Ludovica Ripa di Meana
Impregiudicata*
Leggo dalla nota I.1-104:
Tutti ... spenta: inizio tradizionale con presentazione e descrizione fisiognomica del protagonista, non affidata però al solo narratore ma a una pluralità di voci (una «collettività fabulante», 872-3). Nella quarta delle Note costruttive di CdD...
Perché io, qui, tra studiosi insigni riuniti intorno a una monumentale opera scientifica? I miei studi scolastici si fermano alla quinta ginnasio. Sono un’intrusa di ottantatré anni che testimonia come una passione bruciante per il racconto, per i racconti − ogni genere di racconto − possa consentire non solo un piacere inesauribile che dà senso e indirizzo alla vita, ma anche di incrociare, con il proprio, grandi destini.
Gadda, Contini. E, tessuto in trentatré anni di giorni e di amore, Vittorio. Più quanti (Guido Neri, Gian Carlo Roscioni...), quanti altri! che mi hanno stupito, nutrito, cambiato e consolato, lungo i decenni, con il loro pensiero, il loro lavoro con e su le parole. Due nomi iniziali nel lavoro editoriale: sono stata il soldato semplice (praticamente l’intero esercito) di Giorgio Bassani per Feltrinelli, di Elio Vittorini per Mondadori. Insomma, per merito di ognuno di questi tanti altri, mi sono ritrovata a essere un’analfabeta che per percezione, e facendo tesoro dell’offerta, capisce tutto (quasi? tutto) della letteratura, che non ha paura di niente, che si avventura, ancora oggi, dove non avrebbe nessun titolo, nessuno strumento per accedere. Così, in questo senso, ho avuto una vita bellissima. Contini diceva di me che ero «impregiudicata»: forse è perché continuo a esserlo che, sempre in questo senso, la mia vita continua bellissima.
E veniamo a oggi. Antonietta Terzoli e il suo editore Carocci, mi, ci hanno fatto dono, a me e a Vittorio Sermonti, del Commento al Pasticciaccio. Ho confessato ad Antonietta, ringraziandola, che non sarei stata in grado di affrontare un lavoro così vasto e complesso. Solo a guardarlo capivo che troppo mi sarebbe sfuggito. Il Pasticciaccio lo avevo letto due volte e un po’: la prima alla sua uscita nel 1957, la seconda dopo una decina di anni; un po’ con Gadda, a Gadda, quando andavo a trovarlo per tenergli compagnia nell’ultimo anno. Una lettura, quella del Pasticciaccio, che mi aveva stupefatta, eccitata, travolta.
Ma, per amicizia ammirata per Antonietta e per l’antica passione di quella ventiquattrenne stordita da tanta grandezza, mi sono messa a leggere l’Introduzione; i Cappelli introduttivi del Commento nel I e II volume; la Tavola Bibliografica delle abbreviazioni e delle sigle; il Commento iconografico scorrendo immagine per immagine, cartina per cartina; gli Indici: onomastico e topografico, delle opere di Gadda, delle immagini, delle cartine; insomma tutto, salvo il commento ai dieci capitoli che compongono il testo.
A quel punto, ho fatto una prova: come fosse un libro appena comprato, mi sono messa a leggere di seguito, da pagina 139 a pagina 189, il commento intero del secondo capitolo, quello dell’assassinio di Liliana Balducci e dello sguardo di Ingravallo sul suo cadavere straziato, più Coro. Lì per lì ho pensato che Antonietta e i suoi compagni di ventura, sulla falsariga dell’indagine di Ingravallo e degli altri, ripercorrevano la stessa metodologia e una simile esperienza conoscitiva; e che Gadda, a sua volta, aveva indagato loro tutti (e tutti noi) con le parole e la lingua germinale del suo racconto; e che vivere è, di fatto, un’indagine che a un certo punto s’interrompe, sempre incompiuta. Un’indagine stratigrafica che sembra − è? − inesauribile; «...indagatori di destini più che di delitti», chiosa Antonietta Terzoli con semplicità adamantina. E invece.
Invece, la lettura del commento al secondo capitolo si è rivelata un romanzo nuovo, strano, a sé, contagioso di mille altri saperi, pandemico, che non volevo finisse perché moltiplicandosi mi moltiplicava. E quando, subito dopo, ho riletto il secondo capitolo del Pasticciaccio, quelle pagine mi erano intime, lievi, non mi costavano fatica; penetrando in ogni poro della coscienza io diventavo quella lettura, quella scrittura, non per un processo di identificazioni successive, ma perché ero sempre stata sia Gadda, che Liliana, che Ingravallo, che Angeloni, che il Molise, che il Torraccio... Sì, hai popolato il mondo, moltiplicandoti nella storia narrata. A questo, credo, serve il Commento: con la sua indagine che attiva gli ingredienti più assortiti (ah, le pozioni di Medea!), con la sua indomita vitalità, il Pasticciaccio − messo per così dire alle corde − consente, a te lettore, di essere con naturalezza simultanea un capolavoro e il suo autore.
E, anche, mi sono ritrovata a essere un roveto ardente di gratitudine: che pazienza archeologica, che devozione alla lingua, che generosità instancabile per tentare di raggiungere l’irraggiungibile orizzonte da cui sorge senza tramontare il genio di Gadda! Ho cercato di immaginare, in questo lunghissimo tempo di ricerca (tra prima e durante, una decina d’anni?), i trasognamenti, i travisamenti, le fissazioni, i nervosismi, gli entusiasmi, gli scacchi, le scoperte inaspettate, le desolate stanchezze, le molliche poi i sassolini per ritrovare ogni volta la strada, intorno a un unico nucleo esistenziale: quel tessuto narrativo e i suoi segreti, le sue trappole, le sue dilazioni e deviazioni, le ibridazioni mostruose e battesimali, ragione unica del proprio essere lavorativo per anni... E gratitudine per l’eroismo degli affini che hanno patito, senza alcun ritorno personale, tutto questo. Uno lo conosco, è Klaus: come hai fatto a sopportarla? Merito anche tuo. Grazie Antonietta, con i tuoi prodi; grazie a Carocci per la cura e la bellezza della stampa, dei volumi e per la loro sorprendente leggerezza rispetto alla stazza minacciosa. Grazie, perché so che lì dentro mi aspettano altri nove romanzi. È strano.
L. R. D. M.
Nota
* Il testo che qui si pubblica è l’intervento pronunciato da Ludovica Ripa Di Meana a Roma, a Palazzo Firenze (Sala del Primaticcio), presso la sede centrale della Società Dante Alighieri, il 29 ottobre 2015, in occasione della presentazione di M. A. Terzoli, Commento al ‘Pasticciaccio’ di Carlo Emilio Gadda, Con la collaborazione di V. Vitale (Roma, Carocci, 2015). Costituisce quindi una sorta di epitesto dell’opera. Gli altri relatori della serata, coordinata da Giovanni Di Peio, erano Alberto Asor Rosa, Luca Serianni e la sottoscritta.
M. A. T.