio zelo alla rispettosa offerta di un tal tributo, se l’Amico, o per impulso di certa sua naturale moderazione, o per voglia di rifarsi meco delle moleste premure, colle quali non cessai d’animarlo al compimento dell’Opra promessami, non mi avesse publicamente intimata la legge di procurare direzione, ed appoggio a questa, che egli chiama sua Figlia, con rinovarmi per ciò alla memoria i doveri più sacri dell’Ospitalità, e i più teneri legami dell’Amicizia. Ad una istanza sì delicata mi è dunque forza di corrispondere con eguale impegno; onde se mai giunsero a meritare le mie suppliche la Clementissima tolleranza di V. M. questa è la volta, che la implorano più che mai, affin che sotto l’ombra possente del Trono Augusto della M. V. trovando Egli, e la sua NITTETI quel ricovero, di cui volle farmi mallevadore, renda testimonianza publica al mondo della vantaggiosa accoglienza, che qui si destina alle lettere, e a chi degnamente le professa, e del benefico Patrocinio, con cui vengono dalla M. V. onorate, e le umili mie preghiere, e quella profonda venerazione, con cui mi farò sempre gloria di dichiararmi
Della S.R.C.M.V.
  Umilissimo, Ossequios[issimo] ed Ubbidientis[simo]. Servidore,
                                        Carlo Broschi Farinelli
Si tratta senza dubbio di una dedica particolare e degna di analisi. Innanzitutto, Farinelli non tralascia di ricordare già all’inizio la sua seconda padrona e “Signora”, figura importantissima per lui a corte: Barbara di Braganza, regina di Spagna e consorte di Ferdinando VI, era non solo Infanta del Portogallo ma anche figlia di Maria Anna d’Austria (Asburgo), quindi cugina diretta dell’imperatore Carlo VI, padre di Maria Teresa, attuale “Padrona” di Metastasio. L’importanza della coppia Barbara-Ferdinando nello status di Broschi a corte è evidente anche perché i sovrani erano grandi appassionati di musica, e fecero rimanere il virtuoso a corte dopo la morte di Filippo V e dopo l’esilio in campagna della regina vedova, Isabella Farnese di Parma, figura che molto fece per la popolarizzazione dell’opera italiana in Spagna. Farinelli, amato e rispettato alla Corte Cattolica di Madrid, si trova in una situazione parallela a quella del suo “caro gemello”, amato e rispettato a sua volta alla Corte Imperiale di Vienna, due corti unite da legami di sangue e ora anche da un filo poetico-musicale che già era nato con L’isola disabitata. Il soprano sottolinea che il libretto proviene da Metastasio, descritto come suddito affaccendato, diviso tra il fedelissimo servizio a Maria Teresa e l’impegno dovuto al suo “studio indefesso” − menzione che accresce la visione dell’abate come intellettuale e uomo di cultura. È da notare, tuttavia, come Farinelli non abbia ripensamenti nel citare il vacillante stato di salute dell’autore, quasi fiero di quella “complessione cagionevole” (si vedano i “cancherini” e i “flati” delle lettere) che pare rendere i suoi sforzi letterari ancora più ammirevoli e degni d’applauso. Il Farinelli direttore-impresario degli spettacoli di corte è senz’altro alquanto trasparente nel rendere motivazioni e chiarimenti: non solo, come abbiamo visto, lascia intravedere la delicatezza dello stato di salute dell’“Amico” Metastasio, ma confessa pure le “moleste premure” che egli stesso ha inflitto all’abate per il completamento dell’opera,36 premure che, nell’epistolario citato poc’anzi, gli fecero meritare l’appellativo di “svizzero”, e che potevano sicuramente rimanere nella sfera del privato senza la necessità di diventare pubbliche tramite una dedica data alla stampa. Come ricompensa alla premura, però, Broschi riceve dall’autore il compito di dirigere ed appoggiare la messa in scena dell’opera, e quindi di fare da padrino o zio a questa “Figlia” o “nipotina” che era la Nitteti. I concetti di “Amicizia” e “Ospitalità” qui adoperati, dal sapore così virtuosamente metastasiano, fanno da cornice ma anche da base all’“impegno” artistico, al dovere di tutela e adozione dell’opera artistica che è proprio dell’“armonica famiglia” alla quale autore e direttore appartengono.
Esempio di virtuosismo (si noti la scala di nove trilli) nell’aria della protagonista Nitteti “Già vendicato sei” (I, 7), il quale mette in luce le capacità canore del soprano Teresa Castellini, artista protetta a Madrid da Farinelli. Manoscritto con la musica di Conforto (Napoli, Conservatorio di S. Pietro a Majella, I-Nc 26.6.1). L’approvazione dei sovrani e padroni reali è desiderata per l’esito dell’opera in toto: non solo per il libretto arrivato da Vienna, ma anche per la musica, la scenografia, la prova canora (con la partecipazione di bravissimi cantanti quali il castrato romano Filippo Elisi, il celeberrimo tenore tedesco Anton Raaff/Raaf, che sarà 25 anni dopo il primo Idomeneo mozartiano, o la soprano milanese Teresa Castellini). Tale approvazione reale è rivestita, sempre in linea col pensiero metastasiano, dall’immagine decisamente prerivoluzionaria della magnanima “ombra possente del Trono Augusto”. Il sovrano, come se non bastasse, viene lusingato dal suo criado familiar in quanto protettore delle “lettere” e di chi “degnamente le professa”. La corte di Madrid sotto l’influsso di Ferdinando VI è descritta quindi come culla e rifugio della cultura, che ivi trova “accoglienza” e “benefico Patrocinio”. Carlo Broschi ricorderà sicuramente la benevola protezione dei primi due Borboni spagnoli, Filippo e Ferdinando, quando qualche anno dopo verrà congedato dal fiammante Carlo III, interessato alla caccia, all’architettura urbanistica e ad altro tipo di intrattenimenti piuttosto che alla musica anticheggiante di un capón simbolo di tempi andati, “Umilissimo” (nonostante le maiuscole) “Ossequiosissimo ed Obbedientissimo Servidore”, un personaggio amato da molti ma scomodo ad alcuni, così intimamente legato al sovrano da essere onorato perfino con l’accesso privato alle stanze reali.
4. Conclusione
Abbiamo visto dunque chiaramente un triangolo dalla personalità spiccatissima: un poeta, un direttore-regista-musico e un sovrano legati da un libretto e da una sequenza di dediche allo stesso tempo gemellate e diverse, e non solo nel formato.

Farinelli agisce come intermediario evidente nella stesura di questo filo culturale: per conto della corte di Spagna è lui che richiede al “caro gemello” la creazione di un’opera seria, ed è lui a riceverla, accompagnata dalla dedica in forma di sonetto che abbiamo analizzato poc’anzi. Questo sonetto descrive Broschi come “dell’opra eccitator primiero” e propone vari spunti al musico per la redazione della dedica che poi accompagnerà il libretto, stampato in italiano e spagnolo per il debutto dell’opera già due anni dopo la sua concezione. Infatti, come abbiamo visto, il libretto della Nitteti al Buen Retiro (autunno del 1756) offre non solo la prefazione di Broschi, ma anche il sonetto dell’abate. L’una accanto all’altra, le dediche danno solide basi alla proposta del Gesamtkunstwerk finale, assicurandosi senz’ombra di dubbio, anzi sotto “l’ombra possente del Trono”, il plauso e il favore dei magnanimi sovrani. Due dediche, una in verso e l’altra in prosa, che sfruttano inoltre le stesse immagini e si ispirano agli stessi valori: il dovere della famiglia artistica, l’opera come prole da allevare e proteggere ma anche da educare all’ubbidienza e al rispetto del committente reale, l’amicizia, l’ammirazione, la creazione di qualcosa che diletti e istruisca al tempo stesso. Valori metastasiani che si rispecchiano poi negli eroi e nelle eroine dei libretti, oggetti e soggetti nel processo di quella “ammirazione delle virtù” che impregna la drammaturgia metastasiana, più interessata alla catarsi patetica e sentimentale che a quella del sangue e dell’orrore puramente greca; più interessata alla bontà di un sovrano che al timore di un tiranno. E così nasce la Nitteti, tra Vienna e Madrid, frutto del suo tempo, di una concezione di cose e idee che poi verrà dilaniata dalla Rivoluzione, dal romanticismo, dallo Sturm und Drang che già iniziava a sentirsi nell’aria, da un mondo nuovo di idee che, in nome dei lumi ma non solo, non poteva più concepire l’esaltazione e il mistero di un cantore evirato, la sottomissione a un sovrano dell’ancien régime, i valori della virtù di un Megacle fedele amico o di un Tito clemente rispetto a quelli di una passione frenetica e ribelle, ma nuova. Sono infine due dediche, una accanto all’altra, che potremmo definire “gemelle”, così come “gemelli” si sentivano e si descrivevano i loro autori, legati da un profondo sentimento di stima, di amicizia, di tenerezza, di amore puro, legati dagli ideali del belcanto, del teatro, delle “belle lettere”, dai contenuti e dalle forme di un movimento, quello metastasiano, che segnò per sempre la riabilitazione artistico-letteraria del libretto operistico.

F. F.-B.




Note

1 P. Metastasio, Lettere, in Tutte le opere, a cura di B. Brunelli, vol. iii, Milano, Mondadori, 1943-54, p. 313. torna su
2 Ad esempio, M. Valente, Il canto di Farinelli e di Metastasio a Vienna, in Il Farinelli e gli evirati cantori, Atti del Convegno Internazionale di Studi in occasione delle manifestazioni per il 300° anniversario della nascita di Carlo Broschi detto il Farinelli (Bologna, Biblioteca Universitaria, 5-6 aprile 2005), a cura di L. Verdi, Lucca, LIM, 2007, pp. 125-56. torna su
3 P. Metastasio, Lettere, vol. iii, p. 932 − sebbene vi fu già nello stesso 1753 un regalo fatto dallo stesso Farinelli, una «veste indiana così stranamente leggiera» (ivi, p. 847). Da qui in poi, per brevità, citeremo dal vol. III del Brunelli (Tutte le opere di Pietro Metastasio) solo col numero della pagina. torna su
4 Ivi, p. 933. torna su
5 Ivi, p. 944. torna su
6 Ivi, p. 949. Metastasio usa questo aggettivo più volte e anche in varie lettere, variandolo umoristicamente, sempre riferendosi alla premura e alla fretta di Broschi di ricevere l’opera conclusa (ad esempio, «gemello svizzero» o «caro mostro marino mascherato alla svizzera», nella lettera a Francesco Maria Ridolfi, ivi, p. 955). torna su
7 Ivi, p. 1019. torna su
8 Ivi, pp. 1070-71. Il «superbo regalo» fu «intorno del valore a mille ungheri» (ivi., p. 1085) o «mille zecchini», in forma di «preziosa scrivania, gravida di medaglie d’oro» (ivi, p. 1111). torna su
9 Ivi, p. 1111. torna su
10 Ivi, p. 1144. torna su
11 A Roma vede infatti la luce una ristampa del libretto con dedica a Giacinta Orsini dei duchi di Gravina: «NITTETI, ultimo parto del lodato Autore, che appena rappresentato in quest’Anno nella Real Corte di Madrid col rendersi da me pubblico viene a ricevere non minori applausi di quelli in essa meritati», recita la dedica dello stampatore. I nomi dei cantanti specificati sotto la lista dei personaggi riflettono il cast di Madrid. P. Metastasio, La Nitteti: dramma per musica […], Barbiellini, Roma, 1756. torna su
12 Sicuramente due esemplari del libretto messo in stampa per lo spettacolo di corte: P. Metastasio, La Nitteti: Dramma per musica da rappresentarsi nel regio teatro del Buon-Ritiro […], Madrid, 1756. I due libretti madrileni arriveranno poi col ritardo tipico dovuto ai procedimenti della dogana. torna su
13 P. Metastasio, Lettere, vol. iii, p. 1167. L’opera vedrà la scena torinese finalmente nel Carnevale del 1758, con musica di Holzbauer. torna su
14 Ivi, p. 950. torna su
15 Vari studiosi parlano della ricezione, esecuzione e creazione del genere operistico italiano in Spagna, la cui popolarità si deve in primis all’influsso e ai gusti musicali della famiglia reale borbonica. Non va dimenticata tuttavia la posteriore perdita d’interesse in questo genere dovuta a Carlo III (il quale esonerò Farinelli dalla corte dopo più di vent’anni di onorato servizio per i due precedenti monarchi). Degno di nota il classico, sebbene ormai datato, E. Cotarelo y Mori, Orígenes y establecimiento de la ópera en España hasta 1800, Madrid, 1917. Per la fortuna di Metastasio in Spagna si veda soprattutto A. Sommer-Mathis, La fortuna di Pietro Metastasio in Spagna, in Il melodramma di Pietro Metastasio – La poesia, la musica, la messa in scena e l’opera italiana nel Settecento, a cura di E. Sala di Felice & R. Caira Lumetti, Roma, Aracne, pp. 863-81 (dove si parla anche degli adattamenti letterari in spagnolo, in stile neoclassico, dei libretti metastasiani), ma anche S. A. Stoudemire, Metastasio in Spain, in «Hispanic Review», ix, 1941, pp. 184-91, o, tra gli altri, P. Garelli, Dos adaptaciones de Didone Abbandonata de Pietro Metastasio en el teatro español de la segunda mitad del siglo XVIII, in Teatro y traducción, a cura di F. Lafarga & R. Dengler, Barcellona, Universitat Pompeu Fabra, 1995, pp. 95-108. D’interesse anche D. Heartz, Farinelli and Metastasio: Rival Twins of Public Favour, in «Early Music», xii, 3, 1984, pp. 358-66. Per un adattamento teatrale spagnolo di un libretto metastasiano, cfr. F. Ferri-Benedetti, Metastasio adaptado para el teatro español: el caso de la ‘Issipile’, in Humanismo y Pervivencia del Mundo Clásico: Homenaje al profesor Juan Gil, a cura di J. M. Maestre, M. Díaz, V. Pérez, B. Pozuelo, S. Ramos & A. Serrano, vol. v, Alcañiz-Madrid, Instituto de Estudios Humanísticos-C.S.I.C, 2015, pp. 2501-23. torna su
16 B. A. De Céspedes, Obras dramáticas de Pedro Metastasio, Poeta Cesáreo, traducidas en lengua española […], Biblioteca Provincial de Toledo, ms. 304, t. ii, 228-49, citato anche da P. Garelli, Traducciones de tragedias italianas, in El teatro europeo en la España del siglo XVIII, a cura di F. Lafarga, Universitat de Lleida, 1997, pp. 350-51. Si veda anche la traduzione di De Céspedes della Issipile metastasiana, prima edizione critica, in appendice a F. Ferri-Benedetti, El hilo de Hipsípila: Metastasio y la Tradición Clásica, Bari, Levante, 2015, pp. 231-308. torna su
17 P. Metastasio, Opere del signor abate Pietro Metastasio, vol. v (1780), Parigi, Hérissant, 1780-82. torna su
18 P. Metastasio, Opere varie, in Tutte le opere, a cura di B. Brunelli, vol. ii, Milano, Mondadori, 1943-54, p. 949. torna su
19 P. Metastasio, Lettere, vol. iii, p. 490. torna su
20 Ivi, p. 933. torna su
21 Ivi, p. 827. torna su
23 P. Metastasio, Opere varie, vol. ii, p. 252. torna su
23 P. Metastasio, Lettere, vol. iii, p. 625. torna su
24 Ivi, p. 351. torna su
25 Ivi, p. 299. torna su
26 Ivi, p. 1019. torna su
27 Ivi, p. 1154. torna su
28 Ivi, p. 847. torna su
29 Ivi, p. 534. torna su
30 Ivi, p. 1150. torna su
31 Ivi, pp. 585-6. torna su
32 Ivi, pp. 313-4. torna su
33 Così viene denominato l’incarico a Broschi nella lettera di Filippo V e nello scambio tra ambasciatori quando il sovrano spagnolo lo mette al suo servizio e lo fa venire da Londra in condizioni economiche molto agevoli: «Por quanto he resuelto que Don Carlos Broschi, llamado Farinelo, quede en mi Real servicio, en calidad de familiar criado mio con dependencia solo de mi y de la Reyna…» (1737, ortografia spagnola non aggiornata). Per l’integrale con traduzione italiana e inglese dell’epoca, C. Broschi Farinelli, La solitudine amica: Lettere al conte Sicinio Pepoli, a cura di C. Vitali, Palermo, Sellerio, 2000, pp. 145-48. torna su
34 F. Ferri-Benedetti, El hilo de Hipsípila: Metastasio y la Tradición Clásica, Bari, Levante, 2015, pp. 37-83, su Metastasio, Aristotele, Martello e i dilemmi dell’opera seria dopo l’Arcadia. Si vedano anche B. Marcello, Il teatro alla moda, ossia metodo sicuro e facile […], Venezia, 1720 e P. J. Martello, Della tragedia antica e moderna: dialogo, Roma, Gonzaga, 1715. torna su
35 C. Broschi Farinelli, La solitudine amica: Lettere al conte Sicinio Pepoli, a cura di C. Vitali, Palermo, Sellerio, 2000. torna su
36 Si noti come Farinelli chiami il libretto “Poema” e sottolinei la qualità di questo in quanto testo letterario e quindi artisticamente valido ancora di essere posto in musica: prima le parole.torna su