Angela Ferrari
Note sull’uso della virgola ai margini della scrittura letteraria e saggistica
tra Sette e Ottocento
1. Introduzione
Come ho mostrato in Ferrari 2018 e successivamente in altre sedi, la storia della norma d’uso della virgola nella scrittura italiana tra Seicento e inizio Novecento può essere spiegata come il passaggio da un impiego morfosintattico, sensibile ai confini linguistici superficiali dell’enunciato, a un impiego comunicativo − quello odierno −, che reagisce a grandezze di ordine informativo, che, più che la forma, interrogano il significato del costrutto. Trasparente a questo riguardo è la manifestazione della virgola all’interno della frase complessa e composta. Quando c’è subordinazione, la ratio morfosintattica prevede che la virgola compaia ogni volta che emerge un confine tra reggente e subordinata qualunque sia la tipologia di quest’ultima: la troviamo dunque tra reggente e completiva, tra reggente e relativa appositiva o restrittiva, e tra reggente e circostanziale; la ratio comunicativa vuole invece la virgola solo nei casi in cui la proposizione sia autonoma dal punto di vista informativo, il che la esclude nel caso delle completive post-reggente e in quello delle relative restrittive: in entrambi i casi la subordinata fa infatti semanticamente tutt’uno con la principale. Quando c’è coordinazione, la regolarità morfosintattica prevede che la virgola accompagni sempre il collegamento copulativo, mentre quella comunicativa conduce a ometterla a meno che emergano particolari necessità di ordine comunicativo quali la disambiguazione o la focalizzazione.
Passando dalla norma all’uso, in una serie di altri lavori ho interrogato la realtà dei testi per misurare in che modo e in che misura questo rispecchiasse davvero il punto di vista dei manuali di grammatica e di ortografia. Ho analizzato, anzitutto, con una metodologia quantitativo-qualitativa la prosa spontanea delle lettere private ottocentesche (Ferrari 2019) o ancora diverse tipologie di prosa giornalistica tra Settecento e Ottocento (Ferrari 2020b e 2020c). In un secondo momento, mi sono soffermata sulla scrittura delle dediche ragionando a partire dal corpus elettronico AIDI allestito all’Università di Basilea su iniziativa della collega Maria Antonietta Terzoli (http://www.margini.unibas.ch/). L’interesse di questo tipo di testo, rispetto a quelli affrontati in precedenza, consiste nel fatto che presenta una scrittura d’uso che è pubblica (vs privata), che nasce dalla penna di scrittori altamente competenti, letterati o saggisti, e che è molto varia: i dedicanti sono numerosi e sono legati a ideologie linguistiche diverse.
In questa prospettiva, grazie a campionamenti significativi, ho affrontato più precisamente le dediche del Settecento e dell’Ottocento, ragionando da una parte su scrittori quali Muratori, Lazzarini, Goldoni, Frizzi, Verri, Parini e dall’altra per esempio su Cesarotti, Foscolo, D’Azeglio, Tommaseo, Cantù, Bersezio, De Amicis, D’Annunzio. I risultati dell’analisi sono stati pubblicati in due articoli, uno scritto con Roska Stojmenova Weber che uscirà negli atti di un convegno dell’Associazione di Storia della Lingua (Firenze, Edizioni Cesati) e l’altro (Ferrari 2020a) che è uscito nel volume Capitoli di storia della punteggiatura italiana, curato da me e dai miei collaboratori (Alessandria, Edizioni Dell’Orso). L’obiettivo di queste brevi note consiste nel riassumere le conclusioni a cui sono giunta, osservandole sullo sfondo del paragone con i risultati a cui hanno condotto le analisi degli altri tipi di testo.
2. Le dediche settecentesche
Per quanto riguarda il Settecento, ho ragionato su 1344 virgole distribuite lungo l’arco dell’intero secolo. Nel gioco tra ratio d’uso morfosintattica e ratio d’uso comunicativa, i risultati a cui sono giunta confermano (quasi) perfettamente la norma vulgata dalle grammatiche settecentesche e gli usi riscontrati nella prosa giornalistica coeva: le dediche scelgono in modo sistematico un uso della virgola di carattere morfosintattico. Così, il segno di punteggiatura compare sempre nel caso delle subordinate completive e delle relative restrittive:
(1) L’Arti belle, che il nome degli antichi Greci a tanta celebrità elevarono, e che dalla guerriera Roma già seppero tanto amore riscuotere, e tanta ammirazione, sembra, che in alcuni climi / pongano più volontieri l’onorato lor nido, e vi crescano più vigorose (Della Torre di Rezzonico, 1772-1773. Mio il corsivo; così nel séguito salvo indicazione contraria).
(2) Di questo n’ebbi una chiara pruova, quando mi fu concesso l’onore dalla Maestà Vostra d’ammirare la diligenza, che usate nell’esaminare i minimi oggetti col Microscopio (Della Torre, 1755).
I testi in cui queste configurazioni non si combinano con la virgola sono molto rari. Leggermente più numerosi − ma comunque molto limitati − sono invece i casi in cui il criterio morfosintattico e il criterio comunicativo coesistono, come in (3), dove abbiamo dapprima una subordinata oggettiva non marcata dalla virgola e poi una subordinata restrittiva con il segno di punteggiatura:
(3) Si dirà per altro che io, ne al presente, ne allora abbia saputo sollevar la mia Musa per formar opera, che degna fosse di Voi (Goldoni, 1752).
Si ha quasi sistematicamente la virgola anche con la coordinazione copulativa sia quando a essere unite sono frasi sia quando il collegamento riguarda sintagmi:
(4) A me resta di supplicare in fine l’A. V., che le piaccia nella presente offerta risguardare con occhio clemente l’estraordinaria volontà, che porto di corrispondere, per quanto comportano le mie deboli forze, all’obbligo che tengo alla Serenissima sua Casa, ed al contento che sento d’esserle nato, e di doverle morire devotissimo suddito, e servitore, e qui con ogni umiltà me le inchino (Molza, 1750).
Le uniche eccezioni che ho trovato riguardano la coordinazione di singole parole, come nel caso seguente:
(5) Ora quantunque già fosse stabilita fra gli Eruditi la derivazione delle due gran Case di Brunsuic, e d’Este, da uno stipite medesimo, pure questo indubitato e riguardevol punto di Storia, s’io mal non mi lusingo, ha ricevuto nuovi lumi e rinforzi nell’Opera mia (Muratori, 1717).
Questo possibile scarto rispetto alla norma morfosintattica è peraltro menzionato anche da alcuni grammatici, come ad esempio il Soave, il quale nel 1771 proponeva di non mettere la virgola quando due parole «non fanno che aggiungere una, o più qualificazioni ad un medesimo sostantivo», come nell’esempio «Cicerone fu filosofo ed oratore» (p. 303, edizione del 1817). O prima di lui, nel 1670, da Daniello Bartoli, che affermava che se per esempio nel verso petrarchesco «L’oro, e le perle, e i fiori vermigli, e i bianchi», le virgole ci vogliono, è perché si tratta di cose distinte; ciò non vale per quanto riguarda «Tutta avorio e neve», poiché in questo caso avorio e neve costituiscono una sola proprietà: «vogliam che si intendano essere una medesima cosa, perochè il sono nella bianchezza» (p. 154, edizione del 1844).
3. Le dediche ottocentesche
La situazione che emerge dalle dediche ottocentesche è invece diversa e più complessa. Rispetto alla norma vulgata dalle grammatiche e alla scrittura giornalistica, le 671 virgole analizzate mostrano due dati in controtendenza. Il primo riguarda la subordinazione e ci dice che il passaggio alla ratio comunicativa dell’uso della virgola era già avvenuto nel primo decennio dell’Ottocento e si era stabilizzato del tutto attorno agli anni Trenta. Il secondo dato concerne la coordinazione copulativa e mostra che per avere assenza della virgola quando gli elementi connessi sono frasi bisogna aspettare gli anni Ottanta del diciannovesimo secolo. Siamo dunque di fronte a un caso di retro-datazione (il primo) e a un caso di post-datazione (il secondo).
Per quanto riguarda la subordinazione completiva e la relativa restrittiva, la ratio morfosintattica, illustrata dall’esempio (6), permane in modo sistematico solo fino al 1803:
(6) L’offerta ch’io vi fo del presente Opuscolo è prova dell’alta stima, in che tengo le Virtù vostre e il Valor poetico, col quale in giovine età vi siete sollevata a volar pari ai primi Cigni d’Italia (Venturi, 1801).
A partire da Leopardi nel 1831, dopo un periodo in cui i due modi di punteggiare si intersecano, la subordinazione completiva e relativa restrittiva obbedisce oramai decisamente al criterio comunicativo:
(7) Ben sapete che queste medesime carte io non ho potute leggere, e per emendarle m’è convenuto servirmi degli occhi e della mano d’altri. Non mi so più dolere, miei cari amici; e la coscienza che ho della grandezza della mia infelicità, / non comporta l’uso delle querele. Ho perduto tutto: sono un tronco che sente e pena (Leopardi, 1831).
Riguardo al fenomeno qui osservato, la coordinazione sintagmatica si comporta come la subordinazione completiva e relativa restrittiva. Anche in questo caso il discrimine, cioè il passaggio dal comportamento morfosintattico della virgola a quello comunicativo, si colloca all’altezza del 1831 con Leopardi:
(8) Sia dedicato a voi questo libro, dove io cercava, come si cerca spesso colla poesia, di consacrare il mio dolore, e col quale al presente (nè posso già dirlo senza lacrime) prendo comiato dalle lettere e dagli studi. Sperai / che questi cari studi avrebbero sostentata la mia vecchiezza, e credetti colla perdita di tutti gli altri piaceri, di tutti gli altri beni della fanciullezza e della gioventù, avere acquistato un bene che da nessuna forza, da nessuna sventura mi fosse tolto. Ma io non aveva appena vent’anni, quando da quella infermità di nervi e di viscere, che privandomi della mia vita, non mi dà speranza della morte, quel mio solo bene mi fu ridotto a meno che a mezzo; poi, due anni prima dei trenta, mi è stato tolto del tutto, e credo oramai per sempre. Ben sapete che queste medesime carte io non ho potute leggere, e per emendarle m’è convenuto servirmi degli occhi e della mano d’altri (Leopardi, 1831).
Prima di Leopardi, la situazione è ondivaga, con l’eccezione del collegamento di forme lessicali semplici, già osservato sopra per quanto riguarda il Settecento (e il Seicento). Dal 1831 in poi, la coordinazione copulativa sintagmatica tenderà invece a non essere più marcata dalla virgola.
Come si diceva, diverso è il caso della coordinazione copulativa frasale, per la quale la ratio comunicativa, che vuole la virgola solo in caso di disambiguazione o di focalizzazione, subentra solo all’altezza del 1886 con De Amicis, la cui dedica presenta tre coordinazioni frasali, di cui una sola con la virgola:
(9) Egli notava man mano in un quaderno, come sapeva, quello che aveva visto, sentito, pensato, nella scuola e fuori; e suo padre, in fin d’anno, corresse quelle note, studiandosi di non alterare il pensiero, e di conservare, quanto fosse possibile, le parole del figliuolo. Il quale poi, quattro anni dopo, essendo già nel Ginnasio, rilesse il quaderno e v’aggiunse qualcosa di suo, valendosi della memoria ancor fresca delle persone e delle cose. Ora leggete questo libro, ragazzi: io spero che ne sarete contenti e che vi farà del ben (De Amicis, 1886).
Nel 1892, con D’Annunzio l’assenza della virgola con la coordinazione frasale sembra oramai un dato di fatto, e tutti gli usi e non-usi della virgola sono ormai pienamente comunicativi:
(10) Alcune settimane plumbee passarono su un malessere indefinibile, nel quale spuntavano e si dissolvevano di continuo piccole energie fatue, come le piccole bolle nell’acqua mantenuta in un bollore leggero ma costante da un lento fuoco.
Mi pareva che tutte le mie facoltà di scrittore si fossero oscurate, indebolite, disperse. Mi sentivo in certe ore cosí profondamente distaccato dall’Arte, cosí estraneo al mondo ideale in cui un tempo avevo vissuto, cosí arido, che nessuna instigazione valeva a scuotermi dall’inerzia pesante e triste in cui mi distendevo. Qualunque tentativo riescí vano: nessuna lettura valse a fecondarmi. Le pagine predilette, che un tempo avevano provocato nel mio cervello le piú alte ebrezze, ora mi lasciavano freddo. Di tutta la mia opera passata provavo quasi disgusto, come d’una compagine senza vitalità, la quale non avesse piú alcun legame col mio spirito e pure mi premesse d’un intollerabile peso (D’Annunzio, 1892).
Uscendo dal corpus di dediche qui analizzato, si noti tuttavia che la combinazione meccanica tra virgola e coordinazione copulativa frasale sarà dura a morire. La si ritrova anche in testi del Novecento.
4. Conclusione
Come si è potuto notare, l’analisi del campionamento sette- e ottocentesco di dediche tratte dal database basilese AIDI (http://www.margini.unibas.ch/) ha sostanzialmente permesso di confermare l’ipotesi secondo la quale nell’arco di questi due secoli si è passati da un uso della virgola di carattere morfosintattico a un impiego basato su criteri informativi. La conferma è stata assoluta per quanto riguarda il Settecento: a quest’altezza − fatta qua e là eccezione per la coordinazione sindetica di parole semplici − la virgola ha un comportamento del tutto morfosintattico. Relativamente all’Ottocento, rispetto alle ricerche precedenti, si è potuto osservare un leggero cambiamento cronologico: subordinazione completiva e relativa e coordinazione sintagmatica cominciano a rinunciare alla virgola già nel primo decennio del secolo, per stabilizzarsi a partire dagli anni Trenta; la coordinazione copulativa frasale mantiene invece la virgola fin verso la fine del secolo.
Per una ricerca di micro-storia della lingua ordinaria, l’interesse di un corpus come AIDI sta nella possibilità che offre di confrontarsi da una parte con una scrittura competente che resta però pienamente una scrittura d’uso (vs letteraria) e dall’altra con molti autori diversi, che intrecciano ideologie linguistiche anche molto lontane le une dalle altre. Nel caso specifico, la tendenziale brevità dei testi non è problematica: la manifestazione della punteggiatura, e in particolare della virgola, è talmente densa che è agevole coprire − e per più volte in modo da avere una conferma − tutto il paradigma di strutture pertinenti per l’analisi in corso.
A. F.
Bibliografia
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• Della Torre Rezzonico, Carlo Gastone 1772-1773, Discorsi accademici, di C. G. Della Torre Rezzonico, Parma, Stamperia Reale, pp. 3-4; cito da AIDI: http://www.margini.unibas.ch (scheda redatta da R. Itin)
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• Ferrari, Angela 2020b, Note sull’uso della virgola a fine Settecento. Il caso del «Nuovo giornale enciclopedico d’Italia» (1794), in Linguaggi settoriali e specialistici: sincronia, diacronia, traduzione, variazione, a cura di J. Visconti, Firenze, Cesati, pp. 507-15.
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• Ferrari, Angela e Lala, Letizia e Pecorari, Filippo e Stojmenova Weber, Roska 2020 (a cura di), Capitoli di storia della punteggiatura italiana, Alessandria, Edizioni dell’Orso.
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• Molza, Camillo 1750, Delle poesie volgari e latine. Corrette, illustrate ed accresciute. Volume secondo, contenente le cose inedite e gli opuscoli di Tarquinia Molza, nipote dell’autore, di C. Molza, Bergamo, presso Pietro Lancellotti, p. 11; cito da
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