Valeria Guarna
Il sistema degli apparati paratestuali
nelle edizioni del Libro del Cortegiano di Castiglione (1528-1854)
L'editio princeps del Cortegiano vede la luce, in un elegante formato in-folio, a Venezia nell'aprile del 1528 «nelle case d'Aldo Romano, e d'Andrea d'Asola suo suocero».1 Sin dai primi abbozzi (1508-1513) ognuno dei quattro libri, in cui è ripartita l'opera, è dedicato ad Alfonso Ariosto,2 uno dei protagonisti delle vicende urbinati raccontate nel dialogo. La sopraggiunta morte del dedicatario (avvenuta nel 1525) costringe Castiglione, per ragioni di opportunità, a introdurre nell'opera un nuovo destinatario. La scelta ricade sull'ecclesiastico umanista, riconosciuto a livello internazionale, Miguel da Silva, il quale aveva condiviso con Castiglione il soggiorno romano degli anni 1520-1522.
L'epistola dedicatoria a Miguel da Silva3 compare per la prima volta nella princeps. Castiglione affida alla lettera le ragioni dell'opera, fornendo insieme informazioni riguardanti la genesi e la forma. L'elezione del da Silva è giustificata sia dal fatto che anche altri umanisti e letterati gli avevano dedicato le loro opere, sia se riferita al contesto politico dell'epoca, che suggeriva una scelta che non ferisse «né la suscettibilità dell'imperatore né tanto meno quella del papa».4 Secondo i recenti studi di Motta, il nome di Miguel da Silva all'inizio dell'opera, personaggio vicino alla cerchia degli aristocratici fiorentini di fede platonica, sarebbe stato anche un chiaro segnale della «cifra platonizzante del testo», affinché i lettori ne intendessero correttamente il senso.5
Accanto alla dedicatoria d'autore al da Silva, nelle varie edizioni e nuove emissioni dell'opera, si assiste a un proliferare di apparati paratestuali di vario genere. La storia di questi paratesti è stata più volte oggetto di studio nell'ultimo decennio del secolo scorso; la ricerca si è sempre focalizzata sulla loro varietà e sulle loro funzioni.6 In questa sede ci si propone di approfondire le diverse tipologie connesse ad altrettante finalità di alcune dediche d'opera e di particolari avvisi ai lettori che si possono rintracciare nelle tante edizioni del Libro.7
Il primo avviso ai lettori8 compare nella stampa parmense del 1532 per i tipi di Antonio Viotti, nel quale si rinnova la formula pubblicitaria già presente nel frontespizio: «novamente stampato et con somma diligentia corretto». Si tratta infatti della seconda edizione del Viotti, dopo quella del 1530, per la quale si reclamizza sia l'avvenuta revisione del testo sia la somiglianza con l'editio princeps («Quale in cosa alcuna, per minima ch'ella si sia, non trovarete dissimile dalla Venetiana»). Si accenna inoltre a una precedente edizione che sarebbe stata stampata nell'anno precedente (1531) ma che, per la scorrettezza del testo, sarebbe stata accantonata e sostituita da questo nuovo lavoro. Un'importante informazione bibliografica di cui però non si ha riscontro e per la quale è facilmente ipotizzabile che valga piuttosto come richiamo per il lettore.
La strategia editoriale di Gian Francesco d'Asola utilizzata nella stesura della lettera dedicatoria «alle gentili donne» che introduce l'edizione aldina del 1533 è tuttavia diversa. Si fa leva infatti sul nuovo formato adoperato, ovvero l'ottavo: una «forma più picciola, e manegevole: acciò sempre in ogni luogo, e tempo il possiate a vostro bello agio portare in seno, et havere a mano».9 La princeps, col suo formato in-folio e la disposizione del testo tipica dei testi classici (ampi margini e grandi titoli correnti), rimanda invece a un pubblico elitario.10 La casa aldina ripensa ora l'opera per un pubblico femminile. Questo tipo di destinatario è già, per così dire, compreso nell'opera stessa di Castiglione, come è evidente dal terzo libro tutto rivolto alla formazione della Donna di Palazzo. In quest'ottica infatti va anche inquadrata questa nuova messa a stampa del Cortegiano che assolve la sua primaria funzione di manuale del saper stare in società. Precetti che, «essendo il libro tutto ripieno di divini, e cortigianissimi ammaestramenti», completano la natura di quelle donne che già per dispositio naturalis hanno le qualità "civili".11
Altro tipo di dedica è quella che si può leggere nell'edizione veneziana di Curtio Navo (1538).12 Questa volta è lo stesso editore che prende la parola, rivolgendosi «al magnifico et nobilissimo messer Giorgio Alvigi gentilhuomo Vinitiano». Subito emerge che il legame fra lo stampatore e il nobile signore è più che altro di tipo economico, un debito che lo stesso Navò dichiara: «per li molti oblighi, che io tengo con esso voi». Infatti l'editore precisa subito che la pubblicazione dell'opera è avvenuta «sotto il gentile et magnifico nome vostro [rif. al Zorzi / rif. al Giorgio]»; e nell'occasione della pubblicazione si rende omaggio anche allo «splendore della famiglia» del protettore.
Nell'edizione giolitina del 1552 (Venezia) compare un nuovo avviso ai lettori. Diverse sembrano essere ora le preoccupazioni degli stampatori. Se nel frontespizio si sottolinea la bontà del testo edito, «con somma diligenza corretto e rivisto per il Dolce, secondo l'essemplare del proprio autore»; nell'avviso si affronta la questione della lingua. Infatti quello che viene dichiarato è l'intento, da parte dell'editore e del redattore, di rispettare la volontà dell'autore,13 anche se questo significa lasciare «una istessa voce variar molte volte, et non serbare una perpetua regola». Il curatore e lo stampatore dichiarano infatti di voler rispettare l'ortografia presunta di Castiglione, anche nelle oscillazioni del tipo «giuochi giochi, huomini homini, il et lo articoli, et così fatti termini». Vengono mantenute le diverse forme grafiche pur nella tendenza generale a una maggiore regolarità ortografica e lessicografica che emerge nell'attività di cura redazionale di Ludovico Dolce e degli editori dell'epoca.14 Riguardo al ruolo del Dolce come correttore editoriale è utile ricordare che la collaborazione con i Giolito durò fino al 1568 (anno della sua morte). Un'attività orientata tutta verso una strategia di promozione editoriale, da vero e proprio mediatore culturale, in consonanza con l'atteggiamento di tutta la nuova editoria che a questo fine adotta nuovi formati "tascabili" e diffonde diverse tipologie di paratesti (quali tavole, postille, riassunti, indici).15
L'edizione successiva, per i tipi dello stesso editore e per le cure dello stesso Dolce, esce solo quattro anni dopo (1556). Questa volta però le avvertenze ai lettori vengono sostituite da una lettera del curatore alla gentildonna vicentina Nicolosa Tosca.16 Segno, forse, che le fortunate circostanze economiche nelle quali era stata stampata l'edizione precedente, e per le quali non era stato necessario saldare alcun debito di riconoscenza, sono in questi anni venute meno, costringendo così il Dolce a fare spazio alle lodi alla gentildonna.
Nella lettera ai lettori di Filippo Giunti, stampata nell'edizione fiorentina del 1554, ritorna il motivo commerciale e pubblicitario.17 L'opera di Castiglione è di nuovo promossa come manuale del perfetto cortigiano, ricco di consigli e varie utilità per il nuovo lettore. Il riflettore questa volta viene puntato sulla personalità dello stesso Castiglione, esempio di «vero cittadino», di «buono e devoto cristiano», di «giusto e santo principe». E il richiamo alle qualità dell'autore, quindi alla sua chiara fama, non è altro che un nuovo escamotage, una nuova soluzione per richiamare l'attenzione di un pubblico che già parecchie volte in meno di trent'anni aveva trovato sui banchi dei librai l'opera.18
Riprendendo l'analisi delle dediche encomiastiche, dettate da «un contesto dominato dall'angoscia dell'obbligo della gratitudine»,19 queste continuano a essere stampate nelle edizioni giolitine successive a quella del 1556. L'edizione del 1559, curata di nuovo dal Dolce, è corredata dagli stessi paratesti, fatta eccezione per la lettera dedicatoria che viene ora rivolta a Giorgio Gradenigo.20 Senatore della Repubblica veneta, era stato anche un famoso mecenate di letterati, appartenente all'Accademia veneziana della Fama, proprio questo ruolo spiegherebbe bene la dedica del Dolce. La lettera verte sull'esaltazione delle qualità e delle virtù, attribuite al perfetto cortigiano da Castiglione, che si troverebbero ora nel nuovo dedicatario; un vero e proprio elogio tutto nei termini della captatio benevolentiae.
Per ritrovare gli avvisi ai lettori bisognerà aspettare le edizioni degli anni Ottanta. Infatti questa tipologia di paratesto si ritrova nell'edizione di Bernardo Basa (Venezia, 1584), dove il dedicante è ancora una volta il curatore dell'opera, e nell'edizione di Domenico Giglio (Venezia, 1587),21 nella quale è lo stesso editore a rivolgersi «al discreto e giudicioso leggitore». In questa seconda messa a stampa la prima rivendicazione dell'editore è quella di aver mantenuto il testo intatto nella sua forma completa, dato che negli stessi anni si andava stampando l'edizione purgata dal Ciccarelli. Si legge infatti:22
il libro del Cortegiano del conte Baldassar Castiglione stampato ultimamente in Urbino lacerato, et guasto in molti luoghi da huomini non so, se io mi debba dire troppo delicati, et leggieri, o pur troppo scrupolosi, et arditi, et havendo inteso quanto ne sieno rimasi offesi, et dolenti gli huomini giudiciosi, et d'animo franco, che amano di vedere gli altrui scritti sinceri, et nella propria forma, che hanno lor data i suoi autori, et non monchi, et contaminati in alcuna anchor minima parte; mi deliberai, posto a parte ogn'altro rispetto d'impiegar la diligenza mia in renderti questo pretioso libro non pur tutto intero, ma anchor ridotto a quella medema hortographia, con cui lo scrisse il degno, et non mai bastevolmente lodato suo autore.
Diversa è la vicenda di Bernardino Marliani23 curatore dell'edizione del 1584. La dedica del Marliani, più che una lettera prefatoria all'opera, sembrerebbe piuttosto un'introduzione alla Vita di Castiglione di cui è autore. La vicenda di questo scritto è utile per comprendere meglio questo sistema di ricerca del consenso che obbliga la maggior parte di coloro che svolgono un lavoro intellettuale alla perenne ricerca di mecenati disposti o a sovvenzionare le loro imprese o almeno a patrocinarle, innescando in questo modo un circolo vizioso di do ut des tra favori economici ed encomi per gratitudine. Negli anni 1570-1573, durante la sua prima esperienza nelle file dell'Accademia degli Invaghiti, il Marliani propose il progetto, sotto il patrocinio del conte Camillo Castiglione figlio di Baldassarre, di approntare un'edizione del Cortegiano secondo i dettami del S. Uffizio e di compilare una biografia dell'autore. Gli impegni diplomatici non gli consentirono però di dedicarsi subito all'impresa, tranne che per la stesura della Vita, conclusa nel marzo 1573. Più tardi ebbe l'occasione di rimettere mano al progetto, ma nel 1576, quando presentò l'edizione purgata alla Congregazione del Sant'Uffizio, il testo non fu accettato. Marliani allora fu costretto a cercare protezione e sostegno presso il futuro cardinale Scipione Gonzaga, il quale fece da mediatore con la Congregazione ottenendo così la licenza di far stampare l'opera fuori Roma. Ma il progetto fallì nuovamente e lo stesso accadde anche quando la richiesta di protezione fu rivolta a Cesare Gonzaga. Nel frattempo la revisione dell'opera di Castiglione era stata affidata dal S. Uffizio al teologo Antonio Ciccarelli,24 il quale pubblicò l'opera censurata nel 1584 a Venezia per i tipi di Bernardo Basa. Fu questa l'occasione per il Marliani di pubblicare almeno la biografia dell'autore, ma di nuovo trovò l'avversione del duca di Urbino Francesco Maria II della Rovere, coinvolto da Camillo Castiglione a patrocinare l'impresa, tuttavia quest'ultimo prendendo le difese del Marliani riuscì infine a far includere nella stampa la biografia già pronta da tempo.25 Alla luce di tutta la fatica che il Marliani dovette fare per vedere pubblicato il suo testo, si spiega bene il contenuto del suo avviso ai lettori. Infatti si tratta piuttosto di un'introduzione alla biografia di Castiglione. Nel rivolgersi al pubblico illustra le motivazioni che lo hanno spinto all'impresa: «ho determinato di dare al mondo un alquanto più particolare, et esquisito ritratto della sua vita». Interessante si rivela l'esplicitazione della fonte dalla quale avrebbe appreso le notizie, ovvero «trassi assai distintemente molte cose dalla lunga, et domestica famigliarità, ch'io hebbi col nobilissimo Lodovico Strozzi gentil'huomo Mantovano», oltre alle informazioni che si potevano avere dalle «varie Historie, Commentari, et Elogi» sul conte. Il nobilissimo Strozzi non era altro che «figliuolo d'una sorella del Conte Baldassar, [che] andò nella suo giovanezza seco in Hispagna, et fu partecipe di tutti i negotij, che all'hora passavano per le mani del zio, scrivendo, parlando, et trattando ciò, che faceva di mestieri, per sollevamento delle molte fatiche di lui». È quindi una sorta di racconto in presa diretta, da chi con Castiglione aveva non solo legami di famigliarità, ma anche una consuetudine lavorativa.
Il paratesto di questa edizione include anche la dedica del Ciccarelli al duca d'Urbino Francesco Maria II della Rovere, l'impresario coinvolto nella vicenda tipografica di questa nuova messa a stampa. Il Ciccarelli esordisce con una sorta di legittimazione letteraria dell'opera riconoscendola come erede di quel genere «che appresso i Greci in materia d'allevare i Principi trova la Institutione di Xenofonte, et appresso i Romani nell'arte oratoria l'Oratore di Cicerone». Vengono inoltre esplicitate le motivazioni e le modalità secondo le quali l'opera sarebbe stata espurgata, senza «traviar mai dall'istesse parole, et dal modo proprio del dire usato dell'Autore» e affinché «al libro restasse la sua maestà, et artificiosa vaghezza». Infine la richiesta di protezione si fa esplicita: «io la supplico di […] ripormi sotto la grandezza della protettione sua, accioché col vento del favor di lei con maggior mia sicurezza navighi questo mare del viver mondano».26
Il ripetersi, l'alternarsi e a volte il sostituirsi di dediche e di avvisi continua fino e oltre le settecentine del Cortegiano, dove gli apparati paratestuali sembrano quasi soffocare il testo.27 Nel XIX secolo uscirono ben quindici edizioni, alcune delle quali approntate per la gioventù. La presenza delle dediche diminuisce sensibilmente, segno del cambiamento della funzione dell'epistola dedicatoria, che non è più indirizzata a personaggi con i quali il legame è esclusivamente remunerativo (protezione o denaro); ora i dedicatari sono figure in grado di comprendere e apprezzare il contenuto dell'opera, o con i quali i dedicanti hanno un legame intellettuale.28
Lo stesso incremento di paratesti di vario genere si riscontra anche nelle edizioni straniere; in alcune prendono perfino il posto della lettera prefatoria dell'autore. È quello che accade nella maggior parte delle edizioni inglesi, dove la zona paratestuale è occupata da dediche di vario tipo ad opera di curatori e di editori. La prima edizione che elimina la dedica al da Silva è quella londinese del 1577 per i tipi di Henrici Bynneman, nella quale sono presenti tre lettere dedicatorie "accessorie" indirizzate a personaggi illustri.29 Lo stesso accade nell'edizione del 1584 stampata a Francoforte da Bernardo Iobino, dove la dedica di Castiglione viene sostituita con quella del traduttore Ioanne Ricio all'imperatore Rodolfo II.30
Questo sistema ripetitivo di dediche e di avvisi ai lettori esemplifica la doppia funzione che questi due tipi di apparati paratestuali assolvono. Da una parte, quelli rivolti a personaggi eminenti sono un chiaro segnale di come i paratesti vadano considerati «omaggio remunerato, o in forma di protezione di tipo feudale, o in modo più borghese (o proletario), con moneta sonante».31 Dall'altra, quelli destinati ai lettori rivelano la presa di coscienza, da parte degli editori, di aver creato un pubblico al quale fare riferimento e rendere ragione del proprio operato, cercando di assecondarne di volta in volta gusti e tendenze.32 Entrambe queste tipologie vengono sperimentate nelle tante edizioni dell'opera di Castiglione, dando prova della vitalità di questo genere letterario utile sia per ricostruire l'ambiente culturale e i rapporti sociali entro i quali lavoravano gli addetti alla tipografia, sia come testimonianza della variatio a cui il genere è sottoposto.33
V. G.
Note
1 Il libro del Cortegiano del conte Baldesar Castiglione, Venezia,
eredi di Aldo Manuzio il vecchio e Andrea Torresano il vecchio, aprile 1528 (c. p 5v).
2 Per le notizie biografiche su Alfonso Ariosto (1475-1525) si veda la voce di G. Miani in Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1962, vol. iv, pp. 168-69.
3 La dedica è stampata nel fascicolo duerno iniziale che sembra essere stato aggiunto, in fase finale, alla fascicolazione della princeps composta da quaderni, cfr. A. Quondam, «Questo povero Cortegiano». Castiglione, il Libro, la Storia, Roma, Bulzoni, 2000, p. 502. Per la biografia del da Silva e la ricostruzione dell'ambiente culturale in cui visse cfr. S. Deswarte, Il "perfetto cortegiano". D. Miguel da Silva, Roma, Bulzoni, 1989. Per una recente analisi dell'epistola dedicatoria al da Silva si veda M. Villa, Ai margini del 'Cortegiano': la dedicatoria d'autore al Da Silva, in «Margini», 5, 2011, rivista on-line (www.margini.unibas.ch).
4 Deswarte, Il "perfetto cortegiano" cit., p. 76.
5 U. Motta, Castiglione e il mito di Urbino. Studi sulla elaborazione del 'Cortegiano', Milano, Vita e Pensiero 2003, in particolare le pp. 255-460, la citazione a p. 390. Analisi puntuali sulla questione della doppia dedica si trovano anche in: J. Guidi, Une artificieuse présentation: Le jeu des dédicaces et des prologues du 'Courtisan', in L'écrivain face à son public en France et en Italie à la Renaissance, études réunies et présentées par C. A. Fiorato et J. C. Margolin, Actes du Colloque International de Tours, 4-6 Décembre 1986, Paris, Librairie philosophique J. Vrin, 1989, pp. 127-44; Quondam, «Questo povero Cortegiano» cit., in particolare le pp. 471-525. A riguardo Quondam precisa come «il raddoppio dei proemi con la dedica non fa sistema, insomma: istituisce, anzi, una comunicazione parallela, senza rapporti, una partita doppia autonoma nelle sue distintive parti» (ivi, p. 503). Infatti i punti di contatto tra la dedica al da Silva e il testo dell'opera possono essere individuati sono nella questione della lingua (trattata nel I libro), nel richiamo dell'avvenuta morte dell'Ariosto e nell'esplicito rimando al proemio del IV libro.
6 Il riferimento è agli studi di Peter Burke, che approfondisce la funzione dei paratesti nella promozione commerciale dell'opera: P. Burke, Le fortune del Cortegiano. Baldassarre Castiglione e i percorsi del Rinascimento europeo, traduzione di A. Merlino, Roma, Donzelli, 1998, in particolare le pp. 40-44 e 71-74; e di J. Guidi, Reformulations de l'idéologie aristocratique au XVIe siècle: les différentes rédactions et la fortune du 'Courtisan', in Réécritures. Commentaires, parodies, variations dans la littérature italienne de la Renaissance, Paris, Université de la Sorbonne Nouvelle, 1983, vol. i, pp. 121-184. Guidi analizza in particolare i paratesti delle cinquecentine dell'opera, mentre Amedeo Quondam studia le varie tipologie di apparati testuali che contribuiscono a rendere il Cortegiano un manuale di comportamento: Quondam, «Questo povero Cortegiano» cit., in particolare le pp. 35-52.
7 Questa indagine prende avvio dall'allestimento di un repertorio bibliografico che annovera tutte le edizioni italiane e straniere dell'opera fino al XIX secolo compreso. Per quanto riguarda quelle italiane, si contano cinquanta edizioni nel XVI secolo, tre per ognuno dei due secoli successivi e quindici nell'Ottocento. Per le definizioni e la distinzione dei vari paratesti si rimanda al fondamentale studio di G. Genette, Soglie. I dintorni del testo, a cura di C. M. Cederna (Seuils, Paris, Seuil, 1987), Torino, Einaudi, 1989, in particolare le pp. 115-140. Inoltre si vedano i recenti contributi di M. Paoli, La dedica. Storia di una strategia editoriale (Italia, secoli XVI-XIX), prefazione di L. Bolzoni, Lucca, Pacini Fazzi, 2009.
8 L'avviso ai lettori a nome di Cesare Aquilio si trova alla c. A 1v. Nel riportare i testi le abbreviazioni sono state sciolte normalizzando; sono state distinte u/v mentre vengono mantenute tutte le altre grafie; sono stati introdotti accenti e apostrofi secondo l'uso moderno.
9 Il libro del cortegiano del conte Baldesar Castiglione, Venezia,
eredi di Aldo Manuzio il vecchio e Andrea Torresano il vecchio, maggio 1533, c. a 2r.
10 Il formato in-folio verrà riproposto dalla stessa casa tipografica solo nel 1545, in un'edizione che, anche se gli editori dichiarano di essere «nuovamente ristampata», probabilmente non è altro che una nuova emissione della princeps.
11 Si legge infatti ancora nella dedica: «pigliatelovi dunque nobilissime Donne, a cui sole questa opera è stata iscritta: et habbiatolovi caro quello, che sovra gli altri tutti ciò perfettamente vi 'nsegna, aggiungendo alla vostra ottima, e prontissima natura il sommo aiuto di questo artificiosissimo maestro».
12 Dedica presente anche nell'edizione dell'anno successivo stampata dallo stesso editore.
13 Si legge nella dedica: «per non haver noi voluto dipartirci dall'originale dell'autore, giudicando presontione et temerità il mutar nelle opere altrui quella forma di parole, che è piaciuto d'usare al proprio autore il medesimo abbiamo serbato nella orthografia» (c. A 4v).
14 Per la figura del Dolce si veda la voce a cura di G. Romei nel Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1991 vol. xl, pp. 339-405; e la monografia di R. H. Terpening, Lodovico Dolce, Renaissance Man of letters, Toronto, University of Toronto Press, 1997. Per uno sguardo d'insieme sulla figura dei correttori editoriali e sulle revisioni linguistiche in sede tipografica si rimanda agli studi di: A. Quondam, La letteratura in tipografia, in Letteratura italiana, II. Produzione e consumo, Torino, Einaudi, 1983 pp. 555-696; P. Trovato, Con ogni diligenza corretto. La stampa e le revisioni editoriali dei testi letterati italiani (1470-1570), Bologna, Il Mulino, 1991; N. Maraschio, Grammatici e correttori: le regole e la prassi editoriale e e P. Trifone, La lingua e la stampa nel Cinquecento, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni e P. Trifone, Torino, Einaudi, 1993-1994, vol. i, rispettivamente alle pp. 183-194 e pp. 425-446; B. Migliorini, Storia della lingua italiana, introduzione di G. Ghinassi, Milano, Bompiani, 2002 (1a ed. 1960), pp. 342-44.
15 Cfr. C. Di Filippo Bareggi, Il mestiere di scrivere. Lavoro intellettuale e mercato librario a Venezia nel Cinquecento, Roma, Bulzoni, 1988.
16 Alla c. *2r.
17 La dedica (cc. +2r- 3v) è attribuita a Filippo Giunti, cfr. I Giunti tipografi editori di Firenze 1497-1625, a cura di D. Decia e L. S. Camerini, Firenze, Giunti Barbera, 1978-1979, vol. i, p. 160.
18 Fino al 1554 le edizioni italiane sono già ventisei oltre la princeps. Un'inflazione di libri abbastanza notevole all'epoca. Se si pensa che anche un best seller come le Prose del Bembo avevano avuto negli stessi anni "solo" 11 nuove edizioni dopo la princeps del 1525.
19 Come osserva bene N. Zemon Davis nel suo Il dono. Vita familiare e relazioni pubbliche nella Francia del Cinquecento, traduzione di M. Gregorio, Milano, Feltrinelli, 2002, p. 96.
20 Per il Gradenigo cfr. la voce curata da A. Siekiera in Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2002, vol. lviii, pp. 304-306. La dedica del Dolce viene ristampata nelle tre successive edizioni giolitine: 1560, 1562, 1564. Anche altri due editori veneziani, come Girolamo Cavalcalovo e Domenico Farri, includono la dedicatoria nelle loro stampe (rispettivamente quelle del 1565 e del 1574).
21 In realtà la stampa di questa edizione sarebbe da attribuirsi a Conrad Waldkirch o a Tommaso Guarino, presso Basilea (cfr. B. Richardson - D. E. Rhodes, The 1587 Edition of Castiglione's 'Cortegiano' 'Printed by Domenico Giglio, in «The Library», xvi, 1994, 4, pp. 316-326). I motivi della falsificazione di luogo di stampa ed editore si possono individuare nel clima controriformistico di quegli anni. Infatti, sebbene il Libro del Cortegiano non compaia in nessuno degli indici dei libri proibiti, l'opera fu espurgata da Antonio Ciccarelli, dottore di Teologia, e il testo rivisto comparve per la prima volta a Venezia nel 1584 stampato da Bernardo Basa. Nonostante il divieto l'opera riapparve nella sua forma intatta nel 1587 sotto il falso nome dell'editore Giglio.
22 Alle cc. (:)2r/v.
23 Per il Marliani cfr. la voce redatta da R. Tamalio, in Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2008, vol. lxx, pp. 600-602.
24 Cfr. la scheda biografica di N. Longo in Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1981, vol. xxv, pp. 353-55.
25 Dettagli sulla vicenda si hanno in V. Cian, Un episodio della storia della censura in Italia nel sec. XVI: l'edizione spurgata del 'Cortegiano', in «Archivio storico lombardo», xiv, 1887, pp. 661-727, in particolare le pp. 670-685; N. Longo, Prolegomeni per una storia della letteratura italiana censurata, in «Rassegna della letteratura italiana», lxxviii, 1974, pp. 410-419; U. Ruozzo, L'espurgazione dei testi letterari nell'Italia del secondo Cinquecento, in La censura libraria nell'Europa del secolo XVI, Atti del convegno internazionale di studi di Cividale del Friuli, 9-10 novembre 1995, Udine, Forum, 1997, p. 262.
26 Dedica alle cc. A 2r-A 7r. Gli stessi paratesti vengono ristampati nelle seguenti edizioni: 1593, Venezia, Minima Compagnia; 1599, Venezia, Paolo Ugolino; 1606, Venezia, Giovanni Alberti; 1733, Padova, Giuseppe Comino.
27 Nel XVIII secolo si contano tre nuove edizioni. La prima, quella padovana del 1733 per i tipi di Comino, che ristampa i paratesti dell'edizione Basa del 1584; la seconda del 1755, sempre a Padova per Comino, include due dediche: una ai lettori da parte dello stampatore e l'altra al patrizio padovano Antonmaria Borromeo; l'ultima, a Vicenza nel 1771 presso Vendramini Mosca, comprende un'avvertenza ai lettori e una dedica alla nobil donna Morosina Cornaro Gradinico. Per la diffusione europea del Cortegiano nel Settecento si veda A. G. Cavagna, Il libro del 'Cortegiano' e le edizioni settecentesche, in L'Europa delle Corti alla fine dell'Antico regime, a cura di C. Mozzarelli e G. Venturi, Roma, Bulzoni, 1991, pp. 307-368.
28 Confermando l'analisi di Genette, il quale scrive: «ciò che tende a scomparire all'inizio del XIX secolo, sono dunque due tratti, chiaramente legati tra di loro: la più diretta funzione sociale (economica) della dedica, e la sua forma sviluppata di epistola elogiativa» (Genette, Soglie cit., p. 121).
29 La prima, firmata dal traduttore inglese Bartolomeo Clerke (il testo è in latino), è indirizzata alla Regina Elisabetta. Sempre del traduttore è la lettera che segue «Amplissimo viro D. Thoma Sackvillo Equiti Aurato, Domino de Buckhurst» nella quale rende ragione della traduzione. A questo già ipertrofico corredo paratestuale vengono aggiunte anche lettere di personaggi esterni alla messa a stampa dell'opera, ma che contribuiscono a sottolineare la novità e l'importanza di questo lavoro letterario. Come la lettera del nobile Edoardo Vero, nella quale viene lodata l'opera e la traduzione, e quella di un certo Giovanni Cajo il quale si congratula col traduttore per la fatica intrapresa.
30 La sostituzione si ripete anche in altre edizioni: 1588, London, printed by John Wolfe; 1606, Francofurti, sumptibus Lazari Zetzneri bibliopolae; 1619, Argentorati, sumptibus haeredum Lazari Zetzneri; 1713, London, impensis Guglielmi Innys.
31 Genette, Soglie cit, p. 117.
32 Come scrive Quondam nel saggio sull'attività editoriale dei Giolito: «Progettare il libro, dunque, come una merce, che sia però nello stesso tempo "mercanzia d'utile" e "mercanzia d'onore", in grado, cioè, di soddisfare la sua doppia funzionalità economica e culturale» (cfr. A. Quondam, «Mercanzia d'onore» / «Mercanzia d'utile». Produzione libraria e lavoro intellettuale a Venezia nel Cinquecento, in Libri, editori e pubblico nell'Europa moderna, a cura di A. Petrucci, Bari, Laterza, 1977, pp. 51-104: 68). Utili osservazioni anche in Di Filippo Bareggi, Il mestiere di scrivere cit., in particolare le pp. 266-273.
33 Per l'approfondimento delle tipologie e delle funzioni della dedica si rimanda, oltre agli studi già citati, in particolar modo a R. Chartier, Cultura scritta e società, trad. di A. Serra (Culture écrite et societé. L'ordres des livres (XIVe-XVIIIe siècle), Paris, Albin Michel, 1996), Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 1999, in particolare le pp. 35-53; F. Brugnolo, Testo e paratesto: la presentazione del testo fra Medioevo e Rinascimento, in Intorno al testo. Tipologie del corredo esegetico e soluzioni editoriali, Atti del Convegno di Urbino, 1-3 ottobre 2001, Roma, Salerno Editrice, 2003, pp. 41-60; M. G. Tavoni, Avant Genette fra trattati e «curiosità», in Sulle tracce del paratesto, a cura di B. Antonino, M. Santoro e M. G. Tavoni, Bologna, Bononia University Press, 2004, pp. 11-18.