17, 2023
 
Saggi    
 
Abstract


Muriel M. S. Barbero

Il dialogo con i testi letterari nei disegni di Michelangelo:
un'analisi tipologica




Una delle peculiarità della produzione grafica michelangiolesca è rappresentata dalla frequenza con cui la parola scritta si insinua nello spazio dell'immagine. Circa un terzo dei fogli considerati autografi di Michelangelo ospita al suo interno elementi sia figurativi, sia testuali.1 Accanto a studi anatomici, schizzi architettonici e abbozzi di figure, Michelangelo appunta infatti frequentemente parole sciolte, brevi frasi sconnesse, porzioni più o meno estese di poesie proprie o altrui, in una sorta di magmatico tutt'uno plurimediale in cui predomina lo stato di frammento. La funzione di questi elementi testuali nel contesto figurativo non è sempre chiara. In alcuni casi, la compresenza dei due mezzi espressivi pare semplicemente dovuta all'abitudine, ben documentata nei fogli michelangioleschi, di riutilizzare la carta, spesso anche a distanza di anni, riempiendo ad esempio con schizzi e studi anatomici gli spazi vuoti in calce alle brutte copie di missive, contratti o abbozzi di poesie; o viceversa, provando una combinazione di parole o fissando un'ispirazione poetica negli spazi vuoti tra schizzi di varia natura. In altri casi, invece, gli accostamenti sembrano più mirati e deliberati, e la parola scritta entra in risonanza con l'immagine a livello sia visivo, sia concettuale. Questa pratica ha certamente a che fare con il fatto che Michelangelo, oltre che artista, è stato anche poeta: l'uso combinato o alternato di testo e immagine riflette infatti proprio questo aspetto della sua creatività, in cui all'urgenza rappresentativa del disegno si affianca continuamente quella espressiva della parola. In alcuni fogli "misti" è particolarmente evidente come le due attività siano spesso portate avanti di pari passo da Michelangelo, saltando dall'una all'altra, sovrapponendo l'una all'altra, arrivando in alcuni casi quasi a trasformare l'una nell'altra, laddove la scrittura sembra diventare essa stessa un elemento grafico, mimetizzandosi nel contesto figurativo e venendone quasi assorbita. È questo il caso di un foglio della Hamburger Kunsthalle (fig. 1) dove la la grafia svolazzante dei frammenti testuali si confonde con le linee fluide di alcuni disegni e scarabocchi, quasi Michelangelo stesse sperimentando un uso grafico e figurativo della scrittura.2 In questo senso, i fogli "misti" rappresentano un osservatorio privelegiato per comprendere il processo creativo dell'artista e dello scrittore, come una sorta di finestra aperta sulla sua mente. L'accostamento di parola e immagine, che costituisce una peculiarità della produzione grafica michelangiolesca soprattutto alla luce delle modalità con cui si manifesta e dell'estensione che assume in rapporto all'opera di altri artisti, rappresenta un oggetto di studio ancora relativamente nuovo: pioniere di questo tipo di indagine è stato Leonard Barkan, con la sua monografia Michelangelo. A life on paper, pubblicata nel 2011, cui ha fatto seguito, nel 2013, lo studio di Oscar Schiavone, Michelangelo Buonarroti. Forme del sapere tra letteratura e arte nel Rinascimento, nel quale la plurimedialità che caratterizza una vasta porzione dei fogli autografi dell'artista è considerata una manifestazione tangibile di quello che lo studioso definisce «un pensiero magmatico pre-linguistico», ovvero un insieme di «concetti astratti, che partecipano di una nozione intellettuale comune tra l'espressione figurata e quella poetica o verbale».3 Questo concetto, forse un po' tortuoso, mette però in evidenza un elemento fondamentale per l'analisi proposta in queste pagine, ovvero il concorrere delle due discipline nell'atto creativo. Di particolare interesse per illustrare questo fenomeno è l'uso della citazione letteraria nei disegni michelangioleschi. Questi tipo di fogli "misti" meritano infatti a mio parere di essere considerati un gruppo a parte e di essere analizzati singolarmente, in quanto la pratica della citazione è espressione di un diverso tipo di esigenza creativa e svolge una funzione completamente diversa rispetto agli altri tipi di testo presenti nei disegni (come i messaggi rivolti agli allievi, agli abbozzi di lettere o poesie, o le parole e i pensieri sciolti appuntati qua e là dall'artista ecc.). Le citazioni non sono infatti frutto dell'urgenza creativa dell'artista, ma sono l'equivalente testuale di uno studio di figure copiate dall'opera di un altro artista, come quelli che Michelangelo realizza negli anni giovanili a partire dagli affreschi di Masaccio nella Cappella Brancacci (fig. 2).4 Sono parole e discorsi altrui, fissati sul foglio per essere ponderati, assorbiti, utilizzati come modello o ispirazione, forse anche per evocare immagini e stati d'animo che Michelangelo sente la necessità di avere davanti a sé nel momento in cui lavora a certe figure o a certi temi.
1. La pratica della citazione nelle lettere Per comprendere meglio il significato della citazione letteraria nell'opera grafica di Michelangelo ci può essere di aiuto volgere uno rapido sguardo alla sua corrispondenza epistolare: qui l'artista si serve infatti in più occasioni di citazioni petrarchesche per veicolare messaggi allusivi ai propri interlocutori. È il caso ad esempio di due missive inviate a Vittoria Colonna e a Cornelia Colonnelli, rispettivamente nel 1538-1541 e nel 1557, nelle quali l'artista inserisce il verso petrarchesco «Mal fa chi tanta fe' sì tosto oblìa» (RVF 206, v. 45).5 La citazione è scelta con estrema cura, dato che essa veicola una sorta di colto e scherzoso rimprovero alle due donne, che per diverse ragioni avevano entrambe espresso il timore di non avere più il favore Michelangelo. Questo verso, posto nel primo caso come chiusura ad effetto della missiva e, nel secondo, come una sorta di intestazione, non solo racchiude e sintetizza in modo aforistico il succo di quello che Michelangelo esprime in modo più articolato nelle due lettere (ovvero che le due donne fanno male a mettere in dubbio la sua devozione e il suo affetto), ma chiamando in causa allusivamente un testo petrarchesco che si rifà al genere trobadorico dell'escondit ("discolpa"), ha anche la funzione di dichiarare in generale il tono apologetico delle due missive, nonché di far capire tra le righe alle due donne la profondità della sua amicizia, attraverso l'immedesimazione iperbolica con l'amante petrarchesco.6 In un'altra lettera del dicembre del 1532, questa volta indirizzata a Tommaso de' Cavalieri, Michelangelo utilizza similmente una citazione petrarchesca per far comprendere a Tommaso la profondità del proprio affetto, il potere e l'effetto che il giovane ha su di lui e forse anche per spiegare il significato dei disegni mitologici di cui gli aveva fatto dono in questo periodo (in particolare la Caduta di Fetonte e il Ratto di Ganimede). Il verso «la penna al buon voler non può gir presso», citato questa volta nel corpo della missiva, pur riferendosi − a un livello puramente semantico − all'impossibilità di esprimere tutto ciò che l'artista vorrebbe all'interno della lettera, non può infatti non evocare a livello allusivo il tema della canzone di provenienza, la 23 del Canzoniere, detta anche la "canzone delle metamorfosi". In questo testo Petrarca descrive gli effetti del suo amore per Laura come una serie di metamorfosi sul modello di quelle ovidiane. E non sarà un caso che tra i personaggi mitologici evocati nella canzone siano presenti sia Fetonte sia Ganimede, ovvero due dei personaggi mitologici al centro delle rappresentazioni dei così detti presentation drawings che Michelangelo realizzava per il Cavalieri proprio in quegli stessi mesi. In poche parole, con questa citazione Michelangelo fornisce a Tommaso una velata chiave di lettura per interpretare non solo i termini del loro rapporto, ma anche il significato dei disegni a tema mitologico di cui gli faceva dono.7 Da questo piccolo excursus sull'attività epistolare dell'artista emerge un aspetto fondamentale della pratica della citazione in Michelangelo, che ci sarà utile per capirne la funzione in alcuni dei fogli che verranno analizzati più avanti: non di rado, quando Michelangelo cita un verso o una serie di versi, lo fa con l'idea di evocare, attraverso di essi, un aspetto o una tematica del testo di partenza non esplicitamente evocato nella parte citata. La citazione insomma deve funzionare come una sorta di messaggio in codice di cui solo chi conosce il testo di partenza riesce a cogliere a pieno il significato. Tenendo a mente questa abitudine, si può ora passare all'analisi concreta dei fogli autografi che ospitano disegni e citazioni letterarie al loro interno.
2. La pratica della citazione nei disegni La maggior parte dei fogli interessati dal fenomeno della citazione è databile ai primi anni del 1500, periodo in cui viene generalmente collocato, sulla scorta della testimonianza di Condivi, l'inizio dell'attività poetica michelangiolesca: «Se ne stette alquanto tempo quasi senza far niuna cosa in tal arte [l'arte figurativa], dandosi alla lezione de' poeti e oratori volgari e a far sonetti per suo diletto, finché, morto Alessandro papa Sesto, fu a Roma da papa Giulio Secondo chiamato [i.e. 1503]».8 In effetti, la maggioranza delle citazioni presenti sui fogli michelangioleschi provengono dai due grandi capolavori e modelli della letteratura volgare italiana, la Commedia di Dante e il Canzoniere di Petrarca, con una netta prevalenza del secondo,9 e sono probabilmente il frutto di uno studio e di una meditazione assidui su questi testi. Come per gli altri tipi di interazioni iconico-verbali presenti sui fogli michelangioleschi, anche nei fogli che includono citazioni i significati e le funzioni variano: mentre in alcuni casi testo e immagini sono totalmente irrelati e l'accostamento sul foglio appare casuale, in altri si può rintracciare un legame più o meno forte che suggerisce un'intenzionalità. Di seguito verranno illustrati tutti i casi esistenti, a partire dai fogli in cui l'interazione testo-immagine è inesistente o minima, per poi passare via via agli esempi in cui gli scambi sono più significativi.
3. Fogli dove citazioni e immagini non interagiscono L'autografo conservato alla Casa Buonarroti (inv. 6A; fig. 3) rappresenta un esempio di riuso della carta. Databile secondo Charles De Tolnay agli inizi del Cinquecento a causa della grafia dei frammenti di testo presenti, il foglio contiene schizzi architettonici di varia natura (arcate, scale, una finestra) e difficilmente riferibili a un progetto noto.10 Sul margine destro del foglio, con orientamento opposto a quello dei disegni, a cui sono parzialmente sovrapposte, si leggono le parole «Fantuzi / amicho mio charo» seguite da due quartine del sonetto petrarchesco RVF 236:
Signore, io fallo e veggio el mio fallire,
ma fo com'uom che arde e 'l foco ha 'n seno,
ché 'l duol pur cresce, e la ragion vien meno
ed è già quasi vinta dal martire.

Sole' spronare el mio caldo desire
per non turbare el bel viso sereno:
non posso più; di man m'ha' tolto il freno,
e l'alma disperando ha perso ardire.11
Il testo, trascritto probabilmente a qualche anno di distanza dalla realizzazione dei disegni,12 presenta alcune varianti rispetto all'originale di Petrarca, di cui le più significative sono l'apostrofe iniziale, che Petrarca rivolgeva ad Amore, e qui invece è variata in «Signore», e l'apertura del verso cinque, che nell'originale leggeva «Solea frenare».13 Quest'ultima variante è particolarmente interessante, in quanto rovescia completamente il messaggio di questi versi. È difficile determinare se le variazioni siano da ricondurre semplicemente a errori occorsi citando il testo a memoria, o se siano invece state volontariamente inserite da Michelangelo per adattare i versi alle proprie necessità espressive, e forse usarli come punto di partenza per una propria poesia.14 Ciò che è certo è che la trascrizione di questi versi, in un periodo in cui Michelangelo stava iniziando a muovere i suoi primi passi come poeta, è riconducibile a un'attività di studio e meditazione sul grande modello dei Fragmenta. Come nota De Tolnay, infatti «le riprese petrarchesche sono tipiche dell'attività poetica giovanile di Michelangelo», come vedremo anche nel seguito.15 Un'altra citazione petrarchesca, sempre riconducibile agli anni di studio letterario di inizio Cinquecento, si trova su un foglio conservato al Louvre di Parigi (inv. 714r; fig. 4). Questo autografo è stato molto discusso per via del curioso endecasillabo autobiografico posto sul margine destro del foglio, in cui Michelangelo sembra comparare sé stesso alla figura di David: «Davitte colla fromba e io coll'arco / Michelagnolo».16 Questo verso entra infatti in risonanza con lo schizzo sul lato sinistro, che è stato riconosciuto unanimenmente come un disegno preparatorio per la statua bronzea (oggi perduta) del David con la testa di Golia ai suoi piedi, commissionata nel 1502 dal Maresciallo francese Pierre de Rohan.17 Alcuni studiosi hanno perfino ipotizzato che il verso fosse destinato a essere iscritto sul piedistallo della statua,18 ma è più probabile che si trattasse semplicemente di una giocosa riflessione privata. In ogni caso, si tratta di un perfetto esempio del modo in cui testo e figurazione possono interagire sui fogli michelangioleschi. Ma sul lato destro del foglio, all'altezza della spalla del braccio che occupa la parte centrale (probabilmente uno studio per il braccio del David marmoreo, concepito e realizzato nello stesso giro d'anni), è presente anche un'altra iscrizione, sebbene in posizione ancillare rispetto alla precedente: si tratta di una citazione dell'incipit del sonetto 269 del Canzoniere, bruscamente interrotta dal margine della pagina: «Rott'è l'alta colonna e 'l verd[e lauro]». Nel sonetto, Petrarca lamenta la morte dell'amico Giovanni Colonna, evocato metaforicamente nel testo come una colonna marmorea, e dell'amata Laura, che invece è rappresentata dal lauro. Sul significato di questa citazione in relazione agli altri elementi grafici e testuali presenti sul foglio si è molto speculato, a volte con qualche eccesso interpretativo: la «colonna» potrebbe rappresentare secondo Barkan il masso marmoreo in cui viene scolpito il David, mentre il «lauro», parola mancante ma presente in absentia, potrebbe essere un riferimento velato a Lorenzo il Magnifico, a cui Michelangelo ripensa nel periodo della realizzazione del monumento repubblicano che è il David.19 Sebbene questa relazione tematica non sia del tutto da escludere, mi pare che la citazione abbia qui una funzione molto più precisa e tecnica, legata non tanto al tema dei disegni, ma piuttosto alla composizione del verso autobiografico in alto. Se si accostano i due versi, infatti, ci si accorgerà della forte somiglianza ritmica e fonica: entrambi sono endecasillabi a maiore, in cui sia le parole alla fine del primo emistichio («fromba» e «colonna»), sia quelle in chiusura del verso («l'arco» e «lauro») sono fonicamente collegate, se non addirittura assonanti. Ma le affinità foniche non terminano qui: c'è infatti la consonanza delle parole con cui i due versi iniziano («Davitte» e «rotta») e l'allitterazione di col- tra le parole alla fine del primo emistichio («colla fromba» e «colonna»). Mi pare dunque che qui la citazione petrarchesca sia servita prima di tutto come esempio su cui modellare la scansione metrica e la trama fonica del proprio verso: un processo tutt'altro che singolare data la tendenza di Michelangelo poeta, molto ben descritta da Girardi, a derivare da Petrarca «le strutture portanti, le linee costruttive fondamentali» che servono a organizzare i propri concetti poetici.20 Un caso simile, in cui la citazione serve ai fini dell'elaborazione poetica piuttosto che come punto di partenza per il disegno o come riflessione su temi a esso legati, è rappresentato dal già citato foglio conservato alla Hamburger Kunsthalle (inv. 21094; fig. 1). Qui, accanto al disegno di una testa ideale con un elaborato cimiero che occupa il centro del foglio, in uno spazio vuoto sulla destra, Michelangelo appunta parte dei due versi iniziali di un altro sonetto petrarchesco in morte di Laura (RVF 340): «Dolce mio caro [e prezioso] pegno / che natura mi to[lse, e 'l Ciel mi guarda]». Anche in questo caso la citazione risulta tagliata dal margine del foglio, e appare scollegata dagli altri elementi, tra cui frammenti di testo sparsi in modo disordinato e sconnesso («Antonio», «Signor Alessandro», «Non bisogna», «Amore», «amicho»), schizzi di parti anatomiche, volti modellati con un fine tratteggio, e vari scarabocchi e figure disegnate con rapidi tratti.21 La stessa posizione della citazione, compressa nell'unico spazio vuoto disponibile, indica che si tratta di un caso di riuso del foglio, e che l'inserimento è avvenuto in un secondo tempo rispetto ai disegni. La presenza e collocazione di «amico» appena sotto alla parola «pegno» porta inoltre a credere che Michelangelo stesse qui proponendo una sorta di variante al testo petrarchesco, che doveva dunque servire ancora una volta da "impalcatura" o punto di partenza per una propria composizione poetica, similmente incentrata sul tema della morte. L'ipotesi sembra confermata dalla datazione di Tolnay ai primi anni del Cinquecento, che riconduce anche questo documento al periodo dell'apprendistato poetico michelangiolesco.22 Un caso singolare è rappresentato dal foglio conservato agli Uffizi (inv. 621 E r; fig. 5), di datazione più tarda rispetto ai precedenti (attorno agli anni Venti del Cinquecento). La citazione presente su questo foglio è infatti in latino: un'occorrenza quanto mai rara, considerando che esiste solo un altro caso in cui Michelangelo cita un testo latino sui suoi fogli di lavoro. Di nuovo, siamo chiaramente di fronte a un caso di riuso multiplo della carta: l'elemento più antico è l'iscrizione nella parte bassa del foglio, che riporta, in una calligrafia quattrocentesca, il nome completo del padre di Michelangelo: «Domino Lodovico di Lionardo di Buonarroto Simoni».23 In un secondo momento, probabilmente a distanza di anni, sono stati realizzati i disegni ruotando il foglio di 90° verso sinistra. Questi hanno un carattere scherzoso e disimpegnato, e saranno presumibilmente serviti ad allietare «allegre riunione di amici»:24 la figura centrale, più definita, rappresenta un putto intento a orinare in una tazza; direttamente sotto di essa, due figure di putti, uno a cavalcioni sulle spalle dell'altro, sono appena delineati con tratti veloci. Vari altri scarabocchi e esercizi di tratteggio sono sparsi qua e là. Infine, ruotando di nuovo il foglio nella posizione originale, Michelangelo ha riutilizzato nuovamente la carta per due iscrizioni, appuntate l'una direttamente sotto l'altra senza soluzione di continuità, pur non avendo (almeno in apparenza) nessuna relazione. La prima è una citazione petrarchesca atipica, perché in latino: si tratta dell'incipit di un'elegia su Valchiusa, contenuta nella Fam. xi 4: «Valle lochus clausa toto michi nullos in orbe». La seconda è un criptico messaggio rivolto a uno sconosciuto amico o allievo: «Io vi priegho che voi non mi facciate disegniare stasera perché e' non c'è el Perino». Questo riferimento a Gherardo Perini, giovane allievo di Michelangelo, permette di datare i disegni attorno agli anni venti del Cinquecento, e conferma l'uso di questo foglio di lavoro nel contesto amicale della bottega − uso ribadito anche dai disegni sul verso che sono in parte di mano di un allievo.25 L'unico elemento estraneo pare proprio essere la citazione, che non solo chiama in causa un discorso letterario di tono grave e nostalgico in un contesto chiaramente scherzoso e frivolo, ma lo fa per di più utilizzando il latino, la lingua dei dotti. La citazione potrebbe dunque essere qui intesa in senso ironico o addirittura parodico: se la si legge in relazione con il messaggio che la segue − quasi ne fosse un'epigrafe, come abbiamo visto essere in uso nelle lettere di Michelangelo26 − emerge infatti un comune significato, ovvero il desiderio di un fruttuoso isolamento. Nel verso che segue quello citato da Michelangelo, Petrarca descrive infatti la solitaria Valchiusa come "il luogo più gradito e più appropriato per gli studi" («Valle locus Clausa toto mihi nullus in orbe / gratior aut studiis aptior ora meis»). Michelangelo potrebbe dunque alludere ironicamente all'isolamento della propria abitazione, in assenza degli allievi, come alla propria personale Valchiusa, invitando la persona a cui il messaggio è indirizzato a non disturbare la quiete dei propri studi.27 La composizione e l'invio del messaggio su un foglio pieno di scherzosi disegni realizzati in compagnia degli allievi potrebbe in questo contesto servire a dimostrare la distrazione rappresentata dal lavoro non solitario. L'elegia petrarchesca potrebbe inoltre intrattenere un legame tematico, seppur flebile, con i disegni riportati sul foglio in quanto, nei versi successivi a quello citato, Petrarca rievoca la propria fanciullezza. Ma questo legame appare troppo forzoso per essere volontario.
4. Fogli in cui citazioni e disegni interagiscono Il foglio degli Uffizi appena analizzato intrattiene strette relazioni tematiche con un altro autografo conservato al J. Paul Getty Museum di Los Angeles (fig. 6), e che potrebbe risalire allo stesso periodo.28 Anche su questo foglio sono rappresentati infatti dei putti in atteggiamenti giocosi e erotici, e anche qui è presente un verso petrarchesco, questa volta in italiano, tratto dalla celebre canzone 126 del Canzoniere: di nuovo una poesia in cui il paesaggio idillico valchiusano è protagonista. Il verso citato è il 27, ma è riportato in modo incompleto da Michelangelo, che elimina deliberatamente il «forse» finale («Tempo verrà ancor [forse]»), conferendo maggiore certezza all'affermazione. È interessante notare come in questo caso la citazione sia posta quasi al centro del foglio, appena sopra i disegni e con lo stesso orientamento, nonostante ci sia ampio spazio ai margini. Il testo si integra così visivamente nella composizione, toccando addirittura le linee di contorno di una figura difficilmente decifrabile sulla destra. Questa posizione sembra suggerire un deliberato tentativo di creare una relazione tra il testo e l'immagine. È tuttavia difficile comprenderne l'intento. Forse la chiara nota nostalgica del verso, accentuata ulteriormente dal rinvio implicito al testo di partenza − una struggente canzone che parla di perdita e di ricordi − potrebbe anche in questo caso essere collegato al tema della fanciullezza evocato nei disegni: un tempo idillico e spensierato per cui l'artista, disegnando questi putti che giocano, prova un momento di nostalgia che lo porta a ricordare il celebre testo pertrarchesco e a utilizzarne le parole per esprimere il proprio sentimento. Un possibile legame tra testo e immagine è rintracciabile anche in un foglio conservato all'Archivio Buonarroti di Firenze (vol. II-III, fol. 3v; fig. 7) e datato al 1501 per via del commento al contratto stipulato con il Cardinal Piccolomini per la commissione di quindici statue del Duomo di Siena che occupa il recto. Naturalmente questo non rappresenta che un terminus post-quem per le altre scritte e i disegni presenti sul verso del foglio, che può essere stato riutilizzato ad anni di distanza. In particolare, sul verso è presente un messaggio di mano del fratello di Michelangelo, Buonarroto, in cui si parla di un «oltraggio». Questo testo, scritto in una calligrafia concitata e difficilmente leggibile, risalirebbe secondo alcuni studiosi al 1508, anno in cui la famiglia Buonarroti stava attreversando un momento di crisi.29 Questa datazione o una di poco più tarda è probabilmente valida anche per gli schizzi che si sovrappongono in parte al messaggio. Con tratti rapidi e sottili, Michelangelo rappresenta in basso a sinistra una mano nell'atto di disegnare, al centro un paio di gambe in posizione dinamica che Tolnay descrive come un passo di danza e, a destra, una figura intera vista da dietro.30 Quest'ultima presenta una torsione della parte superiore del corpo e sembra avere le braccia legate o incrociate sul davanti. La posizione ricorda vagamente quella dei prigioni che in questi anni Michelangelo inizia a progettare e realizzare per la tomba di Giulio II (si veda in particolare Lo schiavo ribelle; fig. 8). Due iscrizioni nella grafia allungata di Michelangelo sono infine parzialmente sovrapposte ai disegni: la prima è un endecassilabo di invenzione dell'artista («la voglia invoglia e lassa poi la doglia»),31 mentre la seconda è una citazione dal secondo capitolo del Triumphus Mortis petrarchesco: «La morte è 'l fin d'una prigione scura» (TM ii 34). Si tratta dell'unica occorrenza in cui Michelangelo cita i Trionfi, il che fa presumere che la scelta avesse particolare rilevanza. Entrambe le scritte sembrano posteriori ai disegni, perché disposte in modo da evitare il più possibile i contorni delle figure. Entrambe evocano inoltre un tema penitenziale, una riflessione sul peccato della carne, concepita platonicamente come prigione dell'anima. Se davvero la figura sulla destra fosse, come si è ipotizzato, un disegno preparatorio, ancora vago, per un prigione, la citazione petrarchesca entrerebbe in forte risonanza con il disegno. Il verso infatti riassume esattamemente quello che secondo Erwin Panofsky sarebbe il significato neoplatonico della tomba progettata per Giulio II, dove i prigioni del registo inferiore stanno appunto a rappresentare la prigionia dell'anima nel corpo fisico e la vita dei sensi (fig. 9).32 In questo foglio dunque, la citazione letteraria potrebbe essere servita a Michelangelo per fissare attraverso il discorso altrui un'idea che l'artista intendeva sviluppare nella creazione figurale. Lavorando sul tema neoplatonico della prigionia terrena, le parole di Petrarca sorgono spontaneamente nella sua mente e si impongono sul foglio. Un simile procedimento è ravvisabile in un altro foglio dello stesso periodo, conservato al Louvre di Parigi (inv. 688v; fig. 10), dove tra schizzi di figure e di parti anatomiche variamente orientati,33 nella parte bassa, proprio sotto i piedi della figura centrale, è trascritta la prima quartina del sonetto RVF 271:
L'ardente nodo ov'io fu' d'ora in ora,
contando anni ventuno ardendo preso,
morte disciolse; né già mai tal peso
provai, né credo ch'uom [...]
La leggera variazione rispetto del testo petrarchesco, dove al posto di «ardendo» si legge «interi», induce a pensare che Michelangelo stia qui citando a memoria. Anche questa volta i versi, che trattano della metaforica prigionia amorosa del poeta, terminata soltanto con la morte dell'amata, entrano in risonanza con l'immagine del prigione alla sinistra del testo (probabilmente uno schizzo preparatorio per Lo schiavo morente del Louvre; fig. 11). Questo disegno sarebbe stato realizzato secondo Tolnay con lo stesso tipo di inchiostro con cui sono scritti i versi, ed è quindi probabilmente contemporaneo.34 Dato che il tema della morte come liberazione dalla prigionia del corpo fisico è al centro del progetto iconografico della tomba di Giulio II, la citazione può essere vista anche in questo caso come una fonte di ispirazione per il disegno realizzato a fianco o l'espressione verbale del concetto che Michelangelo si stava sforzando di imprimere nella sua opera. Le parole di Petrarca, indipendentemente dal fatto che siano state trascritte prima o dopo la realizzazione del disegno, sono la fissazione di un'idea la cui contemplazione è resa necessaria dalla stessa esigenza creativa che presiede alla stesura del disegno. Ulteriore conferma di questo modus operandi, in cui le citazioni sembrano essere selezionate e inserite nel contesto del disegno per evocare un certo tipo di pensieri e di emozioni necessari alla composizione delle figure, può essere trovata in altri due fogli, databili anch'essi all'inizio del Cinquecento. Il primo, conservato al Louvre (inv. 685r; fig. 12), è dominato dallo studio per una Sant'Anna metterza riconducibile ai tondi realizzati in questo periodo.35 Nella parte bassa sono presenti schizzi meno dettagliati di un profilo e di un nudo, quest'ultimo tracciato con un diverso orientamento del foglio. Si tratta probabilmente di disegni aggiunti in un secondo momento. Sono invece contemporanee alla Sant'Anna metterza le iscrizioni di mano di Michelangelo sul margine destro. La prima è una frase enigmatica, che sembra essere un commento del disegno che la affianca: «Chi dire' ch'ella f[ia] di mie mano»; poco più sotto è citato l'inizio del primo verso della celebre canzone 129 del Canzoniere: «Di pensier in pensier [...]»; ancora più in basso, appena sotto il piede sinistro della Madonna, è infine trascritta una libera traduzione dal Salmo 112: «Laudate parvoli / el Signore nostro / laudate sempre».36 Le iscrizioni hanno la stessa direzione di lettura dell'immagine principale, e anche se si trovano sul margine, come se l'artista stesse semplicemente riusando il foglio del disegno per alcuni esperimenti poetici, il loro contenuto entra in dialogo con l'immagine che affiancano. La citazione dal Salmo, oltre ad avere in comune con l'immagine la tematica religiosa, sembra ricollegarsi a essa anche attraverso il riferimento ai «parvoli» che sono invitati a lodare il Signore, qui rappresentato a sua volta come un bambino. L'iscrizione sottolinea così la funzione devozionale dell'immagine, che vuole essere un invito alla preghiera. La citazione petrarchesca sembra dal canto suo descrivere proprio il processo di libere associazioni che ha luogo sul foglio: Michelangelo si muove qui vagando, come vaga l'innamorato Petrarca, «Di pensier in pensier» o, potremmo dire, "di disegno in parola". Anche su un foglio del British Museum (inv. BM 1895-9-15-496; fig. 13) un disegno a tema religioso (probabilmente lo studio per una delle statue degli apostoli commissionate per Santa Maria del Fiore nel 1503)37 è accompagnato dalla citazione di un salmo, il 53, questa volta in latino: «Deus in nomine / tuo salvum me fac». La citazione, che si trova esattamente sopra l'immagine dell'apostolo, sulla sinistra del foglio, ha anche lo stesso orientamento ed è scritta con lo stesso inchiostro. Le parole del salmo entrano così in relazione con il disegno a livello sia visivo, sia tematico, servendo quasi da descrizione del carattere e del pensiero dell'apostolo, un uomo che mette la propria salvezza nelle mani di Dio in un estremo atto di fede. Ancora una volta, Michelangelo passa fluidamente dall'uno all'altro mezzo espressivo, cercando di fissare un'idea che è al tempo stesso fatta di forme e di concetti: è questa l'espressione del «pensiero magmatico» di cui parla Schiavone.38 I due fogli appena trattati costituiscono gli unici due casi in cui Michelangelo citata versi dalla Sacra Scrittura e non da opere letterarie, e il fatto che in entrambi i casi questo avvenga in concomitanza con la rappresentazione di soggetti sacri è significativo. Gli ultimi due casi di citazione nei fogli "misti" michelangioleschi riguardano però di nuovo un'opera letteraria: la Commedia di Dante. Il primo è un foglio di lavoro con schizzi di figure e parti anatomiche, conservato al Louvre (inv. R.F. 1068v; fig. 14) e datato per ragioni stilistiche intorno al 1501-1506: sulla destra del foglio, con un orientamento di lettura opposto rispetto allo spettatore, si vede lo schizzo di un braccio per la statua del David o del San Matteo.39 Sotto al braccio si trovano scritte le seguenti parole: «In omo dio tusse' / In pensier.», probabilmente l'abbozzo per una poesia. In alto, sopra il braccio, si intravede un volto barbuto appena accenato con rapidi tratti di penna, che secondo Tolnay sarebbe uno studio per la statua del Mosé, databile attorno al 1505-1506 e aggiunto al foglio in un secondo momento.40 Sulla sinistra del foglio è infine presente una figura intera di uomo nudo dalla posa precaria e contorta. Proprio tra questo nudo e il braccio, girando il foglio di 180°, si legge la citazione del verso dantesco «Raccoglietele al piè del tristo ciesto» (Inf. xiii 142). Il verso è certamente stato inserito dopo i disegni: Michelangelo va infatti a capo in mezzo alla parola «ciesto» per evitare la sovrapposizione con il nudo sulla destra. Ma perché incastonare il verso tra i disegni con tutto lo spazio disponibile ai margini del foglio? E perchè proprio questo verso − certamente non tra i più belli e significativi della Commedia? Per provare a rispondere occorre risalire al contesto da cui è tratta la citazione. Il canto xiii dell'Inferno è dedicato ai suicidi, la cui pena per non aver rispettato il proprio corpo in vita è di passare l'eternità sotto forma di alberi e arbusti, venendo continuamente lacerati dalle arpie. Il verso citato da Michelangelo nel disegno fa parte del discorso pronunciato da un suicida sconosciuto (forse l'avvocato fiorentino Lotto degli Agli), che prega Dante di radunare ai piedi del suo cespuglio i rami strappati. Come nel caso delle lettere di Michelangelo,41 anche qui la citazione potrebbe servire a evocare "per sineddoche" l'intero canto XIII, a cui l'artista sembra particolarmente interessato per il tema della trasformazione umana in albero.42 Questa tematica si ritrova in effetti in due disegni dei primi anni Trenta del Cinquecento, entrambi realizzati come dono per Tommaso de' Cavalieri: la Dannazione di Tizio e la Caduta di Fetonte (figg. 15-16). Nella Dannazione di Tizio, in particolare, la presenza di un albero antropomorfo, dotato di occhi e bocca, è un'aggiunta completamente arbitraria, che non ha niente a che vedere con l'iconografia tradizionale di questo soggetto. Si tratta quindi con ogni probabilità di un elemento dantesco che Michelangelo inserisce qui a suo piacimento, forse semplicemente per accennare all'ambientazione infernale.43 Nella Caduta di Fetonte, la rappresentazione delle Eliadi che si trasmutano in alberi è invece riconducibile alla fonte ovidiana, con la probabile mediazione petrarchesca della canzone RVF 23.44 È tuttavia interessante che il nudo alla sinistra della citazione da Inferno XIII sul foglio del Louvre, se osservato nella stessa direzione di lettura del testo, presenti notevoli somiglianze con la figura di Fetonte che precipita (fig. 17). Il soggetto di questo studio di figura non è mai stato identificato con certezza: la posa è stata associata all'Amman crocifisso della Sistina, ma anche a un Ganimede o a uno dei figli del gruppo del Laocoonte.45 Si potrebbe dunque trattare di uno di quei nudi "versatili" che Michelangelo riutilizza in molteplici contesti, modificandone di volta in volta alcuni particolari. Se così fosse, non si può escludere che, negli anni in cui lavorava ai disegni mitologici per il Cavalieri − tra cui figurava anche un Ratto di Ganimede − Michelangelo abbia ripreso in mano questo schizzo a trent'anni di distanza, e rivolgendo il foglio di 180° abbia utilizzato questa figura come punto di partenza per disegnare Fetonte che cade. Ed è a questo punto che sarebbe stata aggiunta la citazione dantesca al centro del foglio, per fissare sulla carta una fugace associazione tra il canto dantesco e il soggetto del disegno che si accingeva a realizzare: la caduta di Fetonte con le Eliadi trasformate in alberi. La seconda citazione dalla Commedia è invece inserita in ben altro contesto: non un foglio di lavoro, ma un disegno finito, un cosiddetto presentation drawing, dove la citazione partecipa in modo sottile e deliberato al messaggio complessivo dell'opera. Si tratta della Pietà realizzata attorno agli anni Quaranta del Cinquecento per Vittoria Colonna (fig. 18). Nel disegno, Maria è seduta ai piedi della croce con il corpo senza vita di Cristo accasciato in grembo e sorretto da due angioletti senza ali. Sul braccio verticale della croce, di cui non si vede la parte superiore, si legge il verso dantesco «non vi si pensa quanto sangue costa» (Par. xxix 91). Il verso fa parte di un'invettiva pronunciata da Beatrice contro chi distorce e travisa il messaggio delle Sacre Scritture, dandone intricate e fallaci interpretazioni che nullificano il sacrificio di chi, per la diffusione della parola di Dio nel mondo, ha dato la propria vita e il proprio sangue:
      Voi non andate giù per un sentiero
filosofando, tanto vi trasporta
l'amor dell'apparenza e 'l suo pensiero;
    e ancor questo qua sù si comporta
con men disdegno che quando è posposta
la divina Scrittura o quando è torta:
    non vi si pensa quanto sangue costa
seminarla nel mondo e quanto piace
chi umilmente con essa s'accosta
     (Par. xxix 85-93).46
Se il riferimento nel testo dantesco è, come segnalano i commenti,47 al martirio in senso lato di tutti coloro che hanno perso la vita per la fede, è chiaro che nel disegno di Michelangelo l'accento è spostato specificamente sul sacrificio di Cristo qui rappresentato.48 Il verso serve quindi da monito a riflettere − anche grazie alla contemplazione del disegno − sul dono che tale sacrificio rappresenta per tutti i cristiani. Ma, come si è detto, quando Michelangelo cita un verso o una serie di versi all'interno delle sue lettere o sui suoi fogli di lavoro, lo fa con l'idea di evocare anche un aspetto o una tematica del testo di partenza non necessariamente o non totalmente implicata nella porzione di testo citata. Vale quindi la pena prendere in attenta considerazione il contesto in cui il verso dantesco si colloca. Innanzi tutto, come detto, l'invettiva di cui fa parte è pronunciata da Beatrice, la donna amata da Dante che è anche la sua guida nel Paradiso. Questo fatto è significativo e potrebbe aver motivato la scelta dell'inclusione di questo verso in un disegno che Michelangelo confeziona su misura per la propria "guida spirituale" femminile, Vittoria Colonna. In secondo luogo, l'invettiva di Beatrice segue direttamente un discorso sulla grazia divina, che insieme con il merito individuale di saperla accogliere con amore e umiltà, serve a garantire la costanza del bene nelle forze angeliche:49
          Quelli che vedi qui furon modesti
a riconoscer sé dala bontate
che li avìa fatti a tanto intender presti:
        per che le viste lor furo essaltate
con grazia illuminante e con lor merto
sì c'hanno ferma e piena volontate;
        e non voglio che dubbi, ma sia certo
che ricever la grazia è meritorio
secondo che l'affetto l'è aperto

        (Par. xxix 58-66).
L'interesse di questi versi per una frequentatrice delle idee della Riforma, e in particolare della dottrina della salvezza per sola grazia, quale è la Colonna, mi pare evidente. Non si può tra l'altro escludere che questo intero canto dantesco possa essere stato l'oggetto di una discussione teologico-spirituale tra Michelangelo e Vittoria Colonna. Sebbene in questi versi si parli della grazia concessa alle forze angeliche, è chiaro che il passo è strettamente legato a quanto segue: i teologi e predicatori che non accolgono la parola di Dio con umiltà e amore, ma hanno la superbia di interpretarla e distorcerla, sono come Lucifero, che si è insuperbito per la grazia ricevuta da Dio e non ne ha saputo fare buon uso. Chi invece si accosta alla Scrittura umilmente fa come gli angeli, che si aprono a riceverne la grazia. Con la Pietà si raggiunge dunque l'apice di una pratica di lavoro che è stata una costante nell'opera di Michelangelo fin dalla sua giovinezza: l'uso della citazione per fissare i concetti e le idee che l'arte cerca di esprimere senza le parole, ma che, forse, non può. La continua necessità di ricorrere al discorso, in particolare quello altrui, nasce allora dal desiderio di conferire una maggiore profondità alle proprie immagini, che vogliono anch'esse essere poesie, esprimendo silenziosamente concetti e emozioni. La pratica della citazione è però anche per Michelangelo una ricerca di legittimazione attraverso il riferimento a un'auctoritas, che si faccia garante dei concetti a partire dai quali prende forma la sua arte o la sua poesia.50

M. M. S. B.



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Note

1 L. Barkan, Michelangelo. A Life on Paper, Princeton and Oxford, Princeton University Press, 2011, p. 16. torna su
2 Il fenomeno è già notato da Barkan, che analizza nel dettaglio questo disegno (ivi, pp. 144-46). torna su
3 O. Schiavone, Michelangelo Buonarroti. Forme del sapere tra letteratura e arte nel Rinascimento, Livorno, Polistampa, 2013, le cit. sono rispettivamente alle pp. 108 e 106. torna su
4 Cfr. Barkan, A life on Paper cit., p. 147; U. Motta, Parole e immagini nel mondo di Michelangelo, in Letteratura e arti visive nel Rinascimento, a cura di G. Genovese e A. Torre, Roma, Carocci, 2019, pp. 235-60, in partic. p. 237: «la trascrizione è una forma di avvicinamento al modello, di identificazione con esso, e di appropriazione delle sue risorse espressive, non diverso da quanto sperimentato, attraverso il disegno, nei confronti dei cimeli artistici della classicità». torna su
5 Il carteggio di Michelangelo, a cura di P. Barocchi e R. Ristori, Firenze, s.p.e.s., 1979, vol. iv, pp. 102-3, lett. cmlxvii; ivi, 1983, vol. v, p. 87, lett. mccxlvi. torna su
6 Per un'analisi più approfondita del contenuto di queste lettere e della funzione in esse svolta dalla citazione petrarchesca si veda D. Parker, Michelangelo and the Art of Letter Writing, Cambridge, Cambridge University Press, 2010, pp. 59-61. torna su
7 Per un'interpretazione della funzione di questa citazione petrarchesca e della sua relazione con i disegni per il Cavalieri si vedano M. Ruvoldt, Michelangelo's Open Secrets, in Visual Cultures of Secrecy in Early Modern Europe, ed. by T. McCall, S. Roberts, G. Fiorenza, Kirksville, Truman State University Press, 2013, pp. 105-25, in partic. p. 116; e M. M. S. Barbero, "Leggiete il cuore e non la lectera": una chiave di lettura petrarchesca per la 'Caduta di Fetonte' di Michelangelo, in Alla frontiera del testo. Studi in onore di Maria Antonietta Terzoli, a cura di M. M. S. Barbero e V. Vitale, Roma, Carocci, 2022, pp. 109-33, in partic. pp. 125-31. torna su
8 A. Condivi, Vita di Michelagnolo Buonarroti, a cura di G. Nencioni, con saggi di M. Hirst e C. Elam, Firenze, Studio per edizioni scelte, 1998, p. 22. torna su
9 Questa prevalenza non stupisce affatto se si considera che la poesia di Michelangelo, pur non conformandosi appieno con il petrarchismo cinquecentesco, trova in Petrarca la sua fonte d'ispirazione principale. A questo proposito cfr. O. Schiavone, An introduction to Michelangelo's Petrarchism, in Michelangelo scrittore, a cura di G. Crimi («L'Ellisse», x, 2), Roma, «L'Erma» di Bretschneider, 2015, pp. 13-36. torna su
10 Tolnay propone di riferire gli schizzi al progetto per la cella della tomba di Giulio II, databili, come la grafia dei testi presenti sul foglio, agli inizi del Cinquecento; cfr. C. De Tolnay, Corpus dei disegni di Michelangelo, 4 voll., Novara, De Agostini, 1975-1980, vol. i, p. 119. torna su
11 Il testo è citato da Michelangelo Buonarroti, Rime, a cura di E.N. Girardi, Bari, Laterza, 1960, pp. 148-49, Appendice 31; mio il corsivo. torna su
12 De Tolnay, Corpus cit., vol. i, p. 119. torna su
13 Per l'illustrazione dettagliata di tutte le varianti si rinvia al commento di Girardi, in Michelangelo Buonarroti, Rime cit., p. 478. torna su
14 Mentre Frey ritiene le varianti una prova dell'intenzione di Michelangelo di appropriarsi del testo petrarchesco riadattandolo in modo da esprimere il proprio amore per Tommaso de' Cavalieri (Michelangelo Buonarroti, Die Dichtungen des Michelagniolo Buonarroti, hrsg. und mit kritischem Apparate versehen von C. Frey, Berlin, Grote'sche, 1897, p. 347), per Girardi si tratterebbe semplicemente di un «esercizio letterario che ha preceduto e forse [...] in parte accompagnato l'attività poetica dell'Artista» (Michelangelo Buonarroti, Rime cit., p. 479). torna su
15 De Tolnay, Corpus cit., vol. i, p. 119. torna su
16 Si veda in particolare il lungo e approfondito saggio di I. Lavin, David's Sling and Michelangelo's Bow. A Sign of Freedom, in Id., Past - Present. Essays on Historicism and Art from Donatello to Picasso, Berkley-Los Angeles-Oxford, University of California Press, 1993, pp. 29-61; già in L'Art et les Révolutions. Conférences plénières, Actes du XXVIIe Congrès international d'Histoire de l'Art (Strasbourg, 1-7 septembre 1989), Strasbourg, 1990, pp. 107-46. Cfr. anche Barkan, Michelangelo. A Life on Paper cit., pp. 107-26. Le iscrizioni presenti su questo foglio sono citate con la grafia moderna dall'edizione Girardi (cfr. Michelangelo Buonarroti, Rime cit., p. 143, Appendice 3 e 4). torna su
17 De Tolnay, Corpus cit., vol. i, p. 37. torna su
18 R. J. Clements, The Poetry of Michelangelo, New York University Press, 1965, p. 158. torna su
19 Barkan, Michelangelo. A Life on Paper cit., pp. 116-18. torna su
20 E. N. Girardi, Il petrarchismo di Michelangiolo e la tradizione lirica toscana, in Id., Studi su Michelangiolo scrittore, Firenze, Leo S. Olschki, 1974, pp. 57-77, in partic. p. 70. torna su
21 Per un'analisi più approfondita dei disegni e delle diverse tecniche impiegate si rinvia a De Tolnay, Corpus cit., vol. i, p. 50; Barkan, Michelangelo. A Life on Paper cit., pp. 144-46. torna su
22 De Tolnay, Corpus cit., vol. i, p. 50. torna su
23 Ivi, vol. i, p. 72. torna su
24 Ibid. torna su
25 Ibid.; cfr. anche Barkan, Michelangelo. A Life on Paper cit., p. 199. torna su
26 Cfr. supra, pp. 2-3. torna su
27 Anche secondo Barkan il riferimento a Valchiusa sarebbe legato al messaggio che lo segue, ma non in modo ironico: la Valchiusa di Michelangelo sarebbe Gherardo Perini stesso, senza il quale l'atto del disegno perde di significato (cfr. Barkan, Michelangelo. A Life on Paper cit., p. 204). torna su
28 Ivi, p. 203. torna su
29 Ivi, p. 42. torna su
30 De Tolnay, Corpus cit., vol. i, p. 34. torna su
31 Girardi riporta il verso in maniera differente: «La voglia invoglia e ella ha poi la doglia» (Michelangelo Buonarroti, Rime cit., p. 143, Appendice 2); ma considerando l'autografo mi pare più corretta la versione riportata da Barkan, Michelangelo. A Life on Paper cit., p. 38. torna su
32 Cfr. E. Panofsky, Il movimento neoplatonico e Michelangelo, in Id., Studi di iconologia. I temi umanistici nell'arte del Rinascimento, Torino, Einaudi, 2009 (ed. or. Studies in Iconology, Oxford University Press, 1972), pp. 236-319, in partic. pp. 266-71. torna su
33 Per un'analisi dettagliata di tutti i disegni presenti sul foglio si rinvia a De Tolnay, Corpus cit., vol. i, p. 39. torna su
34 Ibid. torna su
35 Cfr. Barkan, Michelangelo. A Life on Paper cit., p. 149. torna su
36 I testi sono citati da Michelangelo Buonarroti, Rime cit., p. 145, Appendice 14 e 15. Matteo Residori nota come l'originale latino del salmo («Laudate, pueri, Dominum, laudate nomen Domini») sembra essere combinato da Michelangelo con la ripresa di Pulci nel Morgante: «Laudate, parvoletti, il Signor vostro, / laudate sempre il nome del Signore» (Morg. xix, 1, 1-2; cfr. Michelangelo Buonarroti, Rime, a cura di M. Residori, Introduzione di M. Baratto, con uno scritto di T. Mann, Milano, Mondadori, 1998, p. 473). torna su
37 De Tolnay, Corpus cit., vol. i, p. 51. torna su
38 Schiavone, Michelangelo Buonarroti. Forme del sapere cit., p. 108. torna su
39 De Tolnay, Corpus cit., vol. i, p. 40. torna su
40 Ibid. torna su
41 Cfr. supra, pp. 2-3. torna su
42 Anche Barkan suggerisce che la scelta di questo verso abbia a che vedere con la punizione dei suicidi, ma in modo molto più generico: «might it be, for example, that the embodied or disembodied nature of the suicides somehow impacts the work of the sculptor who fashions human likeness in marble?» (Barkan, Michelangelo. A Life on Paper cit., p. 151). torna su
43 Il collegamento era stato già stabilito da K. Borinski, Die Rätsel Michelangelos: Michelangelo und Dante, München, Georg Müller, 1908, p. 75; più recentemente, anche Stephanie Buck ha rinviato a Dante per l'elemento dell'albero antropomorfo in questo disegno (cfr. Michelangelo's Dream, ed. by S. Buck, London, The Courtauld Gallery, 2010, p. 111). torna su
44 Per l'implicazione della canzone petrarchesca con il disegno della Caduta di Fetonte mi permetto di rinviare a Barbero, "Leggiete il cuore e non la lectera" cit. torna su
45 Per un elenco delle diverse ipotesi cfr. De Tolnay, Corpus cit., vol. i, p. 40. torna su
46 Il testo della Commedia è citato da Dante Alighieri, Commedia, 3 voll., revisione del testo e commento di G. Inglese, Roma, Carocci, 2016; così le successive citazioni. torna su
47 Cfr. il commento di Sapegno in Dante Alighieri, La divina commedia, a cura di N. Sapegno, Firenze, La Nuova Italia, 1985, vol. iii, p. 370; secondo Inglese, il verbo «costa» coniugato al presente, alluderebbe anche ai martiri contemporanei di Dante (cfr. Dante Alighieri, Commedia cit., vol. iii, p. 362). Campi ritiene invece che già nel testo di Dante il riferimento fosse esclusivamente al sacrificio di Cristo (cfr. E. Campi, Michelangelo e Vittoria Colonna: un dialogo artistico-teologico ispirato da Bernardino Ochino, e altri saggi di storia della Riforma, Claudiana, Torino, 1994, p. 66). torna su
48 Cfr. A. Nagel, Michelangelo and the Reform of Art, Cambridge, Cambridge University Press, 2000, p. 183; M. Forcellino, Michelangelo, Vittoria Colonna e gli "spirituali". Religiosità e vita artistica a Roma negli anni Quaranta, Roma, Viella, 2009, p. 66. torna su
49 Così chiosa Inglese questi versi: «Gli angeli ricevettero una prima dotazione di grazia nell'istante della creazione; nel "secondo istante", alcuni di loro, nell'atto stesso di accoglierla con amore e riconoscenza, meritarono di riceverne una ulteriore che li rese per sempre fermi nel volere il bene» (cfr. Dante Alighieri, Commedia cit., vol. iii, p. 361). torna su
50 Come nota anche Barkan, «Dante and Petrarch provide one medium through which he can give shape to his thoughts - essentially through verbatim transcription. [...] What characterizes both these constitutive discourses is the possession of authority» (Barkan, Michelangelo. A Life on Paper cit., p. 150). torna su