Tabucchi, Sereni e Maria do Carmo.
Genesi letteraria di un equivoco editoriale
Caro Filippini,
sono sempre del parere che uno a cui viene affidata una lettura editoriale dovrebbe essere tutelato col segreto di ufficio; per cento e una ragione che penso tu conosca.
Ciò detto, non ho alcuna difficoltà a mandare a te copia del parere che oggi stesso passo a Leonardo Mondadori. Sia però chiaro che questa rimane un’operazione tra noi. Le decisioni editoriali, qualunque esse siano, non mi riguardano più.
Il tuo intervento è una buona occasione per salutarci cosa che faccio affettuosamente augurandoti una buona estate.
Vittorio Sereni.13
Nei confronti di Tabucchi invece questa cautela del “segreto d’ufficio” a poco a poco tende a scomparire e a mano a mano che procede la corrispondenza tra i due, essa assume i toni pacati e cordiali della reciproca amicizia. Entrambi passano lentamente dal riserbo deontologico alla complicità professionale, dal Lei formale e circostanziato al tu più intimo e confidenziale, fino al punto da progettare incontri interlocutori tra Roma e Milano, tra Toscana e Liguria, a volte perfettamente riusciti, a volte mancati, come questo per esempio:
Caro Sereni,
mi dispiace non averla vista a Firenze, quando di [sic] Montale. Era un’occasione per fare finalmente una chiacchierata, visto che le mie venute a Milano sono rare e fuggenti, e le sue a Bocca di Magra totalmente silenziose […]. La mia attività narrativa, invece, è per il momento ferma (veramente avrei in mente qualcosa, ma per scriverla aspetto tempi più propizi). Ho invece scritto un racconto lungo (o romanzo breve) ma è davvero per essere preso in considerazione da Mondadori quale eventuale volume.
Certo mi farebbe molto piacere che Lei lo leggesse, ma non vorrei abusare della sua disponibilità. Me lo dica con franchezza.14
Sereni insomma, non solo appoggia presso Mondadori Il piccolo naviglio, ma da questo momento lo promuove senza riserve, scommettendo incondizionatamente sulla carriera del giovane Tabucchi, nella profonda convinzione che questo prolifico autore emergente avrebbe avuto un sicuro futuro letterario.15
La verità è che Vittorio Sereni, in quanto poeta raffinato e non in qualità di consulente Mondadori in senso tecnico, ha creduto fin dall’inizio nel valore artistico dell’opera di Tabucchi, tanto da incoraggiarlo in modo quasi paterno a persistere nei suoi esperimenti di scrittura, a prescindere dai risultati di carattere economico-editoriale: numero di copie vendute, possibilità di successo, grado di leggibilità del testo e così via. Requisiti questi, che incideranno invece nella sintesi di valutazione del manoscritto successivo a Il piccolo naviglio, che verrà dapprima sottoposto al direttore editoriale Alcide Paolini e terrà l’autore in sospeso per oltre due anni, fino al 1980. Si tratta di Lettere a capitano Nemo,16 vale a dire il terzo romanzo, se si esclude naturalmente dalla conta un altro manoscritto tuttora inedito, La bottega dei fischi, che giace tra i faldoni nell’archivio di famiglia a Lisbona.
A questo punto però è bene precisare, a titolo di premessa, quali fossero i rapporti tra il poeta di Luino e il suo datore di lavoro. Che Vittorio Sereni non condividesse appieno alcune scelte operate dalla Mondadori, in un momento storico in cui perfino l’editoria si convertiva alla legge economica della domanda e dell’offerta, risulta oggi piuttosto evidente. Del resto può accadere a un consulente nel pieno svolgimento delle sue funzioni, di non condividere affatto i piani commerciali della casa editrice presso cui lavora, così come può succedere di non essere d’accordo con la sua linea editoriale.
Sul fatto per esempio che Sereni non approvasse i meccanismi di selezione in uso né i criteri con cui venivano accordate preferenze, si può citare l’estratto epistolare di uno sfogo indirizzato a Niccolò Gallo, collaboratore della Mondadori, assunto tra l’altro dietro esplicita proposta di Sereni e perciò da ritenersi persona di sua fiducia:
Spesso io scrivo a te lettere ‘di servizio’ con un’aria molto più convinta di quanto non sia la mia reale convinzione nella bontà della ‘causa’. Troppa gente e troppe cose si muovono intorno a noi che non approvo. Vorrei che tu lo sapessi al di là della nostra piena identità di vedute sulla tecnica di certe operazioni. Questa lettera è uno sfogo privato, s’intende. Volevo solo dirti che sotto la prassi quotidiana c’è la mia insoddisfazione e la volontà di serbare intatta ogni possibilità di giudizio, di non essere né corrotto né corruttore.17
2. Vittorio Sereni sostiene Tabucchi
Il giudizio favorevole di un grande poeta italiano, ha concesso quindi a Tabucchi l’opportunità di pubblicare la sua seconda opera, Il piccolo naviglio. Nulla potrà invece Sereni quando si tratterà di sottoporre all’attenzione della Mondadori le bozze definitive del già citato romanzo successivo e men che meno, quando tenterà di piazzarlo presso altri editori.
Lettere a capitano Nemo verrà sempre ricordato come un testo che, contrariamente a tutti gli altri di Tabucchi, avrà poca fortuna editoriale. L’opera, ora messa da parte inconsapevolmente dall’editore, ora non pubblicata per esplicita volontà dell’autore medesimo, vedrà la luce solo nel 2018, all’interno dei due volumi dei Meridiani pubblicati postumi, grazie soprattutto a un rigoroso studio filologico e una ricerca puntigliosa di Thea Rimini.18
Da qui naturalmente la domanda: di che cosa tratterà mai il romanzo più controverso e bistrattato della carriera letteraria tabucchiana? In breve, è una complessa cronistoria a sfondo politico di una dissociazione psichica, tanto individuale quanto collettiva (o per meglio dire “nazionale”). Il dattiloscritto però, come ben si può comprendere dal tema, tocca un nervo ideologico scoperto dal dopoguerra in poi e riguarda sia la caduta del fascismo, sia i vuoti di memoria storica non elaborata.
Non resta che capire, a questo punto, quali siano state le motivazioni per cui si verifica il passaggio di Tabucchi da Mondadori a il Saggiatore per il suo terzo libro, vale a dire la raccolta di racconti Il gioco del rovescio, che segnerà una fortunata svolta nella sua carriera di scrittore. È bene ripetere ancora una volta, per amore di cronaca, che la transizione dal secondo al terzo libro non è stato un percorso agevole. L’iter del romanzo Nemo è lungo e frastagliato, in più senza alcun esito, un tira e molla che dura sette anni e si consuma, come uno stillicidio di buone intenzioni puntualmente disattese, tra il 1977 e il 1984.19
Sottoposto in primis all’editore milanese, solo successivamente alla Einaudi dove lavorava Italo Calvino, va di rimbalzo in lettura negli uffici della casa editrice Bompiani; il testo giunge poi alla Garzanti, per approdare infine presso il Saggiatore. Ma neppure in quest’ultimo caso Nemo riceverà un vero e proprio esito favorevole, benché nemmeno quelli precedenti potrebbero definirsi in gergo tecnico dei veri e propri “rifiuti editoriali”.
A guidare il transfuga pisano dalla Mondadori al Saggiatore, nella collana Le Silerchie, è naturalmente il poeta Vittorio Sereni, con cui Tabucchi ha instaurato ormai un confidenziale rapporto discepolo-maestro, come risulta dallo scambio epistolare. Il carteggio qui citato, quasi interamente inedito, rivela infatti una forte complicità tanto estetica quanto fenomenologica tra i due, una vera e propria comunanza di interessi che convergono dapprima intorno al nome del poeta Fernando Pessoa, mentre da un punto di vista filosofico occorre richiamarsi agli influssi più diretti della Scuola di Milano, rappresentata in primo luogo dal magistero di Antonio Banfi, docente di Estetica con cui Sereni si era laureato prima della guerra, diventandone assistente cinque anni dopo.
Altro allievo di Banfi, figura non di secondo rilievo e per niente affatto marginale ai fini di questa narrazione, è il giovane Alberto Mondadori, fondatore della casa editrice il Saggiatore, presso cui usciranno via via I saggi di Banfi su Husserl, e Diario fenomenologico di Enzo Paci nel 1961. In aggiunta, sempre con la medesima casa editrice, Vittorio Sereni darà alle stampe i suoi racconti: Gli immediati dintorni e Il sabato tedesco. Sempre qui infine lo stesso Tabucchi pubblicherà appunto Il gioco del rovescio.
Per quel che concerne Nemo e le sue alterne vicende editoriali, rimando direttamente allo studio dettagliato di Thea Rimini, che ne ha esaustivamente ricostruito le tappe più salienti.20 Per quanto riguarda invece la pubblicazione del terzo libro e le vicende che lo accompagnano, è necessario specificare anzitutto che Il gioco del rovescio nasce essenzialmente da un equivoco, o per meglio dire, da un autentico qui pro quo editoriale, degno di una situazione tipica dei personaggi tabucchiani. In questo senso, varrebbe forse la pena scomodare il celeberrimo adagio del filosofo Ludwig Wittgenstein: «Noi ci aspettiamo questo, e ci succede quello».
È quanto sembra di poter desumere in proposito dallo scambio epistolare. In effetti attenendoci fedelmente ai fatti e alle fonti dell’epoca, oggi è possibile affermare che fu proprio durante la lunghissima attesa per la pubblicazione del romanzo più volte rifiutato − ossia, nel vano tentativo di trovare una diversa collocazione editoriale, regolarmente sollecitata da Sereni − che si verificò l’imprevisto: la nascita di un nuovo libro di “racconti metafisici”, concepito inizialmente come un semplice riempitivo estetico-filosofico e trasformatosi poi in vero e proprio testo sostitutivo. Si tratta di sei brevi contes philosophiques, composti per colmare un prolungato horror vacui editoriale e che nello spazio di tre anni raggiungono la consistenza di un volume compiuto. L’arco temporale indicato dall’autore nelle note del Gioco del rovescio va precisamente dal 1978 al 1981, ma in realtà Tabucchi si era accostato a questa nuova tipologia di racconti già nel 1976. In una lettera al maestro e amico Silvio Guarnieri, lo scrittore menziona due racconti di fresca composizione, in cui egli ammette con sincerità di aver abbandonato i suoi temi consueti, tanto da sentirsi in dovere di rivendicarne la paternità: «sono ancora miei − precisa l’autore − ma con un fondo diverso».21 La ragione di questo cambio di passo, a sentire Tabucchi, risiederebbe nella «fine della giovinezza» la quale sarebbe «rimasta ferma sull’altra parte della riva da cui è partita la barca della Rotta».22
Con il termine Rotta, Tabucchi sembra qui alludere al titolo originario della prima stesura de Il piccolo naviglio. Se si dovesse pertanto stabilire una data d’inizio per indicare questa metamorfosi letteraria, si dovrebbe partire verosimilmente da questa circostanza. Circostanza che si ripete più volte in altre occasioni, perché si parla nuovamente di “racconti” nella seconda lettera inviata a Vittorio Sereni: «Ho invece scritto un racconto lungo».23
Nella primavera dell’anno seguente, mentre Tabucchi sta enumerando i lavori filologici estivi che lo attendono a Lisbona, in merito alla traduzione del secondo volume del poeta portoghese Fernando Pessoa in uscita presso la casa editrice Adelphi, aggiunge quasi ex abrupto tra una riga e un’altra: «e poi ho anche scritto per conto mio: (sono racconti, fino ad ora quattro, uno dovrebbe uscire in rivista a novembre: se riuscirò a scrivere gli altri tre che ho in mente potrò mettere assieme un volume […])».24
Contrariamente a quanto previsto, nell’autunno seguente non c’è traccia di alcun testo comparso su riviste; in compenso, Vittorio Sereni riceve da Tabucchi una nuova lettera che lo informa sullo stato dei lavori in corso e che si conclude con parole più o meno identiche: «Quando ho un po’ di tempo scrivo (racconti), poi te ne parlerò (uno dovrebbe uscire in rivista)».25
Anche qui il condizionale è d’obbligo, perché nessuna pubblicazione al riguardo ci è pervenuta. Ma è da ritenere a questo punto che Tabucchi abbia dato in lettura i racconti al suo nuovo mentore, come ritiene anche Thea Rimini, la quale conferma che all’inizio del nuovo anno, Vittorio Sereni avrebbe comunicato all’amministratore delegato Laura Boselli della casa editrice il Saggiatore: «Per me non ci sono dubbi: il libro per le “Silerchie” è questo [Il gioco del rovescio] e non l’altro [Lettere a Capitano Nemo]». È ammirevole la strategia messa in atto dal poeta, che tramite il gioco divisivo dell’aut aut, fingendo con astuzia di escludere il primo manoscritto, obbliga in realtà l’editore ad accettare il secondo.
Un dubbio di fondo tuttavia permane: Tabucchi è a conoscenza del singolare aut aut formulato da Vittorio Sereni al Saggiatore? Evidentemente no, perché alla lettera del 6 gennaio a Laura Boselli, il poeta ne fa seguire una a Tabucchi, in cui accenna esclusivamente a tentativi ulteriori per la pubblicazione di Lettere a capitano Nemo.26 Ma trattandosi tecnicamente di strategie, è assai probabile che dopo aver persuaso l’amministratore delegato a pubblicare i racconti, Vittorio Sereni sia passato tatticamente a tessere le lodi del romanzo più volte rifiutato, non più con l’amministratore delegato bensì con il consulente editoriale Giuseppe Sertoli.
L’idea escogitata per rendere il romanzo meno “indigesto” e più appetibile, la ricaviamo direttamente dalla replica che sopraggiunge da Vecchiano a tempo di record: il piano sembra perfetto, la premeditazione è in pieno fermento, i due complici si trovano d’accordo su tutta la linea: l’esca editoriale messa in atto è Fernando Pessoa, un saggio di Tabucchi sul poeta portoghese da intitolarsi presumibilmente e provvisoriamente: Erostratus, sulla forma postuma delle opere letterarie.27
Va ricordato d’altra parte, che la reputazione del primo Tabucchi negli ambienti culturali e letterari di quegli anni non era legata ai due romanzi pubblicati tra il 1975 e il 1978, vale a dire Piazza d’Italia e Il piccolo naviglio. Viceversa egli godeva una discreta fama di filologo e traduttore, essendo considerato tra i maggiori studiosi di Pessoa. Di questi, aveva da poco terminato la traduzione del primo dei due preziosissimi volumi, ancora oggi ristampati con successo.28
L’occasione prospettata da Sereni, consente al semisconosciuto autore di giocarsi la carta dei meriti accademici per avvicinarsi senza ostacoli all’editore: «Ho parlato con Sertoli − risponde Tabucchi − per fargli una proposta “saggistica”, come mi avevi detto, di un Fernando Pessoa».29 E come prevedibile, il suggerimento sortisce l’effetto sperato, la strategia ha funzionato: «Sertoli avrebbe anche letto il Nemo volentieri, e pensava di chiederlo a te. Ma ora ne faccio una copia anche per lui».30
Tabucchi prende visione finalmente del primo volume della collana in cui con ogni probabilità dovrebbe apparire il suo romanzo, nella convinzione che finalmente questa lunga odissea editoriale sia giunta al termine. Confida nel suo Nemo destinato alla collana Le Silerchie, perlomeno stando alle promesse di Sereni. Lo scrittore toscano a questo punto, potrebbe ritenersi più che soddisfatto del risultato, ma nessuno lo ha contattato fino ad ora per avanzare una benché minima proposta: «Il mio desiderio di parteciparvi sarebbe immutato − scrive l’autore con una punta di amarezza − ma nessuno si è mai fatto vivo con me. Se hai occasione di parlarne con gli altri; forse è un modo che mi facciano sapere qualcosa».
Naturalmente lo scrittore, del tutto ignaro delle “tresche” sereniane giocate su due tavoli in suo favore, si riferisce ancora una volta al romanzo. È chiaro che le prove narrative più recenti gli devono apparire come un esperimento secondario rispetto a un’opera che considera ormai definitiva, e conclusa da tre anni. In effetti, quasi contestualmente alla richiesta di ristabilire i contatti con l’editore, aggiunge in via del tutto incidentale le sue ultime novità letterarie, ritenendo la notizia del tutto trascurabile rispetto al tema predominante: «Sono imminenti due miei racconti, uno su “Paragone” e l’altro su “Il Cavallo di Troia” (sic). Spero di farteli avere presto».31
I due racconti a cui allude Tabucchi sono il racconto eponimo de Il gioco del rovescio e Lettera da Casablanca,32 racconto in forma di lettera che andrà presto a confluire nel testo definitivo, rivelandosi a sorpresa come una delle pagine più efficaci dell’intera raccolta.
Insomma il terzo libro è quasi pronto, benché a insaputa dell’autore! Esattamente come accade nei colpi di scena teatrali, ovvero, negli equivoci degli intrecci tabucchiani, saranno proprio questi racconti in costruzione la chiave di svolta dell’impasse editoriale. Col passare del tempo, l’attenzione sia di Sereni sia del comitato di redazione si concentrerà (o forse, si era già concentrata) quasi esclusivamente su questa opera minima in itinere, con storie ancora inedite se non addirittura da scrivere o completare, pubblicata a sprazzi su riviste.
La scelta definitiva di Sereni e così dell’editore, non cadrà sul romanzo più volte respinto, bensì sul fascino enigmatico di quei racconti fenomenologici che a poco a poco iniziano a costituire l’ossatura della versione definitiva de Il gioco del rovescio. In buona sostanza, il secondo libro verrà preferito al primo, o meglio, al manoscritto portato a termine e in cerca di collocazione editoriale verrà preferito un testo in costruzione. Il terzo romanzo, ancora una volta di ambientazione toscana e plasmato sulla falsa riga dei due romanzi già pubblicati, lascia definitivamente il posto ai nuovi racconti-mondo con sfondo filosofico, tutti di ambientazione metafisica e di natura essenzialmente più cosmopolita sia nella trama sia nell’onomastica dei personaggi. A questo punto, il toscanissimo Duccio di Lettere a capitano Nemo lascia il posto al più cosmopolita Nuno Meneses de Sequeira, da Zelmira di Piazza d’Italia si passa direttamente a Maria do Carmo, da capitan Sesto de Il piccolo naviglio si giungerà più avanti al Tadeus di Requiem e via dicendo, fino al più celebre Pereira oppure al successivo Damasceno Monteiro.
A partire da questo cambio di paradigma letterario, la carriera di Antonio Tabucchi prende piede senza impedimenti e la sua notorietà come scrittore finisce per surclassare la fama accademica di studioso.
Nei primi giorni di febbraio del 1981 Tabucchi riceve finalmente la proposta di contratto dall’editore, «che sono tanti soldi» commenta scherzosamente per lettera a Sereni, aggiungendo appena un rigo dopo: «sfotto… ma ti ringrazio».33
Rifacimenti, sostituzioni, rielaborazioni si susseguiranno fino a pochi giorni prima del “visto si stampi”, vale a dire fino all’ultimo momento tecnicamente utile in cui è possibile effettuare interventi sul testo. Di volta in volta l’autore avverte l’amico dei mutamenti in corso d’opera e lo stesso Sereni partecipa attivamente alle modifiche, ne viene costantemente informato, esprime pareri:
Caro Sereni,
quest’estate ho scritto questo racconto e lo spedisco al Saggiatore in sostituzione di uno dei sette intitolati Paradiso celeste del quale non ero molto soddisfatto. (Ti ricordi? è quello dell’ikebana).
Mi piacerebbe se tu potessi leggerlo e eventualmente dirmi se la sostituzione ti pare opportuna.34
Mancano poco meno di due mesi all’uscita del libro, l’ordine dei titoli non è ancora definitivo, la disposizione dei racconti da ridefinire. Al di là dei tagli e dei ripensamenti dell’autore, vi sono due aspetti che emergono con chiarezza dalla corrispondenza sopra riportata: la prima, è che l’uso della deissi nella missiva sta a indicare che il testo di cui si parla è stato inviato in allegato alla lettera; la seconda, è che, pur non conoscendo il parere di Vittorio Sereni sull’eventuale sostituzione delle pagine in questione, lo possiamo facilmente dedurre scorrendo l’indice degli otto racconti come appaiono nella prima edizione, dove figurano entrambi i titoli: sia Paradiso Celeste sia l’ultimo testo terminato durante l’estate, a Lisbona, e inviato contestualmente alla lettera. Anche qui, benché non sia stato possibile rintracciare l’allegato in questione, deve ritenersi che si tratti de Il Piccolo Gatsby, ultima composizione in ordine di tempo e di ambientazione portoghese, a tratti autobiografica.35
Il gioco del rovescio viene dato alle stampe due mesi dopo questa lettera, datata 7 settembre 1981, ma non esce quasi in contemporanea all’ultima raccolta poetica di Vittorio Sereni, come si potrebbe pensare, essendoci uno sbalzo cronologico tra la data di uscita e la data di stampa. In realtà, l’editore Garzanti manda in libreria Stella variabile36 l’anno successivo, ma con l’indicazione tipografica del 1981.
Una volta appurato ciò, è possibile ricostruire il senso della penultima missiva trovata nell’archivio Chiara-Sereni di Luino: «Leggo sui giornali il bellissimo titolo del tuo prossimo libro, e sono impaziente di vederlo in libreria».37 La lettera non reca alcuna indicazione di data, ma Tabucchi è da poco rientrato dal suo primo viaggio in Brasile, come si apprende dall’incipit. È dal post scriptum che si può tracciare agevolmente un termine post quem: «Sono molto soddisfatto dall’accoglienza al Gioco del rovescio − e Giudici ha scritto in particolare un pezzo molto intelligente».38
Se si considera che Giovanni Giudici recensisce sull’Espresso il libro il 17 gennaio del 1982,39 vale a dire poco dopo la metà del mese, la lettera dovrebbe essere posteriore a quella data. È sul finire dell’anno invece, il secondo viaggio intercontinentale intrapreso da Tabucchi, al cui rientro segue l’ultimo messaggio del carteggio, una scritta a penna di colore blu, pochissime righe. È così che si consuma l’estremo saluto del discepolo al maestro: «Caro Vittorio, questa carta è indiana perché arrivo ora dall’India, dopo un viaggio che mi ha un po’ stravolto. Poi magari ti racconterò. Spero di vederti presto. Tanti cari auguri di buon anno a te e a tua moglie da noi due» (Fig. 1).40
Vittorio Sereni si spegnerà a Milano, un mese e dieci giorni dopo. Di Tabucchi sta per uscire per Sellerio Donna di Porto Pim, poi sarà la volta del romanzo Notturno indiano, a cui seguiranno i racconti Piccoli equivoci senza importanza e infine il giallo metafisico Il filo dell’orizzonte. Tutti libri che lo consacreranno definitivamente come scrittore di fama europea.
Nel marzo 1988, quando verrà ripubblicato Il gioco del rovescio da Feltrinelli, edizione arricchita di tre racconti e una Prefazione alla seconda edizione, Vittorio Sereni comparirà con onore nell’avantesto, ricordato con commossa nostalgia dall’autore. E non solo: Tabucchi gli riconosce quasi una seconda paternità dell’opera, pienamente consapevole che il poeta di Luino sarebbe stato a tutti gli effetti il principale fautore di quei racconti.
Secondo quanto emerge dalla lettura del paratesto e degli epitesti successivi, il tono è sempre quello della riconoscenza e della benevolenza, elementi che non mancano nella lapidaria chiusa extratestuale in questione: «Mi resta da dire che Il gioco del rovescio fu pubblicato per la prima volta nel 1981 nella collana “Le Silerchie” dell’editore Il Saggiatore per desiderio dell’amico Vittorio Sereni, la memoria del quale mi è cara».41
Complessivamente è una premessa misurata, priva di ridondanze esplicative, in cui lo scrittore dichiara il proprio debito di riconoscenza nei confronti del poeta. Ma è anche la testimonianza di un’amicizia vera, come confermano le lettere in maniera inequivocabile. In effetti, senza discostarsi dal tono usato in precedenza, l’autore replicherà l’encomio qualche anno più tardi, in lingua francese e in tutt’altro contesto, tanto da farlo apparire quasi una dedica epitestuale. Lo farà ricalcando parole del tutto identiche a quelle pronunciate nella prefazione:
De Vittorio Sereni, la mémoire m’est très chère. Il était − et il est − un grand poète. […] il m’a invité à pubblier mon premier livre de récits, Le Jeu de l’evers. Il a été très important dans ma vie, pas seulement comme poète, mais comme personne.42
Quasi per legge di compensazione per gli elogi dispensati in favore di Sereni, a un giorno esatto dalla morte di Tabucchi, è proprio Alberto Rollo, direttore editoriale della Feltrinelli fino al 2015, a tessere in memoriam le lodi dello scrittore toscano. E nel farlo, non a caso rammenta lo straordinario legame che univa l’autore di Pereira al suo secondo padrino letterario:
Una volta si parlò di Vittorio Sereni. Gli aveva voluto bene, gli riconosceva la virtù sovrana del poeta. C’era qualcosa che, nella mia immaginazione, li avvicinava. Entrambi avevano il gusto del gioco adolescente, gli entusiasmi dell’adolescenza, la sua ferocia. Entrambi protestavano il bene che volevano, e volevano la certezza che si volesse loro bene. Entrambi sortivano da quell’area non addomesticata dell’emozione con l’incanto di un’improvvisa serietà, la serietà dell’immaginazione che li visitava, e li riconsegnava al verso, alla parola.43
È bene soffermarsi un istante sulla caratteristica principale di questa complicità intellettuale descritta come un’intesa ludica un po’ sofisticata. «Entrambi avevano il gusto del gioco» osserva Rollo, nel tentativo di tratteggiare una vicinanza letteraria, accostando così il poeta lombardo allo scrittore toscano. La prima premessa utilizzata per descrivere meglio i punti in comune, nel tentativo di stabilire una somiglianza, è chiaramente il gioco. Esatto: il «gusto del gioco». E qui si potrebbe continuare a cercare conferme, fino ad affermare con estrema serietà, che costoro ebbero entrambi “il vizio del gioco metafisico”.
3. Il gioco, il rovescio e la sua chiave
Si trova custodito presso l’archivio Chiara-Sereni di Luino un documento finora inedito. Una cartolina pieghevole, di fattura pregiata, con una incisione raffigurante Piazza dei Miracoli di una Pisa medievale, recante sul retro una calligrafia riconoscibilissima, con tanto di firma sul margine inferiore destro, vergata a penna stilografica blu:
Caro Vittorio,
stasera la tua stella44 variabile luccica in una cristallina notte vecchianese. Siamo venuti a passare un lungo fine-settimana in Toscana e ti potrò leggere con lentezza e nel silenzio, come mi piace fare. Grazie di esserti ricordato di me. Spero di vederti presto. […] Un caro saluto dal tuo Antonio Tabucchi (Fig. 2.1).45
Seguono i due lati del foglio successivo, di forma rettangolare, lasciati in bianco. Sul secondo, in basso a sinistra, è visibile la dicitura del tipografo a caratteri minuscoli: «ed. Toncelli − Pisa». E sul medesimo rigo, molto distanziato: «Veduta della cattedrale di Pisa». Sul retro invece che è rimasto completamente vuoto, Tabucchi disegna una freccetta in direzione delle parole appena scritte sulla pagina accanto e aggiunge: «P.S. non è un giochetto del [?] rovescio, è solo distrazione» (Fig. 2.2).46
Tra giocatori esperti di “rovescio” forse questo tipo di humour dovrebbe richiamarsi a una reciproca visione del mondo. Si tratta senz’altro di un lessico a loro familiare, di una freddura che allude chiaramente a una metafora fenomenologica ma che conserva allo stesso tempo il tono ludico del private joke. Si può riconoscere infatti, dentro quella ortografia ondeggiante, sospesa in bilico nel vuoto della pagina, il segno distintivo di una intesa filosofica tra sodali; o meglio ancora, forse quel postscriptum è il sintomo stesso di una confidenza a due talmente consolidata, da consentire all’allievo di giocare al maestro un tiro mancino a metà tra il messaggio in codice e la strizzatina d’occhio.
Ma vi è qualcosa in più, passando al setaccio attentamente i versi del poeta o esplorando qua e là tra le righe della prosa tabucchiana, nel tentativo di raggiungere un livello ulteriore di lettura. Ed ecco che scorrendo i titoli di Stella variabile, nel poema intitolato Posto di vacanza compaiono i seguenti versi iniziali:
Un giorno a più livelli, d’alta marea / − o nella sola sfera del celeste. / Un giorno concavo che è prima di esistere / sul rovescio dell’estate la chiave dell’estate. / Di sole spoglie estive ma trionfali. / Così scompaiono giorno e chiave / nel fiotto come di fosforo / della cosa che sprofonda in mare (vv. 1-8).47
Il sintagma «rovescio» e «chiave» lo ritroviamo posizionato, con il medesimo significato, all’interno dell’attacco che dà il titolo al racconto eponimo di Tabucchi. È la voce di Maria do Carmo a pronunciare questa frase enigmatica, osservando appunto l’immagine riflessa nel celebre dipinto Las Meninas di Velásquez. La figura a cui si riferisce è quella di fondo, l’io narrante della vicenda è nel museo El Prado mentre quella voce gli torna alla memoria. E per pura coincidenza il protagonista si trova lì, nello stesso istante in cui la donna sta morendo:
Quando Maria do Carmo Meneses de Sequeira morì, io stavo guardando Las Meninas di Velázques al museo del Prado. Era un mezzogiorno di luglio e io non sapevo che lei stava morendo. Restai a guardare il quadro fino alle dodici e un quarto, poi uscii lentamente cercando di trasportare nella memoria l’espressione della figura di fondo, ricordo che pensai alle parole di Maria do Carmo: la chiave del quadro sta nella figura di fondo, è un gioco del rovescio.48
«La chiave del quadro sta nella figura in fondo» come un «gioco del rovescio», a prima vista sembra un rebus, un cruciverba da risolvere, ma sembra essere soprattutto la fedele rimodulazione in prosa del verso poetico di Stella variabile: «sul rovescio dell’estate la chiave dell’estate». O potrebbe essere viceversa, che l’uno abbia contaminato l’altro, non si sa. In ogni caso è la protagonista del racconto a possedere l’enigma interpretativo del dipinto, l’unica capace di svelare il “risvolto” nascosto sullo sfondo, quella permutazione tra realtà e immaginario, tra essere e apparire, tra interno ed esterno della tela. Se il rovescio è una visione capovolta del mondo, anche Las Meninas si presenta agli occhi di chi guarda, non come un dipinto concepito secondo il punto di vista del pittore, bensì secondo quello dello spettatore che sta posizionato davanti al quadro. In questo senso, i due reali di Spagna, posano davanti alla tela tanto come soggetti quanto come spettatori della stessa, se non addirittura come protagonisti di un’altra rappresentazione dipinta in parallelo all’autoritratto.
Come è noto, nel celebre dipinto Las Meninas (Fig. 3), posizionato ai margini del quadro, per la precisione nell’angolo destro, c’è una figura che si scorge appena, nel punto di fuga rappresentato dal vano della porta. È la sagoma dell’uomo di corte: il ciambellano Don José Nieto, forse parente di Velásquez, posto in second’ordine rispetto alla disposizione delle varie figure centrali. La figura del ciambellano, risulta periferica perfino rispetto a quella di Velázquez, che si autoritrae nell’atto di dipingere, con il pennello in mano, apparendo così all’osservatore come l’immagine riflessa proveniente da uno specchio e non da una tela.
Ciò che nota in particolare Michel Foucault, al di là della accurata disamina degli sguardi e delle loro traiettorie, è il punto in cui cade l’occhio del pittore, il quale, fingendo di fissarsi in uno specchio sembra guardare non più se stesso, ma piuttosto chi lo sta osservando. Un gioco di sguardi dunque,49 che travalica il quadro e va verso l’esterno, fino a riuscire a osservare lo stesso spettatore davanti alla tela mentre osserva. Spettatore il quale, a sua volta, oltre a essere guardato − se non viene ingannato dalle figure centrali − può riuscire a scoprire anch’esso il rovescio del medesimo dipinto, scorgendolo a misura ridotta sullo sfondo.
L’osservatore, così come il lettore dell’ècfrasi tabucchiana, non riesce a capire dove termina la verità e comincia la finzione, è solo il suo punto di vista (fenomenologico) che deve stabilire una linea netta di confine tra l’una e l’altra. Se nel dipinto ci si perde nella teoria di sguardi, nella moltitudine di linee e prospettive variabili, ciò si verifica in parallelo all’interno dello specchio tabucchiano, né più né meno di quanto accade alla figura femminile del racconto eponimo, la quale si rivela un personaggio assolutamente indecifrabile nel duplice gioco della trama: è lei stessa l’enigma, la figura sfuggente che da una parte offre la chiave del dipinto di Velásquez e dall’altra non concede a nessuno una chiave di lettura in grado di decodificarla come personaggio.
È possibile però, che il frammento citato sopra possa contenere nella sua onomastica un doppio significato: il primo è quello anagrafico di Maria do Carmo in quanto personaggio, che corrisponderebbe di fatto al nome iberico di Maria del Carmen. Ma il secondo significato, ancora più recondito e letterale, potrebbe riguardare il concetto di “carme” alla latina, inteso in senso etimologico come poesia. Ipotesi per nulla inverosimile, dal momento che nel testo si allude chiaramente a una poetessa barocca50 e ovviamente a Fernando Pessoa, spesso adoperato come copertura nel messaggio in codice tra le due figure principali del racconto. Pessoa aleggia sempre sullo sfondo della storia, come un intermediario invisibile tra i due, dato che l’incontro clandestino è possibile soltanto dopo aver pronunciato la parola d’ordine ad hoc per aggirare i controlli della polizia di regime: «è uscita una traduzione di Fernando Pessoa»,51 «Pessoa è un genio − diceva Maria do Carmo − perché ha capito il risvolto delle cose, del reale e dell’immaginato, la sua poesia è un juego del revés».52
Ma Pessoa, oltre che cantore di questo enigmatico jogo do reverso, è secondo Tabucchi il poeta fingitore per eccellenza, il poeta degli eteronimi inventati e poi messi a vivere nel mondo, sempre per finzione, come se fossero personaggi veri in carne ed ossa, con una biografia propria, una data di nascita e di morte. Ciascuno con un mestiere, un paese d’origine, tic inclusi: Álvaro de Campos, Riccardo Reis, Bernardo Soares, Antonio Mora, Alberto Caeiro da Silva.53
Passata in rassegna l’affollata galleria pessoiana e consultata la lista dei suoi nomi, la domanda da porsi adesso è la seguente: quali sono i veri tratti dell’identikit caratteriale di Maria do Carmo, quelli della rivoluzionaria anti-salazarista che proteggeva i rifugiati politici, oppure quelli dell’agiata aristocratica con una infanzia dorata in Argentina?
La soluzione del rebus sta probabilmente nelle pieghe criptiche della parola d’ordine enunciata nel racconto: «è uscita una traduzione di Fernando Pessoa». Sembrerebbe questa la chiave di lettura per decifrare meglio il “rovescio” esistenziale di Maria do Carmo. Alla fin fine, che cosa è l’eteronimia per Fernando Pessoa, se non l’immagine riflessa in uno specchio metafisico falsato, di un altro-da-sé mirabilmente reincarnato? Cosa è insomma questa “eteronimia” se non l’anatomia poetica di un corpo estraneo perfino a colui che l’ha messo al mondo?
Ma soprattutto, se dobbiamo intendere la fenomenologia come lo studio dei fenomeni così come appaiono alla coscienza del soggetto e non come si manifestano nella loro fisicità, è del tutto legittimo supporre che l’eteronimia costituisca una variante poetica della fenomenologia e infine, che la contaminazione letteraria dell’alterità pessoiana abbia sedotto quasi certamente sia il poeta di Luino sia il portoghesista traduttore di Una sola moltitudine.
È assolutamente verosimile insomma, che i due si siano lasciati affascinare dal “rovescio”, cioè dall’io inteso come enigmatico risvolto di se stesso. Del resto, che Sereni leggesse l’autore portoghese lo si apprende direttamente dal carteggio: «Tra le mie letture estive c’è naturalmente il tuo Pessoa: impossibile leggerlo qui. Fatti vivo e abbi un caro saluto. Vittorio Sereni».54
Ma ancor prima dei due volumi di Una sola moltitudine, è possibile affermare con certezza che il poeta di Luino aveva già conosciuto gli eteronimi pessoiani attraverso le pagine della rivista “Quaderni Portoghesi”, inviatagli da Tabucchi nel 1977: «spero le sia arrivato il primo numero (dedicato a Pessoa). […] Il numero 2 (sempre su Pessoa) uscirà a giorni, e glielo farò avere. Di Pessoa, che credo Lei amerà, uscirà presto una traduzione (poesie, prose, diari, lettere) che ho curato io per Adelphi».55
Ma ritornando al lemma adoperato da Sereni di «rovescio» e «chiave», bisogna avvertire che prima di arrivare alla versione definitiva, l’inizio della prima quartina di Posto di vacanza negli anni ha subìto svariate stesure: la prima risale nientemeno al 1971. Nei tentativi poetici inziali compare per esempio: «il rovescio dell’estate» ma mancherebbe il concetto di «chiave»: «Oggi di qui ti parlo, / qui capitato per caso e controvoglia / muovendosi sul rovescio dell’estate, tra le sue spoglie / secche e celesti a due passi dal gelo» (vv. 1-4).56
Il gelo come rovescio meteorologico del tempo vacanziero, come perfetta controfigura dell’estate. La teoria degli opposti che si descrivono per negazione o per contrasto. Il concetto di “chiave” invece, non sembra qui presente. È rintracciabile tra i fogli di un rifacimento posteriore: «Ecco − dice porgendola − la chiave dell’estate. / Ma scompaiono lui e chiave / nel breve fiotto di fosforo / della cosa che sprofonda in mare» (vv. 1-4).57
Una volta esaminate le variabili compositive del testo, rimane un altro dubbio in sospeso: Pessoa a prescindere, fenomenologia a prescindere, sarebbe stato Sereni ad aver influenzato Tabucchi o avrebbe quest’ultimo influenzato Sereni? Il dubbio è quello banalmente solito: e cioè, se sia la prosa a influenzare la poesia o viceversa. Da qui l’estremo tentativo di sciogliere il dilemma non più attraverso la disamina dei versi, ma spostando l’analisi sull’autore in carne e ossa, riferendoci direttamente ad alcuni dati biografici che pongono un quesito ulteriore: e se Vittorio Sereni, anziché essere un poeta tout court, fosse un lirico tentato dalla prosa?
Tanto il carteggio con Luciano Anceschi quanto lo scambio epistolare con l’amico Giancarlo Vigorelli conterrebbero elementi biografici rilevanti. Dai fogli emerge un dubbio costante, una perplessità di fondo ed è appunto l’interrogativo di una vocazione poetica continuamente messa in discussione.
Centrale in proposito risulta una lettera del 1940 a Vigorelli, in cui Sereni sembra ridurre la sua poetica a un tentativo di prosa mancata, in cui si parla con disinvoltura di «sbandamento verso il passato», sbandamento dal quale il poeta si sarebbe presto ripreso per tornare lentamente sui suoi passi, o per meglio dire, sui suoi versi. Appare questa lettera come la richiesta di un consulto medico, con la singolarità che l’interlocutore a cui è destinato il sintomo da verificare è un critico letterario. La missiva in questione si chiude brutalmente con un punto di domanda: «ma in questi giorni, mi ritenta la prosa. Brutto segno?».58
È legittimo affermare dunque, che Vittorio Sereni fu un poeta fortemente attratto dalla prosa? Senz’altro sì, dal momento che questa formulazione non appartiene alla sfera delle pure congetture. Le tentazioni della prosa, è il titolo di un progetto editoriale a cura di Giulia Raboni, a cui è stata affidata per prima la catalogazione dell’archivio Sereni, dato successivamente alle stampe con il medesimo titolo e con una prefazione del poeta Giovanni Raboni.59 Non è un mistero quindi, in gioventù e nel dopoguerra Sereni ha scritto prosa quasi parallelamente a testi poetici.60
A partire dagli anni Cinquanta, se non prima − secondo Cordibella − Sereni avrebbe iniziato a interessarsi al romanzo, a interagire con questo genere elaborando anche alcune riflessioni estetiche. I primi tentativi compositivi di Un posto di vacanza coincidono con quel decennio e il successivo. Di conseguenza, i primi esperimenti poetici di Stella variabile prendono forma in questo preciso contesto, in una sottintesa interazione fra i due generi. Anzi, è proprio questa contaminazione a costituire all’interno della silloge la cifra stilistica predominante della scrittura poetica sereniana, in modo particolare nelle composizioni più lunghe e articolate. Tra queste, è senza dubbio da inserire Un posto di vacanza.61
Inoltre, è nel lontano 1962 che Sereni dà alle stampe Gli immediati dintorni,62 una raccolta di brani in prosa, con una prefazione di Giacomo Debenedetti. Opera sottoposta in seguito a una lunga revisione da parte dell’autore e mai definitivamente completata, tanto che il progetto di rifacimento verrà pubblicato postumo a cura della figlia, con il titolo Gli immediati dintorni primi e secondi.63 È curioso notare da un punto di vista cronologico, che i testi di prosa che compongono la raccolta originaria vanno dal dopoguerra fino agli inizi degli anni Sessanta.
Da ciò, si può dedurre chiaramente, che la prosa ha accompagnato e attraversato tutta la carriera letteraria del Sereni poeta. Nel 1980, vale a dire un anno prima de Il gioco del rovescio − e con la medesima casa editrice a cui ha indirizzato Tabucchi, il Saggiatore − il poeta pubblica Il sabato tedesco,64 composto da due racconti di cui il primo risale agli anni Sessanta mentre il secondo apparterrebbe a un’epoca più recente.65
Non solo, è nel decennio dominato dalle neoavanguardie che Sereni rivela apertamente il suo interesse verso le nuove frontiere del racconto e del nouveau roman. D’altra parte Luciano Anceschi, con cui intrattiene una fitta corrispondenza fin dalla prima gioventù, è stato il direttore e fondatore della rivista di letteratura sperimentale per eccellenza, «Il Verri», oltre ad essere l’ispiratore dei Novissimi e poi figura di riferimento per Nanni Balestrini e per tutti gli scrittori della nuova generazione letteraria, praticamente la stessa che confluirà automaticamente nel Gruppo 63.66
Anche la corrispondenza tra Tabucchi e Sereni del resto rivela molto sia del poeta sia dello scrittore. Entrambi, oltre al sentimento di amicizia che li unisce, intraprendono un percorso letterario comune tra curiosità e reciproca contaminazione. Nel darsi appuntamento tra Toscana e Liguria, Vecchiano e Bocca di Magra, Roma e Milano, nel pianificare nuovamente per lettera o per via telefonica possibili rendez-vous, i due riaprono senz’altro un dialogo sulla poesia di Pessoa e sulla prosa del Sabato tedesco e sui primi racconti tabucchiani che uscivano sparsi su riviste letterarie d’avanguardia.
Tutto ciò per dire che molto probabilmente, è in questo lungo processo di sedimentazione estetica tra generi letterari che va collocata la genesi compositiva del poema Un posto di vacanza; un testo in versi, perennemente in bilico tra prosa e poesia, una composizione a rime sciolte che tanto rassomiglia a un prestito narrativo. L’intera lirica, concepita e ambientata da Sereni a Bocca di Magra, non fa altro che esplorare con lo sguardo una zona di confine: il limite estremo tra Toscana e Liguria «nel punto, per l’esattezza, dove un fiume entra nel mare».67 Ecco, è proprio in quel punto tanto esatto quanto inconsistente che il poeta osserva il mondo, come fa lo spettatore tabucchiano: dall’altra parte della riva, nell’al di qua di una linea geografica invisibile.
È dunque alla luce della Stella variabile sereniana che va riletto Il gioco del rovescio e viceversa: due testi con un intento comune, due opere letterarie che seguono un medesimo destino, due autori che perseverano nel medesimo esperimento. Da una parte Tabucchi, che riconosce in Sereni un maestro prestigioso, e dall’altra il poeta maturo che si sente attratto da nuove forme di racconto e dalla prosa dell’allievo più giovane. Da un lato insomma, la prosa come genere letterario “che dice” e dall’altro la poesia, che fa del silenzio la sua legittima epifania.
È nelle pieghe di questa riflessione che va riletto l’enigma di Maria do Carmo (Maria del Carme, Maria della Poesia) e così molti altri rebus della metafisica tabucchiana: da intendersi cioè, come rebus di pura e semplice affabulazione dell’indicibile, dell’irriferibile in chiave di racconto, o per meglio dire, come racconti in prosa contaminati da un altro genere di epifania. Durante un’intervista a proposito di Stella variabile il poeta chiarisce:
Detto in parole molto povere queste stelle variano nell’intensità della loro luce, o addirittura scompaiono nel cielo, a seconda della posizione rispetto alla terra. Su questo tema della variabilità, della contraddizione, delle cose come ti appaiono e del loro rovescio, si è formato tutto il libro.68
Tutto ciò non si discosta molto dal paratesto tardivo che accompagna la riedizione de Il gioco del rovescio, in cui vengono riepilogati i temi delle storie in esso contenute. La sequenza delle storie che compongono il libro − spiega Tabucchi − sembrano essere legate a una scoperta: «l’essermi accorto un giorno, per le imprevedibili circostanze della vita, che una certa cosa che era “così” era invece anche in un altro modo».69 Ragionando poi sul racconto eponimo, l’autore ammette senza mezzi termini che il «suo spirito modella tutti gli altri in un’analoga visione delle cose».70
Come preciserà Tabucchi in un saggio pubblicato su «Micromega» nel 1996, riferendosi ai primi anni Ottanta del Novecento:
Il rovescio era un modo di vedere la vita adottato da pochissime persone. […] Il mio amico Vittorio Sereni era forse una di queste e nell’81 pubblicò quei racconti. Ancora oggi sono convinto che ci fosse sotto una visione non tanto politica ma esistenziale e ontologica: il revers era un modo di leggere la realtà che ci circondava.71
A. C.
Note
1 A. Tabucchi, Piazza d’Italia, Milano, Bompiani, 1975.
2 Id., Il piccolo Naviglio, Milano, Mondadori, 1978.
3 Id., Il gioco del rovescio, Milano, il Saggiatore, 1981.
4 A questa altezza cronologica Tabucchi ha all’attivo due romanzi inediti (La bottega dei fischi e Lettere a capitano Nemo), inoltre ha già pubblicato dei racconti nella rivista «Il Caffè»: Le macchine probabili, nel numero 3-4 del 1971, pp. 90-109 (ristampato in «Micromega», 3, 1995, pp. 69-93); Cambio di velocità, nel numero 2 del 1972, p. 12; La ragazza di Asip, nel numero 5-6 dello stesso anno, pp. 100-2.
5 Intervista ad Antonio Tabucchi, a cura di B. Ferraro, in «La rivista dei libri», settembre 1993, pp. 7-8.
6 La prima edizione de Il gioco del rovescio, Milano, il Saggiatore, 1981, contiene i sei racconti originali, la seconda edizione apparsa nel 1988 edita da Feltrinelli presenta tre nuovi racconti: Il gatto dello Chesire, Vagabondaggio, Una giornata a Olimpia.
7 Tabucchi vinse il premio letterario L’inedito nel 1975.
8 A. Tabucchi, La mia amicizia con Mascioni, Quaderni Grigioniitaliani, 73, 2004, p. 130.
9 La locandina, che si trova nell’archivio privato Antonio Tabucchi di Lisbona, mi è stata gentilmente messa a disposizione dalla vedova dello scrittore, Maria José de Lancastre.
10 Cfr. S. Guarnieri, L’ultimo testimone, Milano, Mondadori, 1989, p. 160.
11 G. Bondaver, Elio Vittorini, letteratura in tensione, Firenze, Cesati, 2008, pp. 58-59.
12 Lettera di Tabucchi a Sereni, del 25 gennaio 1977, Archivio Chiara-Sereni, Luino.
13 Lettera di Sereni a Filippini, del 13 luglio 1982, ivi.
14 Lettera di Tabucchi a Sereni, del 26 novembre 1977, ivi.
15 Il 6 gennaio 1980 il poeta Sereni scrive all’amministratore delegato de il Saggiatore, Laura Boselli, in riferimento alla scelta de Il gioco del rovescio usando queste parole: «In ogni caso lo scrittore c’è e a mio parere avrà un avvenire», cfr. T. Rimini, Notizie sui testi, in A. Tabucchi, Opere, a cura di T. Rimini, vol. i, Milano, Mondadori, 2018, pp. 1479-602, la cit. è a p. 1506.
16 Cfr. T. Rimini, Dalla Toscana alle falesie atlantiche e ritorno, in «Filologia e Critica», xxxix, 2014, pp. 382-421, p. 383.
17 G. Ferretti, Caro Niccolò, Caro Vittorio. Storia di un sodalizio, in Vittorio Sereni, un altro compleanno, a cura di E. Esposito, Ledizioni, Milano, 2014, pp. 315-25, la cit. è a p. 321.
18 A. Tabucchi, Lettere a capitano Nemo, in Opere cit., vol. ii, pp. 715-812.
19 T. Rimini, Dalla Toscana alle falesie atlantiche e ritorno cit., p. 388.
20 Rimini, Dalla Toscana alle falesie atlantiche e ritorno cit., p. 387.
21 Ead., Notizie sui testi cit., p. 1503.
22 Tabucchi scrive la parola Rotta, maiuscolo, in corsivo, perché vuole alludere al titolo inizialmente concepito per Il piccolo naviglio, che sarebbe stato La rotta. In questo senso, l’allontanarsi dalla rotta significava in qualche modo un nuovo approdo, una svolta definitiva del suo modo di concepire la letteratura.
23 Lettera di Tabucchi a Sereni, del 26 novembre 1977, Archivio Chiara-Sereni, Luino.
24 Lettera di Tabucchi a Sereni del 27 settembre 1979, ivi.
25 Lettera di Tabucchi a Sereni, dell’8 novembre 1979, ivi.
26 «Caro Tabucchi, avevo ripresto col Saggiatore il discorso che riguarda Capitan Nemo, ma al momento non si sa più a chi sia rimasta l’altra copia del testo. Se puoi spedirmene una nuova, compresa l’appendice che mi hai mandato a suo tempo sarebbe meglio. Come già ti ho accennato, non posso dirti niente di sicuro, eccetto la mia attenzione» (lettera di Sereni a Tabucchi, del 30 gennaio 1980, ivi); vedi anche Rimini, Dalla Toscana alle falesie atlantiche e ritorno cit., p. 388.
27 Lettera di Tabucchi a Sereni, del 10 febbraio 1980, Archivio Chiara-Sereni, Luino.
28 F. Pessoa, Una sola moltitudine, a cura di A. Tabucchi e M. José de Lancastre, Milano, Adelphi, 1979.
29 Lettera di Tabucchi a Sereni, del 10 febbraio 1980, Archivio Chiara-Sereni, Luino.
30 Ibid.
31 Lettera di Tabucchi a Sereni, del 22 maggio 1980, Archivio Chiara-Sereni, Luino.
32 Rispettivamente usciti in «Paragone», xxix, 360-62, febbraio-aprile 1980, pp. 14-25, e in «Il Cavallo di Troia», 1, inverno 1981, pp. 17-27. Il secondo racconto pubblicato su questa rivista (4, inverno-primavera 1982-1983, pp. 91-96) è intitolato Tre lettere. Passato composto.
33 Cartolina di Tabucchi a Vittorio Sereni, Levanto, 7 febbraio 1981, Archivio Chiara-Sereni, Luino.
34 Lettera di Tabucchi a Sereni, del 7 settembre1981, ivi.
35 Cfr. Tabucchi, Opere cit., vol. i, Milano, Mondadori, 2018, pp. 382-95.
36 V. Sereni, Stella variabile, Milano, Garzanti, 1981.
37 Lettera di Tabucchi a Sereni, databile fine gennaio 1982, Archivio Chiara-Sereni, Luino.
38 Lettera di Tabucchi a Sereni, databile fine gennaio 1982, ivi.
39 Rimini, Notizie sui testi cit., p 1507.
40 Lettera di Tabucchi a Sereni, del 1° gennaio 1983, Archivio Chiara-Sereni, Luino.
41 Tabucchi, Il gioco del rovescio cit., p. 5.
42 P. Deville, B. Comment, Pour Tabucchi, Les Rencontres de Fontevraud, 8-9 Mais, Meet, 2009, p. 146.
43 A. Rollo, Antonio muore, online su https://www.doppiozero.com/materiali/ricordi/antonio-muore, 26 marzo 2012.
44 Si riferisce alla raccolta poetica Stella variabile, data di stampa 1981, ma come detto uscita in libreria l’anno successivo.
45 Lettera di Tabucchi a Sereni, del 5 febbraio 1982, Archivio Chiara-Sereni, Luino.
46 Ibid.
47 Sereni, Poesie cit., p. 223.
48 Tabucchi, Opere cit., vol. i, p. 317.
49 M. Foucault, Le parole e le cose, Milano, Rizzoli, 1967, pp. 18-19.
50 «Il poliziotto sfogliò attentamente il mio passaporto, viene spesso nel nostro paese, disse, cosa ci trova di tanto interessante? La poesia barocca, risposi. Come dice?, mormorò. Una signora, dissi io, una signora con un nome bizzarro, Violante do Céu. È bella? chiese lui con malizia. Forse, dissi io, è morta da tre secoli ed è sempre vissuta in un convento, era una monaca» (Tabucchi, Il gioco del rovescio cit., p. 13).
51 Ivi, p. 19.
52 Ivi, p. 13.
53 Id., L’automobile, la nostalgia e l’infinito. Su Fernando Pessoa, Palermo, Sellerio, 2015, pp. 103-7.
54 «La collezione delle Silerchie avrà un ritardo nel suo inizio: comincerà nel prossimo inverno, il che complica alquanto le cose, però è un progetto che io tengo in caldo per quanto ti riguarda. In ogni caso avremo occasione di riparlarne, spero presto. Tra le mie letture estive c’è naturalmente il tuo Pessoa: impossibile leggerlo qui. Fatti vivo e abbi un caro saluto. Vittorio Sereni» (lettera di Sereni a Tabucchi, del 6 giugno 1979, Archivio Chiara-Sereni, Luino).
55 Lettera di Tabucchi a Sereni, del 26 novembre 1977, ivi.
56 D. Isella, Apparato critico e documenti, in V. Sereni, Poesie, Milano, Mondadori, 1995, pp. 266-888, in partic. p. 735.
57 Ivi, p. 736.
58 Ivi, p. 330
59 G. Raboni, Le tentazioni della prosa, Milano, Mondadori, 1998.
60 Ivi, pp. vii-viii.
61 Cfr. G. Cordibella, Di fronte al romanzo, Contaminazioni nella poesia di Vittorio Sereni, Bologna, Pendragon, 2004, p. 48.
62 V. Sereni, Gli immediati dintorni, Milano, il Saggiatore, 1962.
63 Id., Gli immediati dintorni primi e secondi, a cura di M. T. Sereni, Milano, Il Saggiatore, 1983.
64 Id., Il sabato tedesco, Milano, il Saggiatore, 1980.
65 Cordibella, Di fronte al romanzo cit., p. 50.
66 Ivi, p. 62.
67 Sereni, Poesie cit., p. 223.
68 A. Del Bo Boffino, Il terzo occhio del poeta, in «Amica», 28 settembre 1982; vedi anche Isella, Apparato critico e documenti cit., p. 665.
69 Tabucchi, Il gioco del rovescio cit., p. 5.
70 Ibid.
11 Id., Catullo e il cardellino, in «MicroMega», 2, 1996, pp. 121-25, la cit. è a p. 123.