Francesca Salatin
Dedica d’architettura, architettura della dedica. Il Vitruvio di Fra Giocondo
Nel settembre 1537 esce a Venezia dai torchi di Francesco Marcolini la prima edizione del trattato sugli ordini di Sebastiano Serlio, le Regole generali di architettura,1 tra le testimonianze più feconde della ‘riscoperta’ e dell’interesse per il De architettura di Vitruvio, l’unico trattato sistematico dell’arte di costruire che l’antichità ci ha trasmesso. Nello stesso giro d’anni, Jacopo Sansovino impiega il linguaggio all’antica – e segnatamente vitruviano − nei suoi progetti di trasformazione del volto di Piazza San Marco.2 È una sfida a ‘parlare latino’ in una città in cui il linguaggio architettonico è ancora fortemente (e volutamente) dialettale: Venezia sembra mettersi in competizione con Roma dove, proprio negli anni Quaranta del Cinquecento, Claudio Tolomei aveva fondato l’Accademia delle Virtù allo scopo di studiare e commentare il De architettura. Il clima è così febbrile che in laguna arrivano alcuni dei protagonisti della scena internazionale, tra i quali Francisco de Hollanda, figura di spicco del Rinascimento portoghese, e Guillaume Philandrier, ambasciatore francese presso la Serenissima e autore delle Annotationes, edite dal tipografo romano Giovanni Andrea Dossena nel 1544.3
Per risalire all’atto primo della trasformazione di Venezia in un centro vitruviano internazionale bisogna andare al maggio del 1511, quando l’editore Giovanni Tacuino dà alle stampe il M. Vitruvius per Iocundum solito castigatior factus cum figuris et tabula ut iam legi et intelligi possit (Fig. 1).4 Il curatore della prima edizione illustrata del De architettura è il veronese Fra Giocondo, umanista poliedrico che sfugge a ogni definizione univoca, al servizio della Serenissima in qualità di ingegnere idraulico.5 Prima di essere assunto dal Consiglio dei Dieci,6 il frate visse a Napoli − dopo un probabile soggiorno romano − e a Parigi, dove si occupò del progetto del ponte di Notre Dame e, come evidenziato dagli studi di Vladimir Juren e Lucia Ciapponi, contribuisce in modo significativo all’avvio degli studi vitruviani d’oltralpe, tenendo lezioni sul trattato latino per gli eruditi francesi.7 Si tratta di esperienze che fanno del veronese un nome di rilievo nel reticolato fittissimo di relazioni che chiama in causa Francesco di Giorgio Martini, Ermolao Barbaro, Jacopo Sannazaro, Guillaume Budè, Giano Lascaris, Lefevrè d’Etaples, Bernardo e Pietro Bembo, Aldo Manuzio, solo per fare alcuni nomi.
Certo Venezia non era nuova al De architettura. Ancora da chiarire sono i confini del contributo dato agli studi vitruviani da Giorgio Valla − in città nell’ultimo ventennio del Quattrocento con la cattedra che fu di Giorgio Merula − che in una lettera a Jacopo Antiquario dice di aver strappato Vitruvio dalle tenebre, riportandolo a nuova luce: secondo Carol Herselle Krinsky, questo progetto si sarebbe concretizzato nel 1497, quando Simone Papiense detto Bevilacqua stampa, insieme a opere di Cleonide, Frontino e Poliziano, la terza edizione del De architettura, dopo la princeps di Sulpicio da Veroli e l’edizione fiorentina.8Variamente assegnata − pur in assenza di prove − ai nomi di Valla, di Vittor Pisano o di Fra Giocondo, l’edizione del 1497 rappresenta una prova importante dell’interesse per il trattato latino. 9
Sono però diversi gli orizzonti di riferimento rispetto all’edizione di Giocondo: una distanza che emerge con efficacia dalla lettura della lettera dedicatoria a Giuliano della Rovere, il «Beatissimo Iulio II Pontifici Maximo», con cui si apre il volume edito da Tacuino (Figg. 2 - 3). Con ogni probabilità il Cardinale della Rovere, salito al soglio pontificio nel 1503, poteva cogliere le potenzialità di tale svolta, dato il suo coinvolgimento in materia di architettura, provato dall’aggiornamento culturale dei grandi cantieri di cui si fa committente nel suo programma di Renovatio urbis di Roma, in testa a tutti la nuova San Pietro, nonché dalle personalità artistiche impegnate nei suoi progetti, quali Donato Bramante, Giuliano da Sangallo, Raffaello e non ultimo Michelangelo.
L’analisi della dedica permette, da un lato, di fare alcune riflessioni sul lavoro sotteso al Vitruvio giocondiano, dall’altro lascia aperta la porta a considerazioni sul clima politico della Venezia del 1511.
Fin dal suo avvio, la lettera dedicatoria pone l’accento sul punto di svolta che Giocondo va a segnare negli studi vitruviani, restituendo il testo «ad pristinae lectionis normam». Per capire il portato dell’operazione editoriale condotta da Giocondo nell’ambito degli studi vitruviani è utile tratteggiare brevemente i termini della fortuna del De Architettura,10 un percorso segnato da importanti momenti di indagine e da interrogativi continui intorno a un testo in fondo modesto e di difficile comprensione.11
Una leggenda ampiamente radicata nella mitologia vitruviana colloca il (preteso) ritrovamento del codice del trattato vitruviano nell’abazia di Montecassino nel 1414, assegnandone il merito a Poggio Bracciolini. Si tratta di una storia quasi fiabesca, prontamente distrutta da ampia bibliografia sull’argomento e soprattutto da numerosi codici che testimoniano la conoscenza del De architectura durante il medioevo. L’evento è stato mitizzato poiché l’approccio al De architectura muta radicalmente a partire dal XV secolo: all’uso discontinuo e parziale dei dieci libri in epoca medievale, si sostituiscono dapprima prove di ricomposizione critica della materia durante il tardo Quattrocento, per approdare poi all’assunzione del trattato come autorità indiscutibile per la sintassi architettonica sin dai primi decenni del Cinquecento.12
Nel crescente interesse degli studi vitruviani, l’edizione del frate veronese rappresenta un punto cruciale, poiché non risponde solo all’interesse puramente letterario e filologico che caratterizza le prime tre edizioni, ma soddisfa anche la richiesta di un’utilizzazione pratica delle norme vitruviane.
Il Vitruvio del 1511, inoltre, segna una svolta poiché permette di superare i due principali limiti per l’accesso al testo da parte di un pubblico allargato, composto non solo da letterati ma anche dalla classe culturale che Benedetto Varchi definiva dei ‘non idioti’: l’assenza di figure − o meglio la perdita degli schemata originariamente previsti −13 e quell’«eloquio non curato»,14 per usare le parole di Leon Battista Alberti, che porterà Claudio Tolomei a giudicare l’autorità vitruviana «oracolo oscuro».15 La sostanziale aniconicità che caratterizza la tradizione manoscritta e le prime edizioni, congiunta alla corruzione del testo, aveva indirizzato l’opera verso un pubblico colto: a comprova basti considerare le note e numerose difficoltà incontrate da Francesco di Giorgio nel tentare una traduzione.
Come sottolineato fin dal titolo, l’edizione curata dal frate veneronese offre numerose immagini (136 xilografie) e una tabula per facilitare la lettura e la comprensione (ut legi et intelligi possit) di un testo ‘più corretto’ (castigatior) rispetto a precedenti prove e risarcito nelle lacune, frutto di un lavoro «non sine sudore e lassitudine», che aderisce alla pluralità di competenze del veronese «duplici studio intentus». Fra Giocondo, infatti, opera una radicale revisione del testo, non solo collazionando codici diversi − «ad antiqua exem¬plaria [....] me constuli, nec ad pauca quidem nec una tantum regione vel urbe reperta sed multis» − ma ponendo a confronto «verba et sensum cum ruinarum veterumque aedificiorum reliquiis».
Siamo davanti a una nuova prova della cultura antiquaria e filologica del «vir disertissimus et doctissimus», come ebbe a definirlo Onofrio Panvinio.16 Si tratta di un sapere del quale non si è ancora in grado di rintracciare le origini, dato che Giocondo si affaccia nelle testimonianze documentarie ormai cinquantenne, ma che con ogni probabilità affonda le radici nella Verona del secondo Quattrocento. È la Verona che vanta la presenza degli intelletti di Guarino, Ermolao Barbaro, Domizio Calderini e Felice Feliciano, nonché quella dove transita Ciriaco d’Ancona.
Numerosi i frutti dell’intenso lavoro del frate nell’ambito degli studia humanitatis, a partire dalla Silloge epigrafica dedicata a Lorenzo de Medici,17 per arrivare alla collaborazione con Aldo Manuzio,18 che beneficia dei manoscritti rinvenuti da Giocondo.19 Aldine sono nel novembre del 1508 le Epistulae20 di Plinio il Giovane stampate insieme al De Prodigiorum liber di Giulio Ossequente − frutto di un ritrovamento negli anni parigini del frate e di una collazione di testi alla quale partecipa certamente Lascaris, ma che potrebbe aver coinvolto anche Guillaume Budé. Seguono nell’aprile 1509 il De Conjuratione Catilinae,21 per il quale Aldo si avvale di codici parigini offerti dal frate, e nel 1517 l’edizione postuma degli Epigrammata di Marziale,22 sempre editi Venetijs in aedibus Aldi et Andreae Soceri. Manuzio collabora con Giocondo anche mentre il frate è a Roma per il De re rustica23 e le Cornucopiae24 − date alle stampe nel 1513 con un Nonio Marcello sempre di origine francese. Nello stesso anno vengono pubblicati anche i Commentari25 di Cesare, dedicati a Giuliano de’ Medici e corredati da diverse xilografie, forse esemplate sul modello di un manoscritto parigino.26
Torniamo al Vitruvio del 1511. In questo lavoro si riconosce un intento didascalico, che si concretizza in modo particolare nell’inserimento delle immagini, garanzia di comprensione immediata. Svariate sono le prove dell’attitudine di Giocondo alla trasmissione del sapere: dalle lezioni vitruviane nei circoli parigini, che ci hanno lasciato i Vitruvi con le annotazioni di Giano Lascaris e Guillaume Budè,27 all’offerta fatta alla Serenissima «ad insegnar tutto quel che io so a tri, quattro, o ad quanti piacerà ad quella Ill. Signoria»,28 fino agli ultimi anni romani come guida di Raffello nel cantiere di San Pietro.
Concludendo la dedica al Papa, il veronese non manca di ricordare il suo impegno di autore, oltre che di filologo, sottolineando il suo interesse per la matematica: si possono in queste righe riconoscere quelle «opere de aritmetica antique» per le quali il frate chiederà un privilegio di stampa nel giugno 1512: di questo interesse, come dimostrato da Lucia Ciapponi e più recentemente da Adolfo Tura, si ha prova in manoscritti e in diversi disegni, ma il proposito di pubblicazione di Giocondo resterà lettera morta.29
La dedica si conclude con l’invocazione all’otium umanistico, del quale solo il Papa può farsi promotore. Giocondo, ricorrendo a uno dei topoi ricorrenti nella letteratura quattro−cinquecentesca, sta (davvero) offrendo i suoi servigi al Papa? Per tentare di dare una risposta a questo interrogativo è opportuno analizzare il contesto in cui viene elaborata la dedica.
Il sodalizio tra l’umanista veronese e Venezia mostrerà nel corso del tempo numerose crepe: dal mancato progetto per il ponte di Rialto, al “rebufo” per le fortificazioni di Treviso, fino al rifiuto del suo progetto per il mercato relatino.30 Di fatto il frate veronese concluderà vita e carriera a Roma: sembra quindi legittima una richiesta di protezione al pontefice, ma prendendo in considerazione il contesto politico degli anni di messa a punto del Vitruvio, si apre la strada, forse parallela, a un altro scenario.
L’inizio del Cinquecento è contrassegnato dallo scontro tra il papato e la Repubblica: una vicenda dalle molteplici sfaccettature e difficilmente esauribile.31 Ad essere significativo, ai fini del nostro discorso, è che in tali circostanze, Giocondo offra a più riprese prova del suo orientamento politico. Già negli anni del soggiorno francese, negandosi al Papa che lo voleva a Roma,32 aveva fornito informazioni all’ambasciatore veneziano Francesco Morosini − tra i principali sostenitori del suo trasferimento in Laguna − delle cospirazioni del papato, dell’imperatore Massimiliano I d’Asburgo e del re francese, ai danni della Repubblica.33 È probabilmente grazie al sodalizio con Giano Lascaris, ambasciatore francese a Venezia tra il 1504 e il 1509, che Giocondo viene a conoscenza dei piani della Lega di Blois, stipulata nel settembre del 1504. Giulio II, il principale ispiratore e fautore, era intenzionato con questa a recuperare i domini della Romagna persi l’anno precedente.
Apparente e breve è la tregua permessa dagli accordi del 1505: in questo giro d’anni Giocondo da Venezia dialoga certamente con Roma fornendo un progetto per San Pietro (UA 6), che riflette le influenze di modelli bizantini e del loro erede lagunare, la basilica marciana.
Ancora, negli anni di guerra contro la Lega di Cambrai − promossa da Giulio II nel dicembre 1508, per contrastare le mire espansionistiche di Venezia, in alleanza con l’imperatore, con Luigi XII di Francia e con Ferdinando d’Aragona − Giocondo mette a disposizione le sue conoscenze idrauliche nell’intensa opera di difesa militare dei territori di terraferma.
Poi il 1509: per Venezia l’annus horribilis.34 Nell’aprile contro i Veneziani viene lanciata la scomunica pontificia, ma il Senato della repubblica proibì che si pubblicasse la bolla e ordinò che si continuassero a celebrare le funzioni religiose. E a maggio c’è la battaglia di Agnadello, evento che decide le sorti della guerra e determina il disfacimento dello Stato veneziano di terraferma. La battaglia del 14 maggio rappresenta per Venezia uno spartiacque: messa in ginocchio dalla coalizione di tutte le principali forze europee la città si troverà a riconsiderare la propria immagine,35 leggendo nella sconfitta la perdita dei valori, anche morali, originari.
La debolezza che la città scopre non è confinata al piano strategico e militare: anche il mondo dell’editoria rimane imbrigliato in un convulso meccanismo di regressione. Il caso più emblematico − e che interessa in questa sede − è quello dell’azienda di Aldo Manuzio che resta sofferente nelle mani di Andrea Torresani. Proprio Giocondo verrà espressamente ringraziato insieme a Marco Musuro per aver sollecitato Aldo a riprendere a stampare dopo la crisi del 1509. Il frate, durante gli anni della crisi manuziana, deve quindi virare verso Tacuino, editore fortemente produttivo e con ogni probabilità in rapporti con Aldo.36 Proprio l’esperienza del Vitruvio del 1511 rappresenterà un punto di svolta nella produzione del tipografo trinese, che adotterà con frequenza negli anni a venire alcune soluzioni giocondiane − come la pulizia del carattere e il motivo ornamentale del frontespizio. Probabile sintomo dell’orgoglio di questo lavoro è la marca tipografica di Tacuino impressa sui sacchi di una delle xilografie del decimo libro (f. 101v; Fig. 4).
La ripresa di Venezia prende lentamente piede nell’estate del 1509, con una seduta del maggior consiglio in cui il doge Leonardo Loredan con il suo discorso cerca di superare l’ombra di Agnadello, muovendo gli animi a una riscossa, e il recupero di Padova a opera del futuro doge Andrea Gritti. E alla fine dell’anno si rovesciano anche le alleanze politiche e Giulio si coalizza con i Veneziani. Difficile pensare che in un contesto come quello brevemente delineato una dedica a Giulio II, benché scevra di qualsiasi riferimento politico, possa non essere questione opportunamente meditata.
A sollecitare una riflessione concorre poi il colophon (Fig. 5). È l’editore Giovanni Tacuino a prendere la parola, pubblicando la richiesta del privilegio di stampa per «Vitruvio de Architectura cum additione et figure et in optima et perfecta littera et da tutti laudata» che conclude con l’indicazione «Anno Domini .M. D. XI. Die. XXII. Maii Regnante inclyto Duce Leonardo Lauredano. Laus Deo».37 Data cristiana e nome del Doge: secondo Ennio Concina38 questa soluzione va letta come un atto di compensazione alla lettera dedicatoria. Se questo è il significato di questa pagina, difficile pensare che il frate sia stato escluso dalla decisione.
È stato messo in luce come il segno della ripresa post cambraica assuma rilevanza urbana prendendo le forme delle Procuratie Vecchie in Piazza San Marco, edifici contrassegnati da quella mediocritas alla quale la città era chiamata a volgersi negli anni della sconfitta39. Se l’architettura costruita viene investita di questo ruolo, è opportuno chiedersi se, a scala diversa, la stampa del primo Vitruvio illustrato ad opera di quello che possiamo definire l’architetto di Stato, non assuma significato analogo. Non bisogna dimenticare che Giocondo è un architetto di fama internazionale, conteso dalle maggiori potenze politiche dell’epoca e in contatto che i più illustri intellettuali del periodo.
La Repubblica, già riconosciutasi in Giocondo che «potea chiamarsi secondo edificatore di Venezia»40 per il suo impegno nel cercare di risolvere i problemi idrici della laguna, in un periodo di evidenti difficoltà, può vantare il primato nell’edizione di un’opera che otterrà un consenso internazionale, come dimostrano le edizioni successive. Non va poi dimenticato che dietro al Vitruvio di Giocondo c’è il coinvolgimento diretto di alcuni esponenti del patriziato veneziano, come Bernardo Bembo, che collabora all’elaborazione dell’opera41 e che firma insieme agli altri membri del governo della città il privilegio di stampa, i cui nomi campeggiano nel colophon. Tra questi c’è Zorzi Pisani, «morosi admodum ingenii», ricordato per essere terribile al pari del Papa guerriero. I due vennero allo scontro, durante una missione (negli intenti iniziali) diplomatica. Al Papa che bolla i Veneziani come “umili e tutti pescatori”, risponde Pisani con la minaccia di “farlo un picciol chierico, se non sarete prudente”.42 In buona sostanza, molti erano gli occhi puntati sul volume di Giocondo. Sorge, quindi, il dubbio che la dedica sia un atto di ringraziamento dovuto al Papa quale segno della ripresa di cordiali rapporti tra Venezia e la sede pontificia, rafforzati poi dall’istituzione, in quello stesso anno, della Lega Santa.
La strada percorsa attraverso la dedica del Vitruvio del 1511, pur sollevando più domande che risposte, consente di mettere in luce gli aspetti peculiari del lavoro di Giocondo sul De architettura, non secondariamente pone interrogativi sui rapporti tra l’architetto e la Serenissima, nonché più in generale sulle relazioni tra il papato e la città, confermando il ruolo e il valore di questa edizione per la Venezia di inizio Cinquecento.
F. S.
Note
1 Sebastiano Serlio à Lyon. Architecture & Imprimerie, vol. 1: Le traité d’architecture de Sebastiano Serlio une grande entreprise éditoriale au XVIe siècle, a cura di S. Deswarte Rosa, Lyon, Chomarat, 2003; Y. Pauwel, scheda di S. Serlio, Il terzo libro, in architectura.cesr.univ-tours.fr/Traite/Notice/Serlio1540.asp?param=.
2 Per questi aspetti cfr. M. Tafuri, Venezia e il Rinascimento: religione, scienza, architettura, Torino, Einaudi, 1985; M. Morresi, Treatises and the architecture of Venice in the Fifteenth and Sixteenth centuries, in Paper Palaces: the rise of the Renaissance architectural treatise, a cura di P. Hicks, V. Hart, New Haven-London, Yale Univ. Press, 1998, pp. 265-270; M. Morresi, Piazza San Marco: istituzioni, poteri e architettura a Venezia nel primo Cinquecento, Milano, Electa, 1999; M. D’Evelyn, Venice & Vitruvius: reading Venice with Daniele Barbaro and Andrea Palladio, New Haven, Yale Univ. Press, 2012.
3 F. Lemerle, Les Annotations de Guillaume Philandrier sur le De Architectura de Vitruve, Livres I à IV, Introduction, traduction et commentaire, Paris, Picard, 2000; ID., Guillaume Philandrier, Les Annotations sur l’Architecture de Vitruve, Livres V à VII, Introduction, traduction et commentaire, Paris, Garnier, 2011.
4 Fra Giocondo, M. Vitruvius per Iocundum solito castigatior factus cum figuris et tabula ut iam legi et intelligi possit”, Giovanni de Tridino alias Tacuino, Venezia 1511.
5 In merito biografia giocondiana mi limito a segnalare: P. N. Pagliara in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 56, 2001, pp. 326-338. Gli studi più recenti su Giocondo e il suo Vitruvio: I. Rowland, The Fra Giocondo Vitruvius at 500 (1511-2011), in «Journal of the Society of Architectural Historians», LXX, 2011, 3, pp. 285-289; A. Tura, Fra Giocondo et les textes francais de geometrie pratique, Genève, Droz, 2008. Giovanni Giocondo, umanista, architetto e antiquario, a cura di P. Gros e P. N. Pagliara, Venezia, Marsilio, 2014, con bibliografia precedente. Fondamentali restano: L. A. Ciapponi, Fra Giocondo da Verona and His Edition of Vitruvius, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», XLVII, 1984, pp. 72-90; M. Tafuri, Cesare Cesariano e gli studi vitruviani nel Quattrocento, in Scritti rinascimentali di architettura, a cura di A. Bruschi, E. Maltese, M. Tafuri, R. Bonelli, Milano, Il Polifilo, 1978, pp. 387-405; P. N. Pagliara, Vitruvio da testo a canone, in Memoria dell’antico nell’arte italiana, III: Dalla tradizione all’archeologia, a cura di S. Settis, Torino, Einaudi, 1984, pp. 32-38. Giovanni Giocondo, umanista, architetto e antiquario, a cura di P. Gros e P. N. Pagliara, Venezia, Marsilio, 2014, con bibliografia precedente.
6 Sul ruolo avuto da Giocondo nei progetti architettonici per Venezia: cfr. M. Tafuri, Venezia e il Rinascimento, Torino, Einaudi, 1985, pp. 24-78; D. Calabi, P. Morachiello, Rialto: le fabbriche e il ponte 1514-1591, Torino, Einaudi, 1987; E. Concina, Fondaci: architettura, arte e mercatura tra Levante, Venezia e Alemagna, Venezia, Marsilio, 1997, pp. 152-180; D. Calabi, Il Fondaco degli Alemanni, la chiesa di San Bartolomeo e il contesto mercantile, in La chiesa di San Bartolomeo, cit., pp. 113-127; La chiesa di San Salvador, storia arte teologia, a cura di G. Guidarelli, Padova, Il Prato, 2009, in particolare pp. 5-27.
7 Sul circolo parigino di Giocondo e il Vitruvio appartenuto a Guillaume Budè, BnF Rés. V.318: Cfr. F. Mattei, F. Salatin, Lezioni Vitruviane. Guillaume Budé e Giano Lascaris, in «Scholion», 8, 2014, pp. 80-102; F. Salatin, Tra Francia e Venezia. Fra Giocondo, Giano Lascaris e il Vitruvio del 1511, in «Studi Veneziani», in corso di pubblicazione. Inoltre: S. Gentile, Giano Lascaris, Germain de Granay e la ‘prisca theologia’ in Francia, «Rinascimento», 16, 1986, pp. 56-76; Cfr. V. Juren, Fra Giovanni Giocondo et le début des études vitruviens en France, «Rinascimento», 14, 1974, pp. 101-114; L. Ciapponi, Agli inizi dell’umanesimo francese: Fra Giocondo e Guglielmo Budé, in Forme e Vicende. Per Giovanni Pozzi, a cura di O. Besomi, G. Gianella, A. Martini, G. Pedroietta, Padova, Antenore, 1989, pp. 101-118; Inoltre l’incunabolo è stato oggetto degli studi di P. Gros, autore della scheda relativa all’edizione del 1497 nel data base del Centre d’Ètudes Supérieures de la Renaissance, Université François-Rabelais, Tours (http://architectura.cesr.univ-tours.fr) e di M. T. Sambin, in occasione del XXV seminario internazionale di storia dell’architettura Giovanni Giocondo umanista, architetto e antiquario (Vicenza 10-12 giu. 2010).
8 P. N. Pagliara, Vitruvio da testo a canone, cit, p.23
9 Rimando alla scheda di P. Gros: http://architectura.cesr.univtours.fr/Traite/Notice/Vitruve1497.asp?param=.
10 Sulla fortuna del trattato vitruviano si veda P.N. Pagliara, Vitruvio da testo a canone, cit., pp. 32-38; inoltre: L.A. Ciapponi, Il “De architectura” di Vitruvio nel primo umanesimo, in «Italia Medioevale e Umanistica», III, 1960, pp. 59-99; C.H. Krinsky, Seventy-eight Vitruvius Manuscripts, in «Journal of Warburg and Courtauld Institutes», XXX, 1967, pp. 36-70. Per aspetti specifici cfr. Vitruvio nella cultura architettonica antica, medievale e moderna, Atti del convegno internazionale (Genova, Palazzo Ducale, 5-8 novembre 2001), a cura di G. Ciotta, Genova, De Ferrari, 2003.
11 Su questo argomento mi limito a segnalare L. Ciapponi, Fra’Giocondo da Verona and His Edition of Vitruvius, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», 47, 1984, pp.72-90 e P. Gros, Giocondo Lectures de Vitruve, in Giovanni Giocondo, umanista, architetto e antiquario, cit, pp. 11-19.
12 M. Tafuri, Cesare Cesariano e gli studi vitruviani del Quattrocento, cit., p. 394-397.
13 A. Corso, I disegni che corredavano il ‘De architectura’ nel contesto delle rappresentazioni antiche di temi architettonici, in Vitruvio e il disegno di architettura, a cura di P. Clini, Marsilio, Venezia, 2012, pp. 47-59.
14 L. B. Alberti, De re aedificatoria, VI, I.
15 Lettera di Claudio Tolomei al conte Agostino de Landi senese datata 14 novembre 1542. Cfr. Delle lettere di M.C. Tolomei libri Sette, Venezia, Giolito de Ferarri, 1547, p. 105.
16 O. Panvinii Antiquitatum Veronensium Libri Octo, Padova, Typis Pauli Frambotti, 1668, LVI, p. 167.
17 Per la Silloge la critica sembra aver fissato sostanzialmente tre redazioni databili rispettivamente la prima tra gli anni 1488-1490, la seconda 1495-1497 e la terza nel 1500 circa. Cfr. M. KOORTBOJIAN, Fra Giovanni Giocondo and hisepigraphic methods, in «Kölner Jahrbuch», 26, 1993, pp. 49-55. M. KOORTBOJIAN, A Collection of Inscriptions for Lorenzo de’ Medici. Two Dedicatory Letters from Fra Giocondo. Introduction, Texts and Translations, «PBSR», 70, 2002, pp. 297-317. M. Buonocore, Un testimone inedito (o quasi) della silloge epigrafica di Giocondo, in «Est enim ille flos Italiae». Vita economica e sociale nella Cisalpina romana. Atti delle giornate di studi in onore di Ezio Buchi (Verona, 30 novembre – 1 dicembre 2006), a cura di P. Basso, A. Buonopane, A. Cavarzere, S. Pesavento Mattioli, Verona, QuiEdit, 2008, pp. 529-546.
18 Per i rapporti tra Aldo Manuzio e Giocondo: Aldo Manuzio editore: dediche, prefazioni, note ai testi, introduzione di C. Dionisotti, testo latino con traduzione e note a cura di G. Orlandi, Milano, Il Polifilo, 1975, pp. 358-360; 361-362; 369-370; 364-365; L. Ciapponi, A Fragmentary Treatise on Epìgraphic Alphabets by Fra Giocondo da Verona, «Renaissance Quarterly», 39, 1979, pp.18-40; M. Lowry, Il mondo di Aldo Manuzio, affair e cultura nella Venezia del Rinascimento, Roma, Il Veltro, 1984, pp. 365-366, Idem, Nicholas Jenson and the rise of venetian publishing in Renaissance, Oxford, Blackwell, 1991, pp. 214-216.
19 Cfr. C. Vecce, Chierici e laici tra Francia e Italia all’inizio del XVI secolo: scoperte di codici classici e patristici, in Echanges religieux entre la France et l’Italie du Moyen Age à l’époque moderne, Genève, Editions Slatkine, 1997, pp. 193-204; C. Vecce, Iacopo Sannazaro in Francia. Scoperte di codici all'inizio del XVI secolo, Padova, Antenore, 1988.
20 C. Plinii Secundi Nouocomensis Epistolarum libri decem ... Eiusdem De viris illustribus in re militari, et in administranda rep. Suetonii Tranquilli De claris grammaticis et rhetorib. Iulii Obsequentis Prodigiorum liber. Epistolae decimi libri ad Traianum probantur esse Plinii in sequenti epistola. Inibi etiam liber de viris illustribus, non Tranquilli, sed Plinii esse…Venetiis: in aedib. Aldi, et Andreae Asulani soceri, mense Nouembri 1508.
21 C. Crispi Sallustii De coniuratione Catilinae, Venetiis: in aedibus Aldi, et Andreae Asulani soceri mense Aprili 1509.
22 Martialis, Venetiis: in aedibus Aldi et Andreae soceri, mense Decembri 1517.
23 Libri de re rustica M. Catonis lib. I M. Terentij Varronis lib. III L. Iunij Moderati Columellae lib. XII… Venetiis: in aedibus Aldi, et Andreae soceri, mense Maio 1514.
24 In hoc volumine habentur haec. Cornucopiae, siue linguæ Latinæ commentarij diligentissime recogniti… Venetiis: in aedibus Aldi, et Andreae soceri, 1513 mense Nouembri.
25 Commentariorum de bello Gallico libri VIII… Venetijs: in aedibus Aldi, et Andreae soceri, 1513 mense Aprili.
26 V. Brown, The textual transmission of Cesar’s Civili War, Leiden, Brill Academic Pub, 1972, pp. 3-4. T. Foffano, Niccoli, Cosimo e le ricerche di Poggio nelle biblioteche francesi, «Italia medioevale e umanistica», XII, 1969, p. 117.
27 Si veda la bibliografia alla nota 6. Il Vitruvio di Lascaris è l’incunabolo II.60 conservato alla Biblioteca Apostolica Vaticana. V. Juren discusse e attribuì l’incunabolo al colloquio di Tours del 1981 nella relazione Le Vitruve de Jean Lascaris et Fra Giocondo: il contenuto di tale studio, ampiamente citato tra gli altri da Pagliara e Ciapponi, non ci è noto, poiché rimase inedito. La segnatura del codice è ricordata da A. Pontani, Le maiuscole greche antiquarie di Giano Lascaris, «Scrittura e Civiltà», 16, 1992, pp. 77-227. Pontani pubblica il solo foglio 56r discutendo la lezione diagonios invece di diagonis. Il codice viene citato anche in: F. Lo Monaco, Aspetti e problemi della conservazione dei secondi «Miscellanea» di Angelo Poliziano, «Rinascimento», XXIX, 1989, pp. 302-304, dove lo studioso cita esclusivamente, senza pubblicarlo, il foglio 53r.
28 M. Dazzi, Sull’architetto del Fondaco dei Tedeschi, «Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti», 99, 1940, p. 878.
29 L. A. Ciapponi, Disegni ed appunti di matematica in un codice di fra Giocondo da Verona, in Vestigia. Studi in onore di Giuseppe Billanovich, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1984, pp. 181-196; A. Tura, Codici di matematica di fra Giocondo, in «Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance», 3, 1999, pp. 701-711; Id., Fra Giocondo & les textes français de géométrie pratique, Genève Droz, 2008.
30 Cfr. V. Fontana, Fra Giovanni Giocondo Architetto 1433 c.- 1515, Vicenza, Neri Pozza, 1987, p. 60 e segg.
31 P. Pieri, Intorno alla politica estera di Venezia al principio del Cinquecento, Napoli, Tipomeccanica, 1934, pp. 24 e seg.; F. Chabod, Venezia nella politica italiana ed europea, in Id., La civiltà veneziana del Rinascimento, Firenze, Sansoni, 1958, pp.27-55; Seneca, Venezia e Papa Giulio II, Padova, Liviana, 1962, in particolare pp. 42-77; Cfr. R. Cessi, Storia della Repubblica di Venezia, Firenze, Giunti- Martello, 1981.
32 Nella relazione sulla Brentella, da collocarsi nel 1507, Giocondo scrive «li Parisini me fecero grande instantia che restasse et da laltra banda essendo richiesto dal Papa lassai ogni cosa e venni qui con gran animo per servir questo eccelso Domino». Cfr. R. Brenzoni, Fra Giocondo Veronese, Firenze, Leo S. Olschki, 1960, pp.150-156.
33 Cfr. Cessi, Storia della Repubblica di Venezia, cit., p. 489.
34 Mi limito ad indicare: P. Pieri, Il Rinascimento e la crisi militare italiana, Torino, Einaudi, 1952, pp. 455-469; L’Europa e la Serenissima: La svolta del 1509 nel V centenario della battaglia di Agnadello, a cura di G. Gullino, Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 2011.
35 Storia della cultura Veneta. Dal primo Quattrocento al Concilio di Trento, a cura di G. Arnaldi, Storia della cultura Veneta, III, Vicenza, Neri Pozza, pp. 614-625.
36 Su Tacuino: M. Breccia Fratadocchi in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 55, 2001, pp.779-780. Inoltre, due lavori inediti: A. Romagna, Le edizioni del XVI secolo di Giovanni Tacuino, tesi di laurea in Lettere, Università degli studi di Venezia Ca’ Foscari, relatore G. Montecchi, a.a. 1988-89; M. Viero, Le edizioni del XV secolo di Giovanni Tacuino, tesi di laurea in Lettere, Università degli studi di Venezia Ca’ Foscari, relatore G. Montecchi, a.a. 1988-89. Su questo editore ho condotto una ricerca come borsista del Centro Internazionale di Studi della Civiltà Italiana Vittore Branca presso la Fondazione Giorgio Cini, i cui risultati sono in corso di pubblicazione. F. Salatin, Sulle orme di Aldo Manuzio: Giovanni Tacuino a Venezia, in «Lettera da San Giorgio», 33, 2015, pp. 20-22.
37M. Vitruvius per Iocundum…cit., colophon.
38 E. Concina, Navis. L’umanesimo sul mare (1470-1740), Torino, Einaudi, 1990, p. 44.
39 M. Tafuri, Venezia e il Rinascimento…cit., p.11.
40 A. Cornaro scrive nel suo Trattato delle acque che «i pregiudizi annebbiavano la mente degli uomini, che l’imperizia faceva commettere gravi errori e che dovevasi serbare obbligo immortale alla memoria de fra Giocondo, che a buon proposito poteva chiamarsi il secondo edificatore di Venezia». Cfr. L. Marinelli, Fra’ Giocondo (1435-1515), «Rivista d’artiglieria e genio», II, 1902, p. 43. Queste parole alludono alle opposizione che Aleardi manifestò contro il progetto sul canale della Brentella avanzato Giocondo.
41 Sull’interesse di Bernardo poi tramandato a Pietro per l’architettura cfr. C. Grayson, Un codice del «De re aedificatoria» posseduto da Bernardo Bembo in Studi su Leon Battista Alberti a cura di P. Claut, prefazione di A. Tenenti, Firenze, L.S. Olschki, 1998, pp. 119-127; M. Danzi, La biblioteca del cardinal Pietro Bembo, Genève, Droz, 2005, pp. 23-32; A. Tura, Noterelle su Fra Giocondo e Parrasio, «Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance», LXV, 2, 2003, p. 305-316; G. Beltramini, Pietro Bembo e l’architettura, in Pietro Bembo e l’invenzione del Rinascimento, a cura di G. Beltramini, d. Gasparotto, A. Tura, Venezia, Marsilio, 2013, pp. 12-31.
42 G. Gullino, La classe politica veneziana, ambizioni e limiti, in L’Europa e la Serenissima…cit., p.27