Il decimo libro di lettere dedicatorie di diversi (Bergamo 1603)
a cura di Anna Laura Puliafito
Il decimo libro di lettere dedicatorie di diversi curato da Comino Ventura esce dalla sua tipografia bergamasca nel 1603. Si compone di 26 carte contenenti quattordici dediche, cui va aggiunta una carta non numerata che offre, come di consueto, l'indice dei Personaggi, a' quali sono dedicate le Lettere e quello degli Autori delle Dedicazioni.
Nel 'consacrare' il volume all'arciprete della Cattedrale di Bergamo, monsignor Giovan Battista Moiolo (1558-1630), Ventura coglie l'occasione per ritornare sui motivi che lo hanno spinto a realizzare la raccolta e sui criteri che devono ispirare la scelta di un dedicatario. Ogni dono, per essere gradito, deve rispondere a un criterio di «conformità» tra le parti: di qui la scelta di offrire ciascuno dei «diversi drappelli» che riuniscono le dediche volgari «a qualche raro soggetto» della società bergamasca, a maggiore gloria della patria e perché i libri si facciano «stromento» della difesa della pace, da cui dipende in larga misura la felicità umana. La famiglia Moiolo appare in questo senso un'ottima scelta, non solo per la tradizione che la caratterizza, ma anche per la figura del monsignore, esempio di vita e di dottrina.
Apre la raccolta (cc. 3r-5v) la celebre dedicatoria del Cortegiano di Baldassarre Castiglione a don Miguel de Sylva, vescovo di Viseo, in Portogallo, e nunzio apostolico, poi cardinale dal 1541 (Il libro del cortegiano del conte Baldesar Castiglione, In Venetia, nelle case d'Aldo Romano, & d'Andrea d'Asola, 1528). Per un'analisi del testo, già più volte oggetto della critica, rimando al contributo pubblicato in «Margini», 5, 2011.
Se la dedica al De Sylva si distingue per il suo valore prefatorio, perfettamente iscritta nella logica della ricerca di protezione è l'offerta (c. 6r-v) di Giovan Battista Cavazza del suo Anello matrimoniale all'Arciduca Alberto d'Austria e a sua cugina, l'Infanta di Spagna Donna Isabella d'Absburgo (cfr. «Margini», 4, 2010), in occasione delle loro nozze, nel 1599 (L'anello matrimoniale. Trattato di Gio. Battista Cavaccia bolognese dottor di leggi, In Milano, per Francesco Paganello, 1599). Apertamente dello stesso tenore è la dedica che padre Aurelio Corbellini, accademico Intento già più volte evocato nel corso della descrizione della raccolta del Comino e dedicatario del Settimo libro delle Lettere (cfr. «Margini», 6, 2012; e sopra, Libro nono; vd. anche «Margini», 1, 2007), indirizza al compagno di Accademia don Celso Adorno, religioso molto vicino a Carlo Emanuele I di Savoia, cui vanno i Componimenti poetici (Componimenti poetici in lode della gloriosa vergine Maria. Di f. Aurelio Corbellini agostiniano osseruante nell'Academia de gl'Intenti detto l'Ammirante, In Pavia, per Andrea Viani, 1598, cfr. c. 7r-v). Come sottolineato nella dedica, i Componimenti vanno a completare la Ghirlanda, pubblicata dal Corbellini nello stesso anno (Ghirlanda in lode della santissima Vergine, madre di Dio contesta da f. Aurelio Corbellini di San Germano, agostiniano osservante della Congregatione di Lombardia […], In Pavia, per Andrea Viani, 1598). Ancora del Corbellini è la dedica a Giovan Pietro e Lodovico Zurla di una raccolta di versi originariamente composti in occasione dell'elezione a Vicario Generale degli Agostiniani Osservanti (1592) del loro congiunto Ippolito Zurla da Crema (cc. 25v-26v). Si tratta della Corona Poetica con dodeci sonetti, et cento Madrigali le segnalate qualità, et doti d'Hippolito esprimenti, hormai dal Mondo tutto con riverente ammiratione inchinante, che alcune fonti secondarie indicano pubblicata nel 1600, ma che non mi è stato per ora possibile rinvenire in nessuna biblioteca. Il Corbellini afferma nella lettera che si tratta di rime che hanno avuto larga circolazione manoscritta e che - secondo un topos molto diffuso - egli avrebbe dato finalmente alle stampe avendone trovate in circolazione copie molto scorrette.
Al cardinale Ascanio Colonna (cfr. già «Margini», 4, 2010) viene offerta da Battista Guarini (cc. 8r-9v) la prima edizione del suo Segretario (Il segretario dialogo di Battista Guarini nel quale non sol si tratta dell'ufficio del segretario, et del modo del compor lettere, ma sono sparsi infiniti Concetti alla Retorica, alla Loica, & alle Morali pertinenti. All'illustriss. et reverendiss. Cardinal Colonna dedicato. Con Privilegio, In Venetia, Appresso Ruberto Megietti, 1594). La prima parte della dedica (c. 8r-v) celebra la grande stagione dei segretari e consiglieri di stato richiamando i grandi protagonisti della corte di Spagna, di Francia e della corte papale, capaci di intendere e «maneggiare» i pensieri dei loro signori così come i medici esperti riescono a «governare» i corpi dei loro pazienti, e dunque scelti dai loro signori per «scrivere i loro concetti» sulla base di una profonda affinità di natura.
È lo stesso autore, Aldo Manuzio jr., ad offrire (cc. 10r-11r) la ristampa delle sue Locutioni al giovane Claudio Pozzi, conosciuto per tramite di Lelio Gavardo, prevosto di San Zeno a Pavia e procuratore dei Manuzio insieme al fratello per il controllo delle loro terre di Carpi (Locutioni dell'epistole di Cicerone scielte da Aldo Manutio: utilissime al comporre nell'una, e l'altra lingua. Con due copiosissime tauole, per trovare le materie, nel libro contenute, In Venetia, [Aldo Manuzio il giovane], 1575).
La piccolezza del dono è il tema che domina l'offerta di Clemente Pucciarini della sua Brandigi al Granduca di Toscana Ferdinando de' Medici (cc. 11v-12v). Pucciarini dichiara il suo poema «da molti biasimato; essendo non in parte, ma tutto impensatamente, & senza alcun principio di buon fondamento fatto»; in effetti, afferma, esso è opera non di poeta, ma di soldato, cominciato per «passa tempo» a Venezia e poi continuato nei cinque anni passati a Candia. Per questa sua «corrotta e sconcia orditura, con si basso e rozzo stile», nato dal suo «mal consigliato proposito», egli cerca ora sicurezza all'«ombra» del Granduca. Il poema in terza rima, concepito come continuazione dell'Orlando furioso, conobbe in realtà due edizioni: la prima, in quattordici canti, del 1596 (Brandigi del capitan Clemente Pucciarini, aretino […] Nuouamente dato in luce, In Venetia, appresso Gio. Antonio Rampazetto, 1596); la seconda, accresciuta di quattro canti, del 1602 (Brandigi del capitano Clemente Pucciarini, Aretino, Poema che continua la materia dell'Ariosto di nuovo ristampato con le annotazioni, e figure al principio de' canti, In Venetia, appresso Gio. Antonio Rampazetto, 1602). Entrambe le stampe recano la stessa dedica, datata 1596.
Un altro «(se ben abortivo) parto di poco fecondo ingegno» è il volume dei Giuochi che Matteo Bordonia offre nel 1602 a Filippo Emanuele di Savoia in occasione delle nozze di Enzo Bentivoglio, suo «forte guerriero e saggio consigliere» e Caterina Martinengo, figlia di Francesco Martinengo, generale della cavalleria veneziana (cc. 14r-15r). Si tratta del Dialogo de' giuochi fatti da cavaglieri bergamaschi, in honore dell'eccellentiss. sig. conte Francesco Martinengo generale della caualleria venetiana, nelle nozze della sig. Catherina sua figluola, col signor Entio Bentiuoglio. Di Matteo Bordonia dottor di leggi, In Bergamo, per Comin Ventura, [1602].
Quasi a insistere sul topos dell'autoumiliazione del dedicante, che con sommo affetto offre un dono di infimo valore per far risaltare maggiormente in tal modo la generosità del dedicatario, Comino inserisce nella raccolta (cc. 15v-16v) la lettera a Giulio Cesare Ricardi - arcivescovo di Bari e nunzio pontificio presso la corte sabauda dal 1595 al 1601 - che Francesco Antonio Olivero premette all'edizione dei suoi sonetti (Alquanti sonetti del signor Francesco Antonio Olivero [...] estratti d'altre sue rime a diuerse persone, in diuerse occasioni, & in varij soggetti, In Torino, appresso Gio. Domenico Tarino, 1601). Come spiega lo stesso autore, si tratta di un nucleo originario di sonetti scritti in occasione dell'elezione di Clemente VII al Soglio pontificio. Sono composizioni parte in onore del nuovo papa, parte di argomento spirituale e morale, cui si sono andati aggiungendo versi scritti in diverse occasioni. Il giovane Olivero, che dichiara apertamente di essere uno sconosciuto agli occhi del prelato, esprime grande fiducia nel possibile appoggio di questo «novo, e divino Mecenate», sebbene, come ammette egli stesso, sia inusuale e appaia contrario alla ragione «che il favore preceda il merito».
In questo Decimo libro ritorna anche la dedica di una delle Novelle di Ascanio de' Mori (cfr. «Margini», 6, 2012). Si tratta questa volta della quindicesima e ultima del primo libro, offerto nel suo complesso a Vincenzo Gonzaga, principe di Mantova e del Monferrato (Prima parte delle nouelle di Ascanio de' Mori da Ceno, In Mantoua, per Francesco Osanna, 1585). Come noto ciascuna delle Novelle del Mori presenta una dedica propria. Nel primo libro l'autore si rivolge in genere a membri di casa Gonzaga, o de' Medici, tranne nel caso della quarta novella, offerta a Ferdinando, arciduca d'Austria, e di quest'ultima appunto, dedicata agli Accademici Invaghiti di Mantova (cc. 13r-14r). La dedica promette ai cavalieri la descrizione della potenza dell'amore, in termini che sembreranno loro difficili da credere «quando non siano ritrovatesi sotto il dolce, et in uno amaro giogo del possente fanciullo, et non siano ritrovatesi ben' allacciate, et istrette da' suoi forti nodi a gioire nella Serenità del Sole delle loro donne, et a languire nelle fosche, et tenebrose nebbie di quello».
Già nel Libro settimo (cfr. «Margini», 6, 2012) due dediche avevano portato l'attenzione sulla città di Ragusa e su alcune figure di spicco della società letteraria e politica dalmata. Ciò avviene nuovamente con la scelta della lettera che Belisario Malaspalli indirizza a Domenico Aurio, ragusano attivo all'università di Padova di cui diviene rettore (cc. 17r-20r). In questo caso la dinamica dell'offerta del dono appare dapprima rovesciata: Malaspalli, che si definisce «huomo di natione Slavo» e «di professione marinaresca», racconta infatti di aver ricevuto in dono qualche anno prima da Aurio stesso «l'oratione recitata nella Città di Lesena […] da Frate Vincenzo Pribevo» intorno all'«origine» e i «magnanimi fatti della natione Slava». Si tratta di un'orazione latina di Vinko Pribojevic, teologo domenicano nato nell'isola di Lesina, l'odierna Hvar (Oratio fratris Vincentij Priboevij sacrae theologiae professoris ordinis praedicaturum De origine successibusque Slauorum,Venetiis, per Ioanem Antonium & fratres de Sabio, 1532). Onorato di questo dono, Malaspalli racconta di aver portato con sé il libretto per mare, e di averlo letto con grande dedizione e diletto durante i lunghi mesi passati in navigazione. Fatto ritorno in patria, a Spalato, per importanti questioni famigliari, egli decide di mettere a frutto la lettura fatta e la conoscenza dell'italiano acquisita durante i suoi numerosi soggiorni soprattutto in Toscana, in particolare a Pisa e a Lucca. Ciò lo spinge a intraprendere, al di là delle possibili riserve dei puristi, la traduzione dello scritto («con fermo proponimento, che mi dovesse giovare questa fatica a conservarmi quella poca intelligenza, ch'io m'ho acquistato di quella lingua») da dare infine alle stampe. Ne viene il volumetto intitolato Della origine et successi de gli Slaui oratione. Di m. Vincenzo Pribevo dalmatino da Lesena, gia recitata da lui nella medesima città et hora tradotta dalla lingua latina nell'italiana da Bellisario Malaspalli da Spalato, In Venetia, presso Aldo, 1595. Il traduttore si pregia di offrirla ad Aurio, in cui egli vede risplendere tutta la «Magnificenza Ragusea».
Di argomento storico sono anche i due volumi che Antonio Maria Spelta, poeta e storico pavese, offre a Guglielmo Bastoni, da poco nominato vescovo di Pavia (cc. 20v-22v; 23r-24r). Riflettendo sulla «lunga consuetudine già passata in vigor di legge» di proteggere, con la dedica, i propri scritti «dagli acuti, et velenosi dardi delle lingue malvagie, et invidiose della gloria altrui», Spelta afferma di aver goduto dei favori del prelato già negli anni che lo vedevano attivo presso la corte pontificia, e di volergli offrire, «per suo diporto», una Historia che contiene anche i «santi e memorabili fatti de' suoi predecessori, nella Santa vita de' quali, come in lucidissimo Cristallo, potrà comodamente specchiarsi». Il volume in questione è l'Historia d'Antonio Maria Spelta, cittadino pauese, De' fatti notabili occorsi nell'vniuerso, & in particolare del regno de' Gothi, de' Longobardi, de i duchi di Milano, & d'altre segnalate persone, dall'anno di nostra salute 45, sino al 1597. Nel qual tempo fiorirono i vescoui, che ressero la Chiesa dell'antichissima, e real citta di Pauia, le cui vite breuemente si narrano. Con una nuoua aggiunta dell'istesso autore dall'anno 1596, sino al 1602, In Pauia, appresso Pietro Bartoli, 1602. Come dichiarato nel titolo, l'opera venne redatta e pubblicata in tempi successivi. La seconda delle due dediche presentate dal Comino è datata 1602 e si riferisce appunto all'aggiunta (La curiosa e dilettevole aggionta del Sig. Ant. Maria Spelta, cittadino pavese, all'Historia sua, nella quale oltra la vaghezza di molte cose, che dall'Anno 1596, fino al 1603, s'intendono, sono anco Componimenti arguti, da quali non poco gusto gli elevati spiriti potranno prendere, In Pavia, Appresso Pietro Bartoli, 1602, Ad Istanza di Ottavio Bordoni Libraio). Nella lettera, ispirata ai motivi topici, Spelta sottolinea la sua scelta di offrire alla stessa persona quella che considera una 'seconda parte' dell'opera: «ho giudicato molto ispediente raccomandar questa aggiunta a V.S. Illustriss. imperocche fu sempre mio istituto di riprendere il costume di quelli, i quali compartendo un volume in più libri, quello a Mecenati diversi dedicano. Come che se d'una Figlia molti Generi si facessero. A V. S. Illustrissima diedi la prima parte; a quella medesimamente consacro la Seconda».
L'ultima dedica da segnalare è quella di Cornelio Bellanda a Luigi Bini (cc. 24v-25r). Frate minore attivo a Verona, Bellanda afferma di essersi in genere esercitato non «nell'arte, o scienza, che vogliamo dire, del predicare», ma nella «cognizione delle cose di Natura». Egli aggiunge di avere tuttavia ceduto alle «honeste voglie» del Bini che gli chiedeva di pubblicare i suoi «spirituali ragionamenti, a salute delle anime». Ne è risultato il Viaggio spirituale, nel quale, facendosi passaggio da questa vita mortale, si ascende alla celeste. Diuiso in dieci varii soggetti, & ragionamenti spirituali. Del r. p. Cornelio Bellanda, di Verona, dell'ordine Minore, Conventuale, In Venetia, [Aldo Manuzio il giovane], 1578. L'opera ebbe un certo successo, tanto da essere riproposta per i tipi di Francesco Osanna a Mantova nel 1579 e, di nuovo, a Venezia, presso Aldo Manuzio, nel 1592. Tanto l'edizione 1578 che quella 1592 presentano in realtà due dediche dell'autore: la prima a Paolo Tiepolo, Procuratore di San Marco, non datata; la seconda, al Bini, datata «di Venetia, al primo di Marzo, 1578». L'edizione del 1592 sembra invece presentare unicamente una dedica dell'Osanna, editore ducale, a Marc'Antonio Gonzaga vescovo di Casale (cfr. «Margini», 5, 2011).
Bibliografia
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• Hierarchia catholica medii et recentioris aevi [...]. Volumen tertium [...] inchoavit G. Van Gulik, absolvit C. Eubel, Suptibus et typis Librariae Regensbergianae, 1923, p. 129; Volumen quartum [...] per P. Gauchat, Monasterii, ibid., 1935, p. 110.
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A. L. P.