15, 2021
 
Saggi    
 
Abstract

Filippo Pecorari

Le forme linguistiche della dialogicità nei testi di dedica, dal Cinquecento a oggi



1. Introduzione
Dal punto di vista della tipologia testuale, la dedica − classificata, secondo altri approcci, tra le componenti del paratesto (Genette 1987) − può essere considerata un genere (o microgenere) testuale. Diversamente dai tipi testuali, che colgono categorie di carattere universale e applicabili in tutti i contesti storico-culturali, i generi testuali prevedono una certa variabilità «da una cultura all’altra, e anche nell’ambito della medesima cultura, da un’epoca storica a un’altra» (Lala 2011). Questo è senz’altro anche il caso della dedica, i cui sviluppi funzionali e retorici in ambito italiano sono stati studiati da una messe ormai piuttosto ampia di studi storico-letterari, infittitasi particolarmente negli ultimi vent’anni (cfr. almeno Terzoli 2003, 2004, 2010, Matt 2005, Santoro − Tavoni 2005, Paoli 2009, Schiavon 2010). Restano ancora, tuttavia, parzialmente inesplorati i tratti linguistici caratteristici del genere: con l’eccezione di alcune note sulla lettera dedicatoria in Matt 2005 e 2014, del percorso storico-linguistico di De Cesare 2019 sulle dediche nelle grammatiche volgari del Cinquecento, e delle riflessioni di Angela Ferrari sulla punteggiatura nelle dediche sette-ottocentesche (Ferrari 2020a, 2020b, Ferrari − Stojmenova Weber 2020), lo studio della dedica in un’ottica linguistica è ancora in larga parte da svolgere.
Il presente saggio si propone di riflettere in prospettiva linguistica sui testi di dedica1 focalizzandosi su un aspetto peculiare di questo genere testuale, ovvero l’utilizzo di forme linguistiche della dialogicità. L’analisi di questi tratti linguistici risulta particolarmente promettente ai fini di una caratterizzazione tipologica della dedica e delle sue evoluzioni storiche. Ciò che si osserva intuitivamente, e che questo studio intende valutare in maniera sistematica, è che le «metamorfosi» (Terzoli 2003) funzionali a cui la dedica è andata incontro negli ultimi due secoli sono accompagnate da mutamenti notevoli sul piano della dialogicità del testo, a loro volta correlati alla presenza o assenza di tratti linguistici caratteristici. La lettera dedicatoria tipica dei primi tre secoli della storia dei testi a stampa, intrinsecamente provvista di un carattere dialogico nel suo rivolgersi a un dedicatario ben individuato, lascia spazio dall’Ottocento a forme diverse di dedica in cui la dialogicità non è più un requisito necessario, e anzi tende a perdersi del tutto. Il genere della dedica offre dunque un terreno privilegiato, e a suo modo esemplare, per contribuire a colmare il vuoto segnalato da Calaresu 2021: 119, secondo cui le ricerche sulla dialogicità in prospettiva storico-diacronica si estendono solo raramente da singoli autori o singole opere a interi generi o sottogeneri testuali. L’analisi sarà condotta su testi estratti dall’Archivio informatico della dedica italiana (AIDI),2 allestito presso l’Università di Basilea a partire dal 2002 (cfr. Terzoli 2006). Più precisamente, è stato raccolto per questo studio un corpus diacronico di 100 testi di dedica, distribuiti equamente − 20 per secolo − lungo l’arco temporale di cinque secoli (Cinquecento, Seicento, Settecento, Ottocento, Novecento-Duemila); a questi testi − selezionati in maniera casuale − ne sono stati aggiunti altri sei, recuperati ad hoc in funzione delle necessità della ricerca.3 La raccolta dati è stata limitata a testi di dedica in lingua italiana e in prosa, scritti dall’autore dell’opera dedicata (e non da altri soggetti, quali il curatore o il traduttore) e collocati in apertura della prima edizione dell’opera; per minimizzare l’eventuale effetto di preferenze individuali, è stata inoltre raccolta una sola dedica per autore.4 La struttura del saggio è la seguente. Si procederà dapprima (§ 2) a una presentazione dei principali strumenti di analisi impiegati in questo studio: la concezione prototipica del dialogo proposta da Carla Bazzanella (§ 2.1), che apre alla possibilità di applicare la categoria di dialogo anche a testi scritti, e la classificazione delle forme linguistiche della dialogicità − allocutivi e vocativi − che lo studio prende in esame (§ 2.2). In seguito, si presenteranno i risultati dell’analisi condotta sul corpus diacronico di dediche (§ 3), distinguendo le fasi temporali che vanno dal Cinquecento al Settecento (§ 3.1) e dall’Ottocento a oggi (§ 3.2). Le conclusioni (§ 4) avranno il compito di riassumere i principali risultati dell’analisi da un punto di vista teorico e storico-linguistico.
2. Strumenti di analisi
2.1. La concezione prototipica del dialogo
Associare la nozione di dialogo a generi testuali scritti come le dediche può sembrare una scelta controintuitiva. In realtà, come ha mostrato tra gli altri Bazzanella 2002a, il concetto di dialogo è molto più complesso e sfaccettato di quanto potrebbe sembrare a prima vista.5 Esso può essere rappresentato efficacemente attraverso un modello teorico a prototipo (Bazzanella 2002b), che definisce il dialogo a partire dall’incrocio di un certo numero di tratti situazionali e linguistici: le forme di interazione possono così essere classificate come più o meno vicine al centro prototipico della nozione di dialogo, in base al possesso di una quantità maggiore o minore di tratti caratterizzanti.
È facile constatare che, nel caso di forme testuali scritte come quelle delle dediche, la maggior parte dei tratti prototipici del dialogo non risulta verificata: ad esempio, l’interazione non avviene faccia a faccia, ma a distanza; l’emittente e il ricevente del messaggio non si trovano nello stesso contesto di enunciazione; l’interazione non è organizzata sulla base di un’alternanza di turni, ecc. Vi è tuttavia un tratto che impone una riflessione più approfondita, ovvero quello relativo al coinvolgimento di due persone nell’interazione: ciò può verificarsi anche nella comunicazione scritta qualora lo scrivente decida di rivolgersi in maniera diretta a un interlocutore, selezionandolo come destinatario ratificato (Goffman 1981) della produzione linguistica. Dal punto di vista linguistico, il principale corrispettivo della presenza di una coppia di individui nell’interazione consiste nell’impiego di espressioni di II persona, che comportano il riferimento deittico personale a un interlocutore.6 Tali espressioni sono un indice dell’intenzione dell’emittente di coinvolgere − seppure in assenza di una vera e propria interattività − un secondo individuo nella comunicazione, e in quanto tali possono essere studiate come forme linguistiche della dialogicità che l’emittente associa all’interazione.7 Naturalmente, la presenza di un singolo tratto caratteristico del dialogo e, viceversa, l’assenza di molti altri tratti determineranno la collocazione del genere testuale in una posizione molto lontana dal centro prototipico del dialogo; tuttavia − ed è ciò che qui ci interessa − tale posizione non risulta del tutto esterna ai confini della nozione.
2.2. Le forme linguistiche della dialogicità: allocutivi e vocativi
I corrispettivi linguistici della dialogicità che saranno analizzati in questa sede appartengono alle due categorie degli allocutivi e dei vocativi. Si tratta, in entrambi i casi, di forme linguistiche che testimoniano la presenza di un destinatario ratificato dall’emittente, e dunque di due persone, nella struttura di partecipazione dell’evento comunicativo.
Le due categorie non sono sempre definite allo stesso modo nella vasta letteratura sull’argomento.8 In questa sede ci si baserà sulla sistemazione proposta dalla Grande grammatica italiana di consultazione (cfr. in particolare Vanelli − Renzi 2001 e Mazzoleni 2001), che distingue chiaramente vocativi e allocutivi in base a proprietà funzionali, prosodiche e semantico-sintattiche: (i) da un punto di vista funzionale, i vocativi hanno la funzione di «fare ‘appello’ all’interlocutore […] identificandolo e rivolgendogli la parola» (Mazzoleni 2001, p. 377), mentre gli allocutivi realizzano «l’atto del parlante di rivolgersi all’ascoltatore» (Vanelli − Renzi 2001, p. 354) e «non possono avere funzione di appello» (Mazzoleni 2001, p. 390); (ii) sul piano prosodico, il vocativo è tipicamente isolato dal resto della frase, mentre l’allocutivo non lo è (cfr. Mazzoleni 2001, p. 391), a meno che non entri in configurazioni prosodico-informative che ne prevedano l’isolamento; (iii) i vocativi si trovano «al di fuori della valenza verbale e della struttura frasale», mentre gli allocutivi «possono ricoprire un ruolo semantico nella valenza del predicato ed una funzione sintattica nella frase» (ibidem). Saranno dunque vocativi − indipendentemente dal formato sintattico − le forme evidenziate in (1-3), mentre saranno allocutivi le forme evidenziate in (4-6):
(1)
(2)
(3)
(4)
(5)
(6)
Papà, giochiamo?
Senti, Vanessa, le cose non vanno per niente bene.
Ehi, tu, cosa credi di fare?
Come tu sostieni da tempo, non ti puoi fidare di Maria.
Il tuo cane mangia troppo.
Cosa sta facendo la mia bambina? [detto da un genitore alla figlia]
Come si vede dagli esempi, il vocativo può corrispondere dal punto di vista sintattico a un nome comune (o a un sintagma nominale avente come testa un nome comune: e.g. caro il mio Luigi), a un nome proprio o a un pronome tonico. La funzione di allocutivo ricade su una varietà più ampia di forme sintattiche: pronomi tonici o atoni come in (4), forme possessive come in (5), sintagmi nominali come in (6). Può assumere valore allocutivo anche la semplice flessione verbale, qualora il pronome personale soggetto non sia espresso in un contesto di allocuzione diretta all’ascoltatore (cfr. il verbo puoi nell’es. 4). Naturalmente, si può anche dare il caso dell’impiego di forme vocative o allocutive plurali, che testimoniano la presenza di più di un ascoltatore o destinatario del messaggio. Da un punto di vista pragmatico, le forme di vocativo e allocutivo rientrano per la maggior parte fra i mezzi linguistici della deissi personale, in quanto «grammaticalizzano il riferimento ai ruoli dei partecipanti all’atto comunicativo» (Vanelli − Renzi 2001, p. 264), e più specificamente al ruolo dell’interlocutore o destinatario del messaggio. La loro interpretazione, come sempre accade nei casi di deissi, dipende dalla conoscenza di elementi del contesto in cui la comunicazione ha luogo. Tanto le forme vocative quanto le forme allocutive risentono in maniera diretta del tipo di rapporto sociale che sussiste tra i partecipanti all’interazione, configurandosi in tal modo come forme di espressione non solo della deissi personale ma anche della deissi sociale (cfr. Fillmore 1975). Per ciò che concerne i vocativi, si pensi ad esempio alla scelta di un nome di battesimo vs. di un cognome accompagnato da un titolo professionale (e.g. prof. Rossi), oppure del solo titolo (e.g. professore). Per quanto riguarda gli allocutivi, la loro scelta dipende da un complesso insieme di fattori sociali relativi alla simmetria/asimmetria e alla confidenza/distanza tra gli interlocutori (Molinelli 2010), che consente di individuare forme di confidenza e forme di cortesia.9 Le forme di cortesia in uso nelle varietà dell’italiano contemporaneo appartengono formalmente al paradigma della III persona (lei, le) o della II persona plurale (voi, vi), diffusa nell’Italia centrale e meridionale; largamente in disuso, ma non trascurabili per un’analisi in prospettiva diacronica, sono le forme di III persona singolare ella10 e Vostra Signoria/Signoria Vostra (con numerose varianti: Sua Eccellenza, Vostra Magnificenza ecc.), così come − per rivolgersi a destinatari collettivi − le forme di III persona plurale loro e le loro Signorie/le Signorie loro.
3. La dialogicità nei testi di dedica italiani, dal Cinquecento a oggi
I testi di dedica raccolti nel corpus esaminato sono, nel loro complesso, ricchi di forme linguistiche della dialogicità appartenenti alle classi dei vocativi e degli allocutivi. Un esame ravvicinato dei testi mostra tuttavia differenze significative correlate al parametro diacronico. Si procederà ora all’illustrazione dei principali risultati empirici dell’analisi, con attenzione alle forme di vocativo e allocutivo riscontrate nei testi e alle strutture più significative in cui tali forme compaiono.

3.1. Dal Cinquecento al Settecento
Il genere testuale della dedica, le cui origini in ambito italiano risalgono al Duecento, assume un formato stabile nel Quattrocento (cfr. De Cesare 2019, § 2.3.1): è in questo secolo che la dedica è codificata convenzionalmente come una richiesta di protezione rivolta dallo scrittore a un mecenate illustre, sotto la forma di una lettera elogiativa del dedicatario. Il formato epistolare, che ricalca consuetudini proprie del mondo romano (cfr. Genette 1987, p. 110), si consolida nel Cinquecento con la diffusione dei testi a stampa: la dedica «diventa lettera aperta rivolta ad un pubblico» (Paoli 2009, p. 17), che consente all’autore di dichiarare ufficialmente il proprio rapporto con un patrono illustre, ma anche al patrono di avere un ritorno di immagine.
Dal punto di vista linguistico, l’epistola dedicatoria prevede necessariamente − nelle forme che il genere manifesta dall’avvento della stampa − che il dedicante si rivolga al dedicatario attraverso l’impiego di espressioni allocutive e/o vocative. Si stabilisce così un abbozzo di struttura dialogica, che vede l’autore del testo identificare univocamente un certo individuo come destinatario ratificato della sua produzione linguistica. La struttura dialogica riscontrabile nel testo scritto della dedica riflette peraltro uno scambio dialogico precedente di tipo bidirezionale, più vicino al prototipo del dialogo, se è vero che una delle regole dell’istituto socioculturale della dedica prevedeva che l’autore dovesse richiedere preventivamente al patrono un’autorizzazione alla dedica, e attendere la sua accettazione della proposta (Paoli 2009, pp. 25-26). Venendo ai risultati dell’analisi del corpus, la situazione complessiva relativa ai tre secoli che vanno dal Cinquecento al Settecento non mostra evoluzioni sostanziali nella struttura dei testi. Il modello dell’epistola dedicatoria rivolta a un mecenate rimane pressoché l’unica scelta possibile da inizio Cinquecento a fine Settecento (e oltre). Rari sono i testi che mostrano di seguire un modello diverso, tra cui la dedica delle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo (1525), nella forma del titolo dedicatorio (7), e la dedica del Pastor fido di Battista Guarini (1604), nella forma della dedica epigrafica (8):11
(7)

(8)


DI MESSER PIETRO BEMBO A MONSI / GNORE MESSER GIULIO CARDINALE / DE MEDICI DELLA VOLGAR LINGUA (Bembo 1525)
IL / PASTOR FIDO, / Tragicomedia Pastorale. / DI BATTISTA GUARINI / Dedicata. / AL SERENISS. / D CARLO EMANUELE / Duca di Savoia, &c. / Nelle Reali Nozze di Sua M. / con la Sereniss. Infante D. / Catherina d’Austria. (Guarini 1604)
Fatta eccezione per casi come questi, che come si vede sono formulati in III persona e non contemplano l’utilizzo di allocutivi o vocativi, le dediche tra Cinquecento e Settecento si adeguano interamente al modello epistolare.
3.1.1. I luoghi della dialogicità
All’interno della lettera dedicatoria, le forme linguistiche della dialogicità sono generalmente diffuse a macchia di leopardo in tutto il testo. Vi sono tuttavia parti della dedica che manifestano una maggiore propensione alla dialogicità e che raccolgono sistematicamente strategie di appello o allocuzione diretta al dedicatario. La parte iniziale del testo è una di queste. Lo si osserva ad esempio nelle formule di apertura che contengono vocativi, particolarmente diffuse a partire dal Seicento:
(9)

(10)


(11)




(12)



(13)



Honorata Signora, per non inciampare nello errore di quelli, che havendo figliuole si credeno non pur tenere le mani che non le tocchino, ma gliocchi che non le mirino […] (Aretino 1533)
Signor mio, io ho sempre desiderato, che il Mondo veda, {et} conosca, che se io possiedo poca parte di virtu, che gli è piutosto avvenuto, o per mio poco ingegno; o per qualche discòmodo che m’habbia tenuto da lei lontano […] (Parabosco 1551)
I MERITI amplissimi della vostra infinita cortesia (molto Magnifico Signor mio) sono per li molti singolarissimi beneficij, che con perpetua liberalità già tanti, e tanti anni m’havete fatto continuamente; in tal modo cresciuti, {et} di numero, {et} di grandezza: che s’io non cercassi di rendermivi grato, almeno co’l dimostrarmene sempre ricordevole; son certissimo, che porterei pericolo di esser notato, e tenuto da tutti per discortese, e per ingrato. (Palladio 1570)
ECCO, o virtuosissimo Sig. Fabio, in queste poche carte, ed in breve ed humil sermone pianamente raccolto tutto quello, che io con diffuso parlare, ed in molte Lettioni, e spezzatam{en}te ho già nel c{on}tinuato / spazio di sei anni interi in questo generale Studio di Siena publicamente leggendo, ed insegnando mostrato. (Cittadini 1604)
IL gradimento, o SIRE, che V. S. R. M. s’è degnata mostrare, che io ponessi diligente opera in investigare i fenomeni Elettrici, ed il fervore, con che a sì fatte ricerche s’applicano le Università, e Accademie tutte, manifestano / abbastanza la gravità dell’argomento, che imprendo a trattare in questo Libro, e la cagione dell’offerta, che fo del medesimo alla VOSTRA AUGUSTA PERSONA. (Beccaria 1753)
Ma lo si vede anche nelle formule di intestazione preposte al testo della dedica, le quali sono presenti dal Cinquecento in una forma non dialogica, precedute dalla preposizione a (14), e dal Seicento tendono a perdere la preposizione e assumere funzione vocativa di appello. Il primo esempio costruito in tal modo, nel corpus esaminato, è tratto dal Dialogo sopra i massimi sistemi (1632) di Galileo Galilei (15), ma molti altri se ne possono osservare da quella data in avanti (16-18):12
(14)

(15)


(16)

(17)

(18)

ALL’ILLUSTRISSIMO SIGNORE, IL SIGNOR GIO. ANDREA DORIA / LORENZO CAPELLONI. (Capelloni 1565)
SERENISSIMO G R A N D U C A. / LA differenza che è tra gli huomini, e gli altri animali, per grandissima che ella sia, chi dicesse poter darsi poco dissimile tra gli stessi huomini, forse non parlerebbe fuor di ragione. (Galilei 1632)
Illustriss. e Reverendiss. Sig. Sig. e Padron Colendiss. / E GIA’così celebre al Mondo il Nome di VS. Illustrissima per l’Autorità […] (Guglielmini 1697)
ALTEZZA REALE. / FIno da quel dì fortunato, in cui giunse a riempiere di giubbilo, e di contento questa Città il lieto avviso […] (Giulini 1760)
GRAZIOSISSIMO SIGNOR PRINCIPE. / Se i versi miei fossero degni per loro merito dell’Altezza Vostra non avrebber bisogno della sua protezione, perché allor si proteggerebero da se stessi. (Da Ponte 1788)
La presenza di vocativi e/o allocutivi nell’esordio della dedica è un tratto quasi sempre presente nei testi cinque-settecenteschi del corpus. È piuttosto raro che la dedica si apra alla dialogicità solo in una sequenza successiva del testo, riservando gli enunciati di apertura a una digressione che non chiama in causa il dedicatario. Si riportano qui due esempi appartenenti a quest’ultima fattispecie, uno secentesco e uno settecentesco:
(19) CHiunque nasce, nasce alla Patria: le cui Ragioni son più potenti di quelle de’ propri Genitori. Peroche la Paterna Potestà, con la Militia si minuisce; con la Emancipatione si solve; con la Morte si annienta: ma il Ius della Patria, immutabile, {et} immortale; accogliendo ancora le Ceneri de’ suoi; {et} ritenendo la proprietà sopra gli Spiriti sciolti; non permette alla Morte niuna Giuriditione. Eran già dunque dovuti alla mia Patria questi miei / Parti, qualunque si siano, perch’eran miei: ma hora per nuovo {et} particolar diritto, deve la Patria riconoscerli per cosa tutta sua: perche da me nati, da lei son rinati. Erammi stati questi da diverse Stampe Italiane e straniere, così sformati nella forma; offuscati ne’ caratteri; storpiati ne’ sensi; piagati e sozzi di scorrettioni: ch’io stesso apena li riconosceva per miei. Ma hora per l’innata Magnificenza dell’Augusta Patria, che niente fà senon degno del suo gran Nome: eccoli con più magnifica forma, {et} più emendata {et} nobile impressione; da quelle tenebre usciti à novella luce. A Voi dunque ILLUSTRISSIMI SIGNORI, dalle cui Menti è sostenuta; col cui Spirito respira; nel cui volto è visibile; per la cui bocca parla; {et} con le cui mani / opera la nostra Patria: à Voi questi non più miei, ma Vostri Pegni; per Voi dalla tomba risorti: totalmente devo, humilmente offero, eternamente consacro. (Tesauro 1670)
(20) I Nostri nel favellar Toscano Padri, e Maestri non posero mai fuori della Patria il piede, che da / Signori grandi non venissero amorosamente accolti, e splendidamente trattati. Spettatrici ne furono con maraviglia le Corti de’ Sommi Pontefici, e quelle de’ Re di Napoli, di Sicilia , di Gerusalemme, e di Cipro; per tacere quelle altre de’ Signori della Scala, degli Ordelaffi, de’ Colonnesi. Nei tempi poi posteriori le Opere loro sublimi non si renderono propagate per le stampe, che alto patrocinante favore non provassero elleno di mano in mano da chi fioriva ovunque signorilmente, a tale che le Nazioni più remote, per venire a parte di tanta gloria, e di sì pregevole avventura , si posero a traslatarle ne’ loro Idiomi, e novellamente tra loro pubblicarle. / Quindi è, che io di presente tentando di aggiugnere, se si può dire, al Decamerone del celebratissimo Boccaccio nuova vita col mostrarlo ciò, che non fu reputato giammai, vera Istoria; e come tale raccomandarlo alla lunghezza de’ secoli avvenire; ho stimato di dover trovare chi vibrar possa in esso un raggio di quella luce, che l’oscurità del mio nome non gli può dare. / Ecco pertanto che la gloria, onde risplende luminosamente infra molte altre Famiglie del primo rango la nobilissima Casa GERINI, ho io presa di mira al mio uopo: gloria, secondo me, la più bella, e più cospicua, comecchè sente del signorile, e del sovrano, quella, cioè, di promuovere, e di favorire per puro innato genio la Virtù col dar forte mano all’ accrescimento delle Scienze, e delle Arti. / Questa in ogni tempo parve consolidarsi per retaggio nella ragguardevolissima Prosapia vostra, ILLUSTRISS. SIG. MARCHESE; questa singolarmente si ammira in VOI intendentissimo amatore delle belle Arti a segno, che ai conforti, e a spese vostre si veggiono in tempi difficili stare in piedi, e fiorire. (Manni 1742)
Non solo l’apertura, ma anche − come è facile immaginare − la chiusura della dedica si rivela un luogo testuale ricco di richiami al destinatario. Anche in questo caso, va considerato il peso della componente formulare: il congedo della lettera è spesso costituito da formule − tipicamente sintagmi preposizionali retti da di − che contengono elementi dal valore allocutivo, e che riproducono in maniera plastica il topos retorico dell’abbassamento del dedicante di fronte al dedicatario (cfr. Terzoli 2003). Si vedano gli esempi seguenti:
(21) Di V. Sig. Illustriss. {et} Reverendiss. / Humilissimo, {et} devotiss. Servidore / Giovanni Botero. (Botero 1589)
(22) Di V.S. Clarißima / Divotißimo Servitore / Paolo Beni. (Beni 1612)
(23) Di VOSTRA MAESTÀ / Umiliss. Servitore, e Suddito / GIOVANNI VIVENZIO. (Vivenzio 1783)
Sono largamente presenti, in posizione appena precedente al congedo, altre formule retoriche che comportano allocuzione al dedicatario, come quella − diffusa tra Cinquecento e Seicento − del bacio delle mani:
(24) […] {et} senza più le bacio humilißimamente la mano. (Tasso 1582)
(25) Intanto le pregherò lunghißima {et} felicißima vita, con ogni maggior contento, che sappia l’animo suo nobilißimo desiderare, {et} le bacio le mani. (Camilli 1583)
(26) E però facendole riverenza, le prego da DIO il colmo d’ogni humana felicità. E le bacio caramente le Mani. (Cittadini 1604)
(27) Prosperi Iddio lungo tempo la persona di V.S. Illustrissima, alla quale con ogni riverenza bacio le mani. (Boccalini 1615)
Un caso particolare è quello della dedica della Storia di Milano di Pietro Verri all’arciduca Ferdinando Carlo Antonio d’Asburgo-Lorena, che presenta al suo interno una non comune distinzione funzionale tra dialogicità e monologicità. L’autore decide di costruire il testo riservando le allocuzioni al dedicatario agli enunciati iniziali e finali; la parte centrale del testo riporta invece un lungo elenco delle virtù dell’arciduca interamente espresso in III persona, come si vede nell’estratto seguente:
(28) La voce imparziale della Storia trasmetterà ai secoli venturi le virtù d’un REAL PRINCIPE, che nel fiore della gioventù, dotato d’una amabile vivacità d’ingegno ha saputo seriamente amare il bene dello Stato, e de’ popoli, a segno di formarsene la più costante occupazione: che appena giunto al Governo si pose a esaminare gli affari, e gli uomini, ed in breve li conobbe: che offrì un facile accesso a chiunque; non risguardò mai come abietta la povertà […]. I posteri giudici, e distributori della Fama ricorderanno la bontà generosa d’un REAL PRINCIPE, che regge in persona la casa degli Orfanelli, e degli Esposti, e veglia sulla vita, e sulla sanità di que’ bambini da Padre amoroso, che sdegna di confidare ad altri una occupazione sì cara al suo cuore. Ricorderanno la coraggiosa compassione, che Lo fa accorrere il primo agli incendj […]. (Verri 1783)

3.1.2. Le forme della dialogicità
L’analisi delle forme allocutive presenti nelle dediche tra Cinquecento e Settecento mostra una netta prevalenza degli allocutivi nominali reverenziali, che si rivolgono al dedicatario indicando, per via metonimica, una sua qualità. Tra queste forme, introdotte in italiano già nel tardo Trecento sul modello del cerimoniale latino imperiale (cfr. Niculescu 1974, p. 90), la più diffusa è senz’altro Vostra Signoria. Tra Cinquecento e Seicento, l’uso di Vostra Signoria nelle dediche (in forma piena o variamente abbreviata) è molto comune, eventualmente accompagnato da modificatori elativi che rafforzano l’elogio del patrono:
(29) La Illustrissima S. vostra adunque, si degni raccogliere i frutti della lingua volgare, prodotti dalle fatiche del suo Alunno […]. (Del Bailo 1543)
(30) V. S. adunque / che è fra i valorosi valorosissima; si degnerà di contentarsi, che dedicandole questo mio primo libro di lettere famigliari, scritte à diverse persone, in diversi soggetti, io doni nuovo segno alle genti di assaissimo amare, quello ch’io pochissimo possedo […]. (Parabosco 1551)
(31) IO che piu non posso, in segno del reverente ossequio ch’io porto alle singular qualità di V. Sig. Illustre, le dedico ora queste mie poche Villanelle […]. (Draghi 1591)
(32) Sono stato ardito di presentare a V. S. Illustriß. questo primo parto dell’ingegno mio debolißimo […]. (Boccalini 1618)
(33) Et chi sà se presa dal titolo di Vostra Sign. Illustrissima quella dolcezza, che in se stessi non hanno, potessero anche invaghire alc{un} di coloro, che della volgar lingua sono studiosi […] (Marino 1638)
A questa forma di allocutivo nominale se ne affiancano molte altre, scelte anche a seconda dell’identità e delle qualifiche del dedicatario. Si vedano ad esempio Vostra Eccellenza (34-35), usata soprattutto tra Seicento e Settecento per rivolgersi a nobili o principi (cfr. Niculescu 1974, p. 103); Vostra Altezza (Reale) (36-38), diffuso lungo tutti i tre secoli considerati; Vostra Maestà (39-40), testimoniato solo nel Settecento; e molte altre varianti minori, come Vostra Magnificentia (41), Vostra Grazia (42) e Vostra Paternità (43), allocutivo adeguato per i religiosi (cfr. ivi, p. 104):
(34) PRESENTO all’Eccellenza vostra Illustrissima la vita, non già d’un Pontefice di Roma, ma d’uno de’ maggiori Prencipi del Christianesmo […]. (Leti 1669)
(35) MOsso dalla esimia benignità, onde l’ECCELLENZA VOSTRA in mezzo alle cure del gloriosissimo governo di questa amatissima patria si è degnata / riguardare la mia persona, confortando gli studj, e le mie letterarie applicazioni, ho sempre desiderato di poter dar compimento ad un Saggio sopra la nostra storia naturale per supplicare l’ECCELLENZA VOSTRA ad onorarlo col suo rispettabilissimo nome, e produrre così una pubblica testimonianza di riconoscenza a tanta grazia. (Maironi da Ponte 1782)
(36) TANTO Vostra Altezza è ricca d’ogni ornamento, quanto io povero d’ogni protettione […]. (Tasso 1582)
(37) PIacque al Sig. Iddio questi Anni addietro di c{on}solare i Popoli di V.A. della maggiore e piu bramata gratia che potessero mai ricevere: e ciò fu il Dono del suo desideratissimo Nascimento. (Pergamini 1613)
(38) LE onorificenze, che VOSTR’ALTEZZA REALE ha fatto scendere dal TRONO AUGUSTISSIMO sopra di me, e i molti benefici atti di Clemenza, co’ quali si è degnata innalzarmi, oggi ricevono un nuovo solenne risalto colla benigna annuenza concessami di fregiare col REALE SUO NOME, e pubblicare sotto gli Auspicj suoi la Storia della mia Patria […]. (Verri 1783)
(39) QUando mi cadde in pensiere di tessere questa breve Storia del Vesuvio alla bella prima ebbi un ardente desiderio, che comparisse al pubblico fregiata dell’Augustissimo Nome della Maestà Vostra. (Della Torre 1755)
(40) SCovenevole forse, o inconsiderata almeno sembrerà l’offerta, che ardisco fare a VOSTRA MAESTÀ, di questa Operetta. (Vivenzio 1783)
(41) Pigli adun{que} Vostra Magnificentia questo piccolo dono, con quello animo, che io lo mando […]. (Machiavelli 1537)
(42) Dunque a Vostra Grazia Reverendissima s’aspetta per ogni ragione la Dedicatoria di codesto Libro […]. (Da Sale 1729)
(43) TAnti, e sì grandi benificj ho io ricevuti, e tuttavia ricevo da quella sacra Compagnia di Giesù, della quale V. P. Reverendiss. è sì degno Preposito Generale, che non posso più tollerare il rossore di non comparirne riconoscente da verun lato. (Maggi 1688)
Tra gli allocutivi pronominali, si osserva la presenza delle forme toniche ella/lei e delle relative forme atone e possessive di III persona, con valore anaforico nei confronti degli allocutivi nominali esemplificati supra. Non è ancora presente l’uso referenzialmente autonomo (deittico) delle forme pronominali di III persona, che si stabilizzerà solo nell’Ottocento. Si vedano alcuni esempi:
(44) E s’è ben veduto chiaramente, quanto V. Altezza sia cara a Dio: che subito, che ella è giunta nel Piemonte, con la sua infinita prudenza {et} inestimabile valore ha renduto alla fede Catholica alcune valli de’ suoi stati […]. (Dolce 1561)
(45) Supplico V. S. Illustriss. à non isdegnar questo dono per picciolo ch’egli si sia; poiche le vien porto da eccesso di devotione, {et} che le piaccia nella debolezza dello ingegno aggradire uno estraordinario desiderio di corrispondere in servirla all’obligo, che tengo à lei, {et} alla Sereniss. Sua casa. (Torelli 1603)
(46) Mà perche l’umiltá, e modestia di V. G. Reverendissima me lo vieta, devo fermare il corso alla penna, e lasciare libero il volo ad un riveritissimo ossequio, con cui le rassegno ciò, che per tanti Capi è suo […]. (Da Sale 1729)
L’allocutivo di II persona plurale voi risulta decisamente minoritario rispetto agli allocutivi nominali. Ciò non deve sorprendere, dal momento che già dal secondo Quattrocento l’allocuzione nominale reverenziale si era imposta a danno di quella pronominale − che pure era in uso già dall’XI secolo − negli ambienti socioculturalmente elevati (cfr. Niculescu 1974, p. 102). Si registra l’uso del voi come unico allocutivo, non accompagnato da forme nominali, in alcune sporadiche dediche:
(47) bElla e gentil Signora non havendo io ne piu vaghi fiori, ne piu saporosi frutti, con che honorarvi; vi m{an}do in questa poca carta il ritratto di quella herba, che produce il mio Giardino […]. (Tansillo 1538)
(48) Adesso ch’io l’ho ridotta à fine, et ch’ella nelle bellissime stampe dell’honoratissimo vostro padre deve andare per le mani de gli huomini, ho stimato esser debito mio dedicarla à voi; percioche essendo voi cagione per le vostre rare qualità, che il Sig. Gabriele vostro Padre facci questo giovamento a i desiderosi d’imparar Grammatica latina, {et} volgare a un tratto: essi a voi ne sappiano il grado […]. (Toscanella 1626)
(49) A Voi, Sire, appartengono le Memorie intorno alla Vita, ed agli scritti del conte Algarotti. Il suo Parnaso fu la Vostra Reggia, e la Divinità, che mosse il suo intelletto, fu il Genio Vostro. (Michelessi 1791)
A volte l’allocutivo di II persona è accompagnato da un unico allocutivo nominale che trova spazio nel congedo della lettera, come nei due esempi seguenti:
(50) Pregovi dunque Illustre mio Signore, che voi, facendo un’atto degno della vostra virtù; vogliate in premio dell’affettion, ch’io vi porto, degnarvi di ricevere in dono, {et} con allegro volto favorire questa prima parte dell’opera mia, che fu già con nobil pensiero incominciata sotto i felicissimi auspicij vostri […]. Di V. S. / Devotiss. Servitore. / Andrea Palladio. (Palladio 1570)
(51) Contuttociò dovete anco riputarvi felice per haver’ in età tenera e giovanile dato mostra d’alto e nobile ingegno, e di rara gentilezza e virtù; porgendo insieme lieta speranza che la vostra Città e Republica con gl’anni sia per riportar dalla prudenza e diligenza vostra maraviglioso giovamento e splendore: non meno ch’ella sia per honorar voi {et} essaltar’ il senno, il valore, {et} i meriti vostri. […] Di V.S. Clarißima / Divotißimo Servitore / Paolo Beni. (Beni 1612)
Nel Settecento si cominciano a manifestare casi di co-occorrenza tra forme di allocutivo nominale e pronominale di II persona all’interno dello stesso testo, a dimostrazione del fatto che Vostra Signoria e le sue varianti iniziavano ad essere percepite come forme grammaticalizzate per il riferimento a un individuo. La forma anaforica adeguata a rinviare agli allocutivi nominali non è più ella o lei, che formalmente rinvia alla testa sintattica Signoria, ma voi, che rimanda al sintagma antecedente considerandolo nella sua interezza come espressione referenziale. Si riportano due esempi:
(52) SE i Platonici; i quali dissero, che le Anime nostre sono dalle Stelle discese in terra, e che coloro, i quali fanno quaggiù Azioni più gloriose, e più grandi, in Stelle maggiori, e più luminose in Cielo risplendevano; volgessero ora lo sguardo in VOSTRA / ALTEZZA REALE, e rimirassero l’immensa sfolgoreggiante luce, che per ogni dove le sublimi Virtù Vostre tramandano; o non avrebbero Stella, su cui assegnar potessero la suprema Vostra dimora; o attoniti avrebbero a confessare, che Voi dal grande Padre de’ Lumi, dal fonte della Luce, dal luminosissimo Sole ne derivate. (Mecatti 1752)
(53) L’onorevole protezione, che la M. V., e l’Augusto mio RE accorda alle Scienze, e ai coltivatori di esse, frà / quali non avete sdegnato di occupare un luogo distinto, dandovi anche la nobil cura d’ispirarne il gusto alla Real Vostra Prole, costituisce uno de’ tanti gloriosi pregi, che dinanzi a tutta l’Europa accrescono splendore al Trono, su di cui la Provvidenza vi ha collocato per felicità delle Nazioni soggette. (Gioeni 1790)
Molto raro si dimostra l’uso dell’allocutivo confidenziale tu e delle forme funzionalmente equivalenti, che in tutto il corpus cinque-settecentesco compaiono solo in due dediche su sessanta. In entrambe le dediche in esame, l’uso del tu è una spia che, per diversi motivi, rivela il carattere eccentrico del testo nel quadro del genere testuale a cui appartiene. La prima in ordine cronologico è la dedica delle Rime di Iacopo Sannazaro (1533) a Cassandra Marchesa, donna a cui l’autore è legato da un profondo rapporto di amicizia (cfr. Calitti 2007), ben diverso dal rapporto mecenatico che informa la maggior parte delle dediche coeve:
(54) NOn altrimente che doppo grave tempesta pallido, {et} travagliato nocchiero da lunge scoprendo la terra, à quella con ogni studio per suo scampo si sforza di venire, {et} come miglior può, i fragmenti raccoglie e del rotto legno, Hò pensato io, ò rara, {et} sopra l’altre valorosa Donna, doppo tante fortune (mercè del cielo) passate à te, come à porto desideratissimo le tavole indrizzare del mio naufragio, stimando in alcun altro loco potere piu commodamente salvarle, che nel tuo castissimo grembo. (Sannazaro 1533)
Ancora più anticonvenzionale è la dedica di Giuseppe Parini alla Moda, che apre il Mattino pubblicato nel 1763. Come nota Terzoli 2003, p. 172, la novità sta nel dedicare l’opera «non a un nobile protettore, bensì a un’entità astratta», capovolgendo il senso − ma non la forma − della lettera dedicatoria e trasformandola in una parodia giocata sul filo dell’ironia. L’allocutivo tu è forse l’unico tratto linguistico che, in questo testo, testimonia una rottura con le convenzioni della dedica anche dal punto di vista formale:
(55) A te vezzosissima Dea, che con sì dolci redine oggi temperi, e governi / la nostra brillante gioventù, a te sola questo piccolo Libretto si dedica, e di consagra. Chi è che te qual sommo Nume oggimai non riverisca, ed onori, poichè in sì breve tempo se’ giunta a debellar la ghiacciata Ragione, il pedante Buon Senso, e l’Ordine seccagginoso tuoi capitali nemici, ed hai sciolto dagli antichissimi lacci questo secolo avventurato? Piacciati adunque di accogliere sotto alla tua protezione, che forse non n’ è indegno, questo piccolo Poemetto. (Parini 1763)
Occorre infine registrare tra le marche della dialogicità che appaiono più raramente nei testi del corpus gli allocutivi plurali. Sono solo quattro su sessanta le dediche che, tra Cinquecento e Settecento, assumono come destinatario una pluralità di individui. Meritano una menzione la dedica del Polidoro di Pomponio Torelli, la prima in ordine cronologico nel campione esaminato, rivolta agli Accademici Fecondi di Padova (56); e soprattutto la dedica della Povertà contenta di Daniello Bartoli, che già alla metà del Seicento sfrutta lo spazio della lettera dedicatoria in modo ironico e lontano dalle convenzioni dell’epoca, rivolgendosi − per contrasto con l’argomento dell’opera − ai ricchi non mai contenti (57):
(56) SI come dopò ch’io fui favorito da’ Signori Ricoverati d’essere ammesso in quella loro Academia mi sopragiunse la gratia, che le Signorìe Vostre Illustrissime mi fecero aggregandomi alla loro; così essendomi / nata questa Tragedia dopò quella, che già haveva ad essi destinata, hò voluto con Poema simile mostrarmi grato dell’istessa cortesia; honorando questa Tragedia con dedicarla alle SS. VV. Illustriss. come è piacciuto loro d’honorar me, con pormi in così honorato Collegio. (Torelli 1605)
(57) THEOCRITO,in un de’ suoi Idilji, acerbamente si duole, che mandando spesse volte le Gratie, con Poesie di lode, alle case de’ Ricchi, sempre li trovavano fuori di casa: onde elle, come prima povere, e più che prima dolenti, co’ volti dimessi a terra, dispreggiate, e confuse, a lui ritornavano. […] / Altrettanto temo io, che anco a me intervenga, {et} a questa mia opericciuola, che alle vostre mani, ò Ricchi non mai contenti, invio. Ella discorre della felicità de’ POVERI CONTENTI, ch’è una filosofia, che à voi, dubito, parrà come quella de gli Egittiani, rimasane in Geroglifici da muovere il riso a chi ne guarda sol le figure, come che pur ella sia da far saggia la mente di chi ne penetra il significato. (Bartoli 1650)

3.2. Dall’Ottocento a oggi
3.2.1. L’Ottocento
Come è stato rilevato da più parti (cfr. Terzoli 2003, Paoli 2009), la convenzione della dedica venale in forma epistolare, rivolta a un patrono che sostiene economicamente l’autore, comincia a perdersi tra fine Settecento e inizio Ottocento. È soprattutto a partire dagli anni Trenta dell’Ottocento (Terzoli 2003, p. 184) che la dedica venale cede il passo a dediche di tipo familiare e privato, rivolte tipicamente a parenti, amici o maestri. La crisi del sistema mecenatico della dedica si riflette anche sul piano della struttura del testo: il formato epistolare, che fino al Settecento era impiegato nella quasi totalità delle dediche, perde progressivamente terreno a vantaggio di altri formati, come quello della dedica epigrafica13 (privilegiata dai romantici: cfr. ivi, p. 171); e, anche quando si conserva, diventa tendenzialmente più breve rispetto al passato. Ciò che è interessante osservare, ai nostri fini, è che la metamorfosi del sistema della dedica comporta anche cambiamenti sostanziali sul piano della dialogicità del genere testuale: cambiamenti che tuttavia, come si mostrerà, non risultano del tutto paralleli a quelli strutturali.
Si comincino a osservare le dediche che, ancora nell’Ottocento, conservano il formato della lettera dedicatoria. Le dediche epistolari nell’Ottocento sono in parte ancora debitrici delle convenzioni del passato, in parte proiettate verso le novità dell’uso ottocentesco. Si hanno così esempi come (58) o (59), indirizzati a personaggi illustri come − rispettivamente − Napoleone Bonaparte o il Podestà di Como Francesco Rezzonico, con i consueti allocutivi nominali reverenziali:
(58) Sire / […] Mentre la Storia scrivendo le vostre imprese teme di comparire bugiarda al tribunale della posterità, la Poesia parlando di Voi viene per l’opposto a spogliarsi la prima volta di questa taccia. Liberata da ogni basso sospetto d’adulazione ella vi reca a’ piedi / del più bel Trono del Mondo l’ammirazione dell’Universo, ella vi esprime veracemente nel suo divino linguaggio la riconoscenza e l’amore degli Italiani, che da Voi redenti si sollevano ad alte speranze, e si sentono non indegni de’ vostri eccelsi pensieri. […] Della Sacra Imperiale Reale Maestà Vostra / Umilissimo, Divotissimo e Fedelissimo Suddito (V. Monti 1805)
(59) Offro alla Signoria sua per pubblica dimostrazione della mia stima questa mia patria storia. […] Questo ho voluto dire, perchè sono certo che non poteva in miglior modo raccomandarmi alla Signoria sua, che palesando questo mio affetto, e questa intenzion mia. Ella tutta rivolta ad abbellire e nobilitare sempre più questa città che ci è patria, cui sommamente ama, non può non accogliere con favore colui, che impiega le sue vigilie e le sue forze, quantunque picciole, in pro della stessa. […] Degnisi adunque questo tenue mio lavoro aggradire, che a nome della patria alla Signoria sua offerisco. (M. Monti 1829)
Ma anche esempi come i seguenti, in cui l’autore si rivolge a un(’)amico/a o collega (Vincenzo Monti in 60, Cesare Balbo in 61, Clara Lutti in 62) impiegando una più semplice forma allocutiva pronominale:
(60) Quand’io vi lessi la mia versione dell’Iliade voi mi recitaste la vostra, confessandomi di avere tradotto senza grammatica greca; ed io nell’udirla mi confermava nella sentenza di Socrate che l’intelletto altamente spirato dalle Muse è l’interprete migliore d’Omero. Ma la coscienza delle mie forze non fu sì modesta da sconfortarmi, e voi donandomi il vostro manoscritto e / l’arbitrio di valermene, mi traete ad avventurarmi a disuguale confronto per trovar mezzo a ricambiarvi di questa prova di fiducia e di amore verso di me. […] Voi intanto leggete questo libricciuolo che se non altro vi sarà caro per la nostra antica amicizia, e vivetemi lieto della vostra gloria. (Foscolo 1807)
(61) TI dono questo mio scritto, non perchè intenda che l’autorità del tuo nome abbia a farsi scudo a tutte le opinioni ch’egli esprime, ma perchè so esser tu ed io concordi sulla più importante, su quella della nostra indipendenza; […] perchè finalmente mi legano a te stretti vincoli di sangue, e di lunga ed immacolata amicizia, e vincoli ancor più stretti, anzi i maggiori che possano stringere due cuori, quelli d’un eguale ed ardente amore di patria, e del desiderio di porre le forze e la vita per la sua liberazione. (D’Azeglio 1846)
(62) Offro a Lei questi versi. […] Ma la tristezza cha ha dettate queste poche mie rime, e della quale hanno l’impronta, non potrà esserle di grande conforto. Le accolga nondimeno come l’offerta di un amico, e con quell’animo che a Lei le presento. (Maffei 1869)
Resta tuttavia invariato, in questa prima fase di passaggio dalla forma mecenatica a quella privata della dedica, il carattere dialogico del testo: l’autore si rivolge sempre al dedicatario in maniera diretta, attraverso l’uso di vocativi e/o allocutivi. Le marche linguistiche della dialogicità che hanno caratterizzato il genere testuale nei primi tre secoli dei testi a stampa si confermano presenti anche nel momento del tramonto definitivo della dedica venale. Cambiano semmai le forme della dialogicità, in direzione − come si è visto − della perdita degli allocutivi nominali e dell’affermazione del lei come forma autonoma di allocuzione reverenziale (cfr. es. 62), non più anaforica rispetto a forme nominali quali Vostra Signoria. È significativo che la struttura dialogica del testo si conservi anche sotto la penna di Vittorio Alfieri, che in più occasioni sfrutta lo spazio della dedica per polemizzare contro le convenzioni del genere (Terzoli 2003). Si veda ad esempio l’incipit della dedica all’Italia − anomala, evidentemente, anche per lo statuto non umano del dedicatario − che apre il Misogallo:14
(63) Ancorchè quest’Operuccia, nata a pezzi, ed a caso, altro non venga ad essere che un mostruoso aggregato d’intarsiature diverse, ella tuttavia non mi pare indegna del tutto di esserti dedicata, o Venerabile Italia. Onde, e da quella augusta Matrona, che ti sei stata sì a lungo, d’ogni umano senno, e valore principalissima Sede; e da quella, che ti sei ora (pur troppo!) inerme, divisa, avvilita, non libera ed impotente; e a quella che un giorno (quando ch’ei sia) indubitabilmente sei per risorgere, virtuosa, / magnanima, libera, ed una; a tutte tre quest’Italie in questa breve mia Dedica intendo ora di favellare […]. (Alfieri 1799 [1814])
Il fatto che la dedica, in questa nuova fase storica, sia «intesa più a presentare l’opera che a elogiare il destinatario» (Terzoli 2003, p. 176) porta in alcuni casi a una riduzione della densità delle marche allocutive e vocative. È solo in questo senso che si può parlare di una diminuzione del tasso di dialogicità nelle dediche epistolari ottocentesche: le forme linguistiche della dialogicità non scompaiono dal testo, ma sono quantitativamente meno presenti di un tempo. Ne è un esempio la dedica tardo-ottocentesca di Gabriele D’Annunzio a Matilde Serao che apre il Giovanni Episcopo: una dedica piuttosto lunga per il periodo (quasi 1.300 parole), in cui compaiono solo sette vocativi e cinque allocutivi di II persona plurale, raccolti quasi interamente tra incipit ed explicit:
(64) ILLUSTRE signora, mia cara amica, questo piccolo libro che io vi dedico non ha per me importanza di arte; ma è un semplice documento letterario publicato a indicare il primo sforzo istintivo di un artefice inquieto verso una finale rinnovazione. […] A voi, signora, a voi che ricercando il meglio date in Italia l’esempio di una operosità cosí virile, dedico dunque un documento publicato a indicare il primo sforzo istintivo di un artefice inquieto; il quale tanto è appassionato dell’Arte che non può rassegnarsi a morire. / Ave. (D’Annunzio s.a. [1892?])
Un caso particolare che merita di essere menzionato per la gestione peculiare della dialogicità − non testimoniata da altri testi nel corpus − è quello della dedica epistolare dell’Elogio di Antonio Serra di Francesco Saverio Salfi. Al dedicatario Giuseppe Palmieri l’autore rinvia più volte, nel testo della lettera, attraverso l’uso della forma allocutiva tu; tuttavia, l’intestazione della lettera presenta un rinvio tramite asterisco a una nota in cui si assiste a un passaggio alla III persona, e dunque a una perdita di dialogicità del testo:
(65) * È questi quel Giuseppe Palmieri, il quale non pel titolo ridicolo di marchese, che gli aveano i suoi maggiori trasmesso, ma fu illustre per virtù e per fama, ch’egli medesimo si acquistò, sì per l’opera militare, che lo rendè rispettabile a Federico II. di Prussia, come per l’economiche, che lo rendettero caro a’ veri amici del popolo. (Salfi 1802)
Gli esempi presentati mostrano che la situazione delle dediche epistolari nell’Ottocento (fatta un’eccezione parziale per la nota in 65) risulta sostanzialmente conservativa in fatto di dialogicità: che ci si rivolga come nei secoli passati a un mecenate, o piuttosto a un amico o familiare, le marche linguistiche della dialogicità restano presenti, seppure non sempre con la consueta densità. Le cose cominciano a cambiare quando al formato epistolare si affianca quello epigrafico. La dedica epigrafica, già sporadicamente presente nei secoli precedenti15 , entra più frequentemente in uso nell’Ottocento. Dal punto di vista della dialogicità, le epigrafi dedicatorie rivelano per la stragrande maggioranza un’aderenza al modello epigrafico classico, il quale − oltre a contemplare numerosi fenomeni linguistici arcaizzanti − non prevede allocuzioni dirette al dedicatario (cfr. D’Achille 2010). Se ne vedano alcuni esempi tra quelli rappresentati nel corpus:
(66) L’AUTORE RIVERENTE / D. D. D. / ALLA DILETTA E VENERATA SUA MOGLIE / ENRICHETTA LUIGIA BLONDEL / LA QUALE INSIEME CON LE AFFEZIONI CONJUGALI E CON LA SAPIENZA MATERNA POTÈ SERBARE UN ANIMO VERGINALE CONSACRA QUESTO ADELCHI / L’AUTORE / DOLENTE DI NON POTERE A PIÙ SPLENDIDO E A PIÙ DUREVOLE MONUMENTO RACCOMANDARE IL CARO NOME E LA MEMORIA DI TANTE VIRTÙ. (Manzoni 1822)
(67) A MIA MADRE / TERESA-BUSSETI-DE AMICIS / DEDICO QUESTO LIBRO / DOLENTE DI NON POTER LEGARE IL SUO CARO NOME / A UN’OPERA GENTILE COME IL SUO CUORE / ELETTA COME LE SUE VIRTÙ / SANTA COME LA SUA VITA. (De Amicis 1869)
(68) A TERESA / DUCHESSA RAVASCHIERI FIESCHI / DONNA IN CUI L’INTELLETTO È PARI ALLA CARITÀ / DEDICO / QUESTO INTIMO RACCONTO / RACCOMANDANDOLO / A QUELLA INDULGENZA CHE LE DETTAVA / DOPO LA PRIMA LETTURA / SPONTANEE PAROLE DI CARA AMICIZIA. (Pierantoni-Mancini 1880)
(69) ALLA GENTILISSIMA SIGNORINA / ADELAIDE BERNARDINI / QUESTO VOLUME È DEDICATO. (Capuana 1897)
Vi sono tuttavia anche casi, più rari, in cui la struttura epigrafica della dedica si associa all’uso di forme deittiche di II persona. Una ricerca mirata condotta a tappeto nell’archivio AIDI ha restituito sei esempi di dedica epigrafica contenenti forme linguistiche dal valore allocutivo e/o vocativo16, collocati temporalmente tra la metà dell’Ottocento e i primi anni del Novecento:
(70) QUESTI DEBOLI STUDII / MA AD ALTO FINE RIVOLTI / VOI DI PAZIENZA PIÙ FECONDA IN OPERE MAESTRO / COSIMO RIDOLFI / EREDE DEGNO DELLE GLORIE TOSCANE / ACCOGLIETE / NON TRIBUTO MA INDIZIO / DELL’ITALIANA IMMORTALE RICONOSCENZA. (Tommaseo 1841)
(71) HAI DUE FORTI TITOLI / O GIUSEPPE BIGNAMI / ALLA DEDICA DI QUESTO MIO DRAMMA / MI SEI DA MOLTI ANNI AMICO / E SEI BOLOGNESE. (Marenco 1873a)
(72) SONO / AMORE E BELLEZZA / LE FAVILLE DELL’ARTE / E DESTANO INCENDII / DIVORATORI DI VITA NELLA MATERIA / CREATORI NELL’INTELLETTO / D’OPERE IMMORTALI / QUESTO L’ARGOMENTO DEL DRAMMA / A VOI / CAMILLA LUCCA / COME AD AMICA / LO RACCOMANDO / SE PURE DA QUELLA COSI VIVA DEL SANZIO / QUALCHE LUCE RITRASSE / ABBIATELO CARO. (Marenco 1873b)
(73) SCRITTA / NE’ QUARANTA GIORNI DEL TUO PUERPERIO / MARCELLINA RICORDA / O SPOSA DILETTA / I DUE MOMENTI PIU FELICI DELLA MIA VITA / QUELLO / IN CUI MI PONESTI FRA LE BRACCIA / APPENA NATO / IL MIO CARLO / E QUELLO / IN CUI FOSTI RESTITUITA A SALUTE (Marenco 1885)
(74) A TE / DA CUI ME NE VENNE IL PENSIERO. (Marenco 1900)
(75) A TE / SEMPRE A TE / MIA BUONA, MIA FEDELE / MIA UNICA (Orsini 1903)
Come si noterà, ben quattro dei sei esempi sono stati prodotti da un unico autore, Leopoldo Marenco, il che induce a cautela nella valutazione dell’effettiva portata storica del fenomeno. Al di là delle preferenze idiosincratiche del singolo autore, i dati rivelano comunque un risultato significativo: da un lato, le dediche in formato epigrafico che si affermano nell’Ottocento a scapito di quelle in formato epistolare conducono progressivamente il genere della dedica al di fuori dei confini della dialogicità; dall’altro esse conservano, in alcuni sporadici esempi, un retaggio delle abitudini del passato nell’uso di forme linguistiche caratteristiche del dialogo. Si determina così, in questi esempi tipologicamente ibridi, un incrocio peculiare tra il formato epigrafico e il formato epistolare: il primo fornisce alla dedica la struttura testuale, mentre il secondo fornisce un tratto linguistico saliente − la presenza di allocutivi e/o vocativi − che nell’epigrafe tradizionale non si dà.
3.2.2. Il Novecento e gli anni Duemila
I dati del corpus relativi al Novecento mostrano una scomparsa quasi totale della lettera dedicatoria, che lascia definitivamente spazio ad altre forme di dedica. Il corpus restituisce pochi esempi (solo quattro su venti) di dedica novecentesca in forma epistolare, in cui si conferma l’uso delle consuete marche linguistiche della dialogicità. Particolarmente interessante è la dedica di Torquato Taramelli (1903) al Senatore Gaetano Negri, che conserva tardivamente buona parte delle forme della vecchia dedica mecenatica, dall’allocutivo nominale all’abbassamento rituale dell’autore nel congedo:
(76) ILLUSTRE SIGNORE, / Poichè Ella me ne diede licenza, io mi onoro di dedicare a Lei questo mio scritto e la Carta geologica annessa, che sono destinati a far conoscere ai non geologi una regione delle più amene ed industriali, dal punto di vista dell’origine dell’orografia di essa regione. È un saggio di geologia continentale, quale fu definita dallo Stoppani. I più importanti elementi di questo studio furono tratti da quella così geniale descrizione geologica dei dintorni di Lugano e di Varese, della quale la S. V. fu attivo collaboratore, insieme all’ing. Emilio Spreafico, tanto presto rapito alla scienza ed agli amici. / Sono scorsi più di sei lustri; ma non dubito che Ella ancora si compiaccia di quella vittoria nel campo di una scienza, la quale, abbandonata ma non persa di vista dappoi, Le ha fornito non pochi concetti, che la S. V. seppe collegare con ampia erudizione e con mente robusta alle considerazioni del filosofo, dello storico e del sociologo. […] Un poco di buona volontà è l’unico merito, che io mi faccia ardito di attribuire a questo lavoro per osare di premettervi la dedica al di Lei nome onorato. / Coi sensi di altissima stima e di animo grato, mi serbo / della S. V. servo devoto / Torquato Taramelli. (Taramelli 1903)
Gli altri tre esempi di dedica epistolare, sempre limitati temporalmente ai primi del Novecento, sono tutti legati all’ambito familiare. Dal punto di vista della dialogicità, essi confermano l’uso di forme allocutive e vocative tipico delle dediche più tradizionali. Pur in presenza di notevoli novità strutturali − come, ad esempio, l’estrema brevità della dedica di Alfredo Panzini in (78), qui riportata per intero − il carattere dialogico del testo resta identico a quello della lettera dedicatoria dei secoli passati:
(77) Caro Camillo, / parecchi mesi or sono, parlandoti d’un mio nuovo libro di novelle, ti dissi: vorrei porre a questo libro un titolo che forse potrà parere in prima specioso, ma che tuttavia, se non m’inganno, quadra bene all’indole di esso: Erma bifronte. […] Non mi lasciasti finire. Avevi subito veduto in / disegno il mio pensiero, e da una parte Eraclito che piange e dall’altra Democrito che ride. / Ora voglio in capo a questo libro ringraziarti, amico mio, del dono prezioso che m’hai fatto e del fraterno ajuto che m’hai prestato. / Tuo / LUIGI PIRANDELLO. (Pirandello 1906)
(78) A Titì, / Creatura mia, quando tu sarai grande e leggerai queste pagine, forse ti verrà desiderio di me. (Panzini 1920)
(79) Permettetemi di dedicarvi questo libro dov’è tanta parte della vostra vita anche se non c’è nulla propriamente di voi. […] Ma io vi parlo del libro vecchio, Anna e Ines, e dovrei invece parlarvi del nuovo. […] Nel nome che sapete e in quello del «giovane Enea» (che non è più giovane e non è Enea, ma che ci è tanto più caro) oggi e sempre, a Cesenatico e dovunque, vostro / MARINO. (Moretti 1924)
Fatta eccezione per questi pochi esempi primo-novecenteschi, il resto del secolo e i primi anni Duemila mostrano un’affermazione netta delle dediche in forma breve o brevissima, in cui lo scrivente non si rivolge più in maniera diretta al dedicatario. Si continuano a registrare, seppure con vitalità decrescente all’avanzare del secolo, dediche in formato epigrafico, che abbandonano definitivamente gli esperimenti dialogici del recente passato e restano vincolate all’uso della III persona:
(80) A BOLOGNA / ALMA MADRE DEGLI STUDI / UN DA LEI AGLI STUDI VERACEMENTE NUDRITO / DEDICA QUESTO PRIMO SAGGIO DI POESIA / ISPIRATO DALLA STORIA DEL LIBERO COMUNE / MA OH! QUANTO INFERIORE ALLA GLORIA DI LEI / ALLA GRATITUDINE SUA (Pascoli 1908)
(81) A mia madre / TOSCA FALLACI / e a tutti coloro / che non amano il potere (Fallaci 1974)
Per il resto, le forme che si impongono sono quella brevissima della dedica nominale,17 che prevede tipicamente una semplice menzione del nome del dedicatario preceduta dalla preposizione a o per, e della dedica circostanziata, 18 che comprende una poco più corposa aggiunta specificativa al nome. Si vedano alcuni esempi della prima (82-85) e della seconda (86-87) modalità:
(82) A Marlène (Romano 1969)
(83) per mia figlia Livia (Fortini 1978)
(84) A Daniele Ponchiroli (Calvino 1979)
(85) A Cristina Donadio (Parrella 2007)
(86) A MIO PADRE MORTO (Sbarbaro 1914)
(87) A Carlo Bo e Giuseppe Ungaretti, / miei testimoni nel processo contro / « Ragazzi di vita ». (Pasolini 1959)
In questi casi, l’uso di forme linguistiche della dialogicità è escluso a priori. Sarebbe possibile, in linea teorica, prevedere dediche brevi che rinviino deitticamente al dedicatario, tramite una formula del tipo a te; di fatto, tuttavia, questa possibilità non trova mai riscontro nel corpus (né nell’intero archivio AIDI), se non nelle due dediche epigrafiche di inizio Novecento riportate sotto (74) e (75). L’unico esempio più tardo in cui è presente una forma deittica personale dal valore (parzialmente) dialogico è la dedica de Le menzogne della notte di Gesualdo Bufalino, che riporta un pronome di I persona plurale dall’interpretazione inclusiva:
(88) A noi due (Bufalino 1988)
Un’ultima opzione formale che si diffonde nel Novecento e che, di nuovo, non prevede l’impiego di forme allocutive o vocative è quella della dedica inclusa, che di norma chiude un’altra componente paratestuale collocata in apertura del libro (prefazione, introduzione ecc.). Se ne riportano integralmente due esempi, in cui la menzione del dedicatario, rigorosamente in III persona, chiude il testo:
(89) È meglio dire senz’altro che questa seconda raccolta è poco più di una ristampa con qualche aggiunta, senza varianti e senza sorprese. Chi ha letto Frontiera nell’edizione di «Corrente» la vedrà integralmente riprodotta in queste Poesie con quelle stesse cose più deboli a cui si vorrebbe rinunciare se lo permettesse una vena meno avara ma sopra tutto una tenace e forse monotona e troppo umana fedeltà al tempo e alle circostanze vissute. / In ogni caso l’autore non ha voluto, con questa raccolta, riproporre o veder confermata la presenza del proprio nome; e nel titolo stesso − generico e antologico rispetto all’altro, diletto ma troppo preciso − si concentra una chiara consapevolezza di quanto questo libro sia idealmente distante da quello che in esso vagamente si raffigura. / Ma l’autore sa anche che questo è il suo unico libro, l’unico che nella migliore fortuna e nel migliore dei casi continuerà a scrivere: era necessario assicurargli una veste più duratura che fosse anche − eventualmente − definitiva. / Per questo, all’atto di andare lontano e di mettere in gioco la propria sorte di creatura, ancora una volta lo affida alla cordiale memoria degli amici. (Sereni 1942)
(90) Queste tre indagini del commissario Montalbano, scritte in periodi diversi, e lo si vede dalla scrittura, hanno un elemento in comune: non sono imperniate su delitti di sangue. Non c’è un morto, in queste pagine. È una scelta voluta (e anche un rischio voluto), ma perché io stesso non so spiegarmelo fino in fondo. Forse una specie di rigetto. Del resto i morti ammazzati, nelle mie storie, sono sempre stati un pretesto. / I tre racconti sono inediti. Solo per uno di essi ho parzialmente utilizzato un mio scritto apparso su “Micromega”, n. 2, del 2002. / Le citazioni riguardanti la Cabbala le ho tratte da La Qabbalah di Giulio Busi (Laterza Editori, Bari 1998). / C’è da aggiungere che i personaggi di queste tre storie, i loro nomi (soprattutto i cognomi!) e le situazioni nelle quali si trovano e agiscono sono frutto della mia fantasia. / Il libro è dedicato a Pepè Fiorentino e a Pino Passalacqua che non avranno modo di leggerlo. (Camilleri 2004)
Come emerge dagli esempi analizzati, nel Novecento il genere testuale della dedica perde dunque completamente la propria dialogicità. Al netto di alcuni sporadici esempi che, agli inizi del secolo, riproducono lo schema epistolare, i vari formati di dedica che si impongono nei decenni successivi non prevedono più l’utilizzo di forme deittiche personali per rinviare al dedicatario.
4. Riflessioni conclusive
Il percorso storico tracciato in queste pagine ha consentito di osservare l’evoluzione del genere testuale della dedica in relazione ai corrispettivi linguistici della dialogicità. Tenendo sullo sfondo il modello teorico a prototipo di Bazzanella 2002b, si è potuto verificare come la dedica, pur essendo un genere testuale esclusivamente scritto, contenga nelle sue forme più tradizionali alcune spie linguistiche di una concezione parzialmente dialogica del testo. La lettera dedicatoria, forma dominante dal Cinquecento al Settecento, prevede che il dedicante si rivolga direttamente al dedicatario attraverso l’uso di un ampio repertorio di forme allocutive e/o vocative, le cui occorrenze si addensano particolarmente nell’apertura e nel congedo della lettera. La forma epistolare della dedica si colloca dunque al confine della nozione di dialogo, in una posizione indubbiamente periferica e lontana dal centro prototipico, ma non del tutto esterna al concetto.
L’Ottocento, secolo decisivo per la metamorfosi funzionale della dedica, si è rivelato un passaggio altrettanto importante per la configurazione dialogica del genere, che va progressivamente a perdersi. I due mutamenti non sono però del tutto sovrapponibili: il primo è determinato dalla crisi dell’istituto della dedica venale, che lascia spazio a forme familiari e private, ma sempre vincolate − almeno in un primo momento − alla forma epistolare; il secondo ha invece luogo quando, in un momento successivo, la stessa forma epistolare entra in crisi e viene affiancata da altre forme, come quella epigrafica, che non prevedono − salvo casi eccezionali − allocuzione diretta al dedicatario. Il Novecento vede infine la dedica uscire completamente dall’alveo delle forme testuali dialogiche: l’affermazione delle forme brevi e di quelle incluse al termine di un’introduzione o prefazione coincide con l’impiego sistematico della III persona e con la perdita completa delle marche linguistiche della dialogicità. Anche per il genere della dedica sembra dunque confermata la diminuzione di dialogicità che è stata osservata sull'asse diacronico per altri generi testuali, come ad esempio il testo scientifico (Calaresu 2021: 143-51).

F. P.




Note

1 Seguendo le categorie di Genette 1987, occorre precisare che si discuterà qui di dediche d’opera, e non di dediche d’esemplare, che pongono tutt’altro genere di problemi interpretativi e linguistici. torna su
2 L’archivio è raggiungibile all’indirizzo margini.unibas.ch/aidi/. Esso consente di accedere a riproduzioni fotografiche e trascrizioni in formato .doc di numerosi testi di dedica pubblicati dal Cinquecento ai giorni nostri, variamente annotati con metadati relativi alle caratteristiche della dedica (nome del dedicante, sua funzione in rapporto all’opera, rapporto dedicante-dedicatario ecc.). Sul sito margini.unibas.ch sono presenti numerose altre sezioni di interesse, tra cui una bibliografia degli studi sui testi di dedica, un glossario dei termini tecnici relativi all’ambito e una galleria iconografica. torna su
3 L’elenco integrale dei testi consultati è riportato in Appendice. torna su
4 Fanno eccezione, sotto diversi aspetti, i testi del Seicento, per i quali è stato necessario ricorrere ad alcune edizioni successive alla prima e a più di un testo dello stesso autore. torna su
5 Per una recentissima ed efficace sistemazione del rapporto tra scrittura e dialogicità, si veda Calaresu 2021. La studiosa considera la comunicazione scritta come inerentemente dialogica in quanto rivolta da un emittente a uno o più interlocutori, e opera una distinzione tra dialogicità primaria (che coinvolge autore e interlocutore) e secondaria (che coincide con le forme del discorso riportato). torna su
6 La considerazione del ruolo pragmatico dei pronomi di I e II persona come tracce della soggettività nel discorso ha origine, nella linguistica moderna, con gli studi di Benveniste 1956, 1958 (ma si vedano anche le intuizioni di Wilhelm von Humboldt già ai primi dell’Ottocento, segnalate da Conte 1992). In ambito semiotico, la teoria dell’enunciazione di Benveniste ha prodotto la fondamentale distinzione tra débrayage e embrayage (cfr. Greimas/Courtès 1979), nella cui cornice i morfemi di I e II persona corrispondono a un simulacro degli attanti dell’enunciazione nella lettera del testo. Per quanto le espressioni considerate siano probabilmente i segnali più evidenti della dialogicità di un testo scritto, esse non sono certo le uniche: può essere attribuito un carattere dialogico (più o meno forte) a numerose altre forme, tra cui gli enunciati imperativi e interrogativi, i deittici testuali, i segnali di dispositio dei contenuti testuali ecc. (cfr. Calaresu 2021: 133). torna su
7 Un esempio di comunicazione scritta già analizzato in questa prospettiva è l’epistolario ciceroniano, che Garcea 2002 mette in rapporto al dialogo faccia a faccia attraverso l’esame di alcuni tratti linguistici e comunicativi della dialogicità. torna su
8 Si vedano ad esempio Molinelli 2010, che utilizza “allocutivo” anche per fare riferimento a pronomi “di richiamo” come in Ehi tu, non mi saluti?, e Lorenzetti 2010, che considera gli “appellativi allocutivi” come una sottoclasse dei vocativi. torna su
9 Si vedano in proposito gli studi di Niculescu 1974, ricco di indicazioni sulla diacronia del sistema pronominale di cortesia italiano, e Scaglia 2003, focalizzato sul rapporto tra cortesia e avvicinamento o allontanamento rispetto al centro deittico. torna su
10 Il pronome allocutivo ella sembra oggi limitato a usi ironici o sarcastici, come quello ascoltato dalla voce di Matteo Renzi in un intervento al Senato in occasione della caduta del Governo Conte I, il 20 agosto 2019. Renzi si rivolge all’allora ministro Matteo Salvini attaccandolo per il suo lungo corso politico con le seguenti parole: ella, ministro Salvini, che da 26 anni viene pagato dal contribuente…torna su
11 Gli esempi sono riprodotti in maniera fedele al testo originale, sul modello delle trascrizioni presenti nell’archivio AIDI. La barra obliqua segnala gli a capo del testo originale. Per una riproduzione fotografica di tutti gli esempi qui presentati, si rimanda il lettore al sito dell’archivio (margini.unibas.ch/aidi/).torna su
12 Le formule di intestazione si trovano in genere al centro della pagina, in un carattere più grande rispetto al corpo del testo e staccate dal testo da qualche rigo bianco. torna su
13 «Dedica che ha forma epigrafica, caratterizzata dall’uso delle maiuscole e dall’impaginazione centrata. In genere presenta particolari caratteristiche retoriche e sintattiche» (Glossario in margini.unibas.ch, s.v. Epigrafica (dedica)).torna su
14 Ma si vedano anche gli esempi cronologicamente precedenti riportati in Terzoli 2003, tutti con struttura dialogica: il trattato Della tirannide (1790) rivolto alla Libertà, e il trattato Del principe e delle lettere (1789) indirizzato nei suoi tre libri ai principi che non proteggono le lettere, ai pochi letterati che non si lasciano proteggere e alle ombre degli antichi liberi scrittori. torna su
15 L’archivio AIDI registra sei esempi cinquecenteschi, quattro secenteschi e quattro settecenteschi. torna su
16 Gli esempi sarebbero in realtà sette secondo i metadati dell’archivio, ma uno di essi − la dedica dell’opera Dei basilischi, dragoni, ed altri animali di Luigi Bossi (1792) − costituisce un’epigrafe sui generis, accompagnata da una più tradizionale epistola: è solo in quest’ultima che compaiono forme allocutive. torna su
17 «Dedica che consiste nella semplice menzione del nome (o dei nomi), anche in forma cifrata o criptica […], preceduta da preposizione. Sono considerate Dediche nominali anche dediche che presentino elementari forme appositive» (Glossario in margini.unibas.ch, s.v. Nominale (dedica)).torna su
18 «Dedica che consiste nella menzione del nome preceduta da preposizione e seguita da un’estensione che spiega, circostanzia, commenta, integra (brevemente) la dedica stessa» (Glossario in margini.unibas.ch, s.v. Circostanziata (dedica)).torna su



Bibliografia

Bazzanella 2002a
C. Bazzanella, Definire e caratterizzare il dialogo, in Sul dialogo. Contesti e forme di interazione verbale, a cura di C. Bazzanella, Milano, Guerini, pp. 9-17.

Bazzanella 2002b
C. Bazzanella, Prototipo, dialogo e configurazione complessiva, in Sul dialogo. Contesti e forme di interazione verbale, a cura di C. Bazzanella, Milano, Guerini, pp. 19-34.

Benveniste 1956
E. Benveniste, La nature des pronoms, in For Roman Jakobson. Essays on the occasion of his sixtieth birthday, a cura di M. Halle, H. G. Lunt, H. McLean, C. H. van Schooneveld, The Hague, Mouton, pp. 34-37; riedito in E. Benveniste, Problèmes de linguistique générale, Paris, Gallimard, 1966, pp. 251-57 [trad. it. di M. V. Giuliani: La natura dei pronomi, in E. Benveniste, Problemi di linguistica generale, Milano, Il Saggiatore, 1971, pp. 301-09].

Benveniste 1958
E. Benveniste, De la subjectivité dans le langage, in «Journal de psychologie», 55, pp. 257-65; riedito in E. Benveniste, Problèmes de linguistique générale, Paris, Gallimard, 1966, pp. 258-66 [trad. it. di M. V. Giuliani: La soggettività nel linguaggio, in E. Benveniste, Problemi di linguistica generale, Milano, Il Saggiatore, 1971, pp. 310-20].

Calaresu 2021
E. Calaresu, Dialogicità, in Storia dell'italiano scritto. V. Testualità, a cura di G. Antonelli, M. Motolese, L. Tomasin, Roma, Carocci, pp. 119-51.

Calitti 2007
F. Calitti, Marchese, Cassandra, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 69, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, online: https://www.treccani.it/enciclopedia/cassandra-marchese_(Dizionario-Biografico)/

Conte 1992
M.-E Conte, Frammenti di pragmatica humboldtiana, in «Lingua e stile», 27, pp. 505-21; riedito in M.-E. Conte, Vettori del testo. Pragmatica e semantica fra storia e innovazione, a cura di F. Venier e D. Proietti, Roma, Carocci, 2010, pp. 323-41.

D’Achille 2010
P. D’Achille, Iscrizioni e lapidi, lingua delle, in Enciclopedia dell’italiano Treccani, a cura di R. Simone, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, online: https://www.treccani.it/enciclopedia/iscrizioni-e-lapidi-lingua-delle_(Enciclopedia-dell'Italiano)/

De Cesare 2019
A.-M. De Cesare, Le dediche nelle grammatiche volgari stampate nel Cinquecento. Riflessioni in prospettiva storico-linguistica, in «Margini. Giornale della dedica e altro», 13, online: https://www.margini.unibas.ch/web/rivista/numero_13/saggi/articolo3/decesare.html

Ferrari 2020a
A. Ferrari, La virgola ai margini della scrittura letteraria. L’Ottocento, in Capitoli di storia della punteggiatura italiana, a cura di A. Ferrari, L. Lala, F. Pecorari, R. Stojmenova Weber, Alessandria, Edizioni dell’Orso, pp. 45-59.

Ferrari 2020b
A. Ferrari, Note sull’uso della virgola ai margini della scrittura letteraria e saggistica tra Sette e Ottocento, in «Margini. Giornale della dedica e altro», 14, online: https://www.margini.unibas.ch/web/rivista/numero_14/saggi/articolo1/ferrari.html

Ferrari − Stojmenova Weber 2020
A. Ferrari − R. Stojmenova Weber, L’uso della virgola nel Settecento. Il caso delle dediche pubbliche, in Pragmatica storica dell’italiano. Modelli e usi comunicativi del passato. Atti del XIII Convegno ASLI − Associazione per la Storia della Lingua Italiana (Catania, 29-31 ottobre 2018), a cura di G. Alfieri, G. Alfonzetti, D. Motta, R. Sardo, Firenze, Cesati, pp. 621-27.

Fillmore 1975
C. Fillmore, Santa Cruz lectures on deixis, 1971, Bloomington, Indiana University Linguistics Club.

Garcea 2002
A. Garcea, Dialogo ed emozioni nell’epistolario ciceroniano, in Sul dialogo. Contesti e forme di interazione verbale, a cura di C. Bazzanella, Milano, Guerini, pp. 209-20.

Genette 1987
G. Genette, Seuils, Paris, Seuil [trad. it. di C. M. Cederna: Soglie. I dintorni del testo, Torino, Einaudi, 1989].

Goffman 1981
E. Goffman, Forms of talk, Philadelphia, University of Pennsylvania Press [trad. it. di F. Orletti: Forme del parlare, Bologna, il Mulino, 1987].

Greimas - Courtès 1979
A. J. Greimas − J. Courtès (a cura di), Sémiotique. Dictionnaire raisonné de la théorie du langage, Paris, Classiques Hachette [trad. it. di P. Fabbri: Semiotica. Dizionario ragionato della teoria del linguaggio, Firenze, Casa Usher, 1986].

Lala 2011
L. Lala, Testo, tipi di, in Enciclopedia dell’italiano Treccani, a cura di R. Simone, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, online: https://www.treccani.it/enciclopedia/tipi-di-testo_(Enciclopedia-dell'Italiano)/

Lorenzetti 2010
L. Lorenzetti, Appellativi, in Enciclopedia dell’italiano Treccani, a cura di R. Simone, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, online: https://www.treccani.it/enciclopedia/appellativi_(Enciclopedia-dell'Italiano)/

Matt 2005
L. Matt, Teoria e prassi dell’epistolografia italiana tra Cinquecento e primo Seicento. Ricerche linguistiche e retoriche (con particolare riferimento alle lettere di Giambattista Marino), Roma, Bonacci.

Matt 2014
L. Matt, Epistolografia letteraria, in Storia dell’italiano scritto. II. Prosa letteraria, a cura di G. Antonelli, M. Motolese, L. Tomasin, Roma, Carocci, pp. 255-82.

Mazzoleni 2001
M. Mazzoleni, Il vocativo, in Grande grammatica italiana di consultazione. III (Tipi di frase, deissi, formazione delle parole), a cura di L. Renzi, G. Salvi, A. Cardinaletti, Bologna, il Mulino, pp. 377-402.

Molinelli 2010
P. Molinelli, Allocutivi, pronomi, in Enciclopedia dell’italiano Treccani, a cura di R. Simone, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, online: https://www.treccani.it/enciclopedia/pronomi-allocutivi_%28Enciclopedia-dell%27Italiano%29/

Niculescu 1974
A. Niculescu, Strutture allocutive pronominali reverenziali in italiano, Firenze, Olschki.

Paoli 2009
M. Paoli, La dedica. Storia di una strategia editoriale (Italia, secoli XVI-XIX), Lucca, Pacini Fazzi.

Santoro − Tavoni 2005
M. Santoro − M. G. Tavoni (a cura di), I dintorni del testo. Approcci alle periferie del libro. Atti del Convegno Internazionale. Roma, 15-17 novembre 2004 − Bologna, 18-19 novembre 2004, Roma, Edizioni dell’Ateneo.

Scaglia 2003
C. Scaglia, Deissi e cortesia in italiano, in «Linguistica e filologia», 16, pp. 109-45.

Schiavon 2010
C. Schiavon, Una via d’accesso agli epistolari. Le dediche nei libri di lettere del Cinquecento, Padova, Cleup.

Terzoli 2003
M. A. Terzoli, I testi di dedica tra secondo Settecento e primo Ottocento: metamorfosi di un genere, in Dénouement des lumières et invention romantique. Actes du Colloque de Genève, 24-25 novembre 2000, a cura di G. Bardazzi, A. Grosrichard, Genève, Droz, pp. 161-92; riedito in «Margini. Giornale della dedica e altro», 1, 2007, online: https://www.margini.unibas.ch/web/rivista/numero_1/biblioteca/terzoli_met/metamorfosi.html

Terzoli 2004
M. A. Terzoli (a cura di), I margini del libro. Indagine teorica e storica sui testi di dedica. Atti del Convegno Internazionale di Studi. Basilea 21-23 novembre 2002, Roma-Padova, Antenore.

Terzoli 2006
M. A. Terzoli, L’Archivio informatico della dedica italiana (AIDI), in «Bollettino di italianistica», III, pp. 158-70; riedito in «Margini. Giornale della dedica e altro», 3, 2009, online: https://www.margini.unibas.ch/web/rivista/numero_3/biblioteca/articolo1/bollettino.html

Terzoli 2010
M. A. Terzoli, I margini dell’opera nei libri di poesia. Strategie e convenzioni dedicatorie nel Petrarchismo italiano, in «Neohelicon», 37, pp. 155-80.

Vanelli − Renzi 2001
L. Vanelli − L. Renzi, La deissi, in Grande grammatica italiana di consultazione. III (Tipi di frase, deissi, formazione delle parole), a cura di L. Renzi, G. Salvi, A. Cardinaletti, Bologna, il Mulino, pp. 261-375.


Appendice. Elenco delle dediche considerate nell’analisi

Tutti i testi si intendono estratti dall’Archivio informatico della dedica italiana (AIDI) (margini.unibas.ch/aidi/). I titoli sono riportati secondo le convenzioni dell’AIDI. Si indica tra parentesi il nome del redattore o della redattrice della scheda pubblicata nell’archivio.

Alfieri 1799 [1814]
V. Alfieri, Misogallo, Londra, s.n. (scheda redatta da R. Weber).

Aretino 1533
P. Aretino, Marescalco, Venezia, Bernardino de Vitali (scheda redatta da M. Molinari).

Baricco 1993
A. Baricco, Oceano mare, Milano, Rizzoli (scheda redatta da C. Battaglia).

Bartoli 1650
D. Bartoli, Povertà contenta, Venezia, Francesco Baba (scheda redatta da G. Gagliano).

Beccaria 1753
G. Beccaria, Dell’elettricismo artificiale e naturale, Torino, Filippo Antonio Campana (scheda redatta da A. Minghetti).

Bembo 1525
P. Bembo, Prose della volgar lingua, Venezia, Giovan Tacuino (scheda redatta da M. Molinari).

Beni 1612
P. Beni, L’anticrusca, Padova, Battista Martini (scheda redatta da M. Fontana).

Boccalini 1615
T. Boccalini, Pietra del paragone politico, Venezia (Cormopoli), Giorgio Teler (scheda redatta da J. Hegetschweiler).

Boccalini 1618
T. Boccalini, Ragguagli di Parnaso: centuria prima, Venezia, Giovanni Guerigli (scheda redatta da G. Gagliano).

Bossi 1792
L. Bossi, Dei basilischi, dragoni, ed altri animali, Milano, Luigi Veladini (scheda redatta da E. D. Manetti).

Botero 1589
G. Botero, Ragion di stato, Venezia, Giolito di Ferrari (scheda redatta da T. Protopapa).

Briani 1618
G. Briani, Aggiunta ai ‘Ragguagli di Parnaso’, Venezia, Giovanni Guerigli (scheda redatta da G. Gagliano).

Bufalino 1988
G. Bufalino, Menzogne della notte, Milano, Bompiani (scheda redatta da K. Lo Vasco).

Calvino 1979
I. Calvino, Se una notte d’inverno, Torino, Einaudi (scheda redatta da N. Cassata).

Camilleri 2004
A. Camilleri, Prima indagine di Montalbano, Milano, Mondadori (scheda redatta da C. Conidi).

Camilli 1583
C. Camilli, Cinque canti, Venezia, Francesco de’ Franceschi Senese (scheda redatta da A. Albom).

Cantù 1862
C. Cantù, Beccaria e il diritto penale, Firenze, Barbèra (scheda redatta da G. Balducci).

Capelloni 1565
L. Capelloni, Vita di Andrea Doria, Venezia, Gabriel Giolito de’ Ferrari (scheda redatta da S. Dombois-Didak).

Capuana 1897
L. Capuana, Fausto Bragia, Catania, Niccolò Giannotta Editore (scheda redatta da C. Taddei).

Ceci 1623
G. B. Ceci, Compendio d’avvertimenti di ben parlare, Venezia, Ghirardo e Iseppo Imberti (scheda redatta da I. Del Curto).

Cittadini 1604
C. Cittadini, Origini della volgar toscana favella, Siena, Salvestro Marchetti (scheda redatta da M. Fontana).

D’Ancona 1878
A. D’Ancona, Poesia Popolare Italiana, Livorno, Francesco Vigo (scheda redatta da S. Lupinu).

D’Annunzio s.a. [1892?]
G. D’Annunzio, Giovanni Episcopo, Lanciano, Carabba (scheda redatta da M. Ingletti).

D’Azeglio 1846
M. D’Azeglio, Ultimi casi, Italia [Firenze], [Le Monnier] (scheda redatta da G. Balducci).

Da Ponte 1788
L. Da Ponte, Saggi poetici I, Vienna, Imperial Stamperia dei sordi e muti (scheda redatta da R. Zucco).

Da Sale 1729
F. Da Sale, Fundamenti principali della lingua retica, Disentis, Francesco Antonio Binn (scheda redatta da E. Eichberg).

De Amicis 1869
E. De Amicis, Vita militare, Firenze, Successori Le Monnier (scheda redatta da M. Puopolo).

Del Bailo 1543
F. Del Bailo, Ricchezze della lingua volgare, Venezia, Paolo Manuzio (scheda redatta da M. Barbero).

Delfico 1804
M. Delfico, Memorie della Repubblica di San Marino, Milano, Francesco Sonzogno (scheda redatta da E. D. Manetti).

Della Torre 1755
G. M. Della Torre, Storia e fenomeni del Vesuvio, Napoli, Giuseppe Raimondi (scheda redatta da D. Zollino).

Della Torre di Rezzonico 1772-1773
C. G. Della Torre di Rezzonico, Discorsi accademici, Parma, Stamperia Reale (scheda redatta da R. Itin).

Dolce 1561
L. Dolce, Vita di Carlo Quinto, Venezia, Gabriel Giolito de’ Ferrari (scheda redatta da S. Dombois-Didak).

Doni 1551
A. F. Doni, Zucca, Venezia, Francesco Marcolini (scheda redatta da A. Casella).

Draghi 1591
B. Draghi, Primo libro delle villanelle, Venezia, Angelo Gardano (scheda redatta da A. Scalia).

Duranti 1996
F. Duranti Sogni mancini, Milano, Rizzoli (scheda redatta da A. Peterhans).

Fallaci 1974
O. Fallaci, Intervista con la storia, Milano, Rizzoli (scheda redatta da M. Ingletti).

Fogazzaro 1901
A. Fogazzaro, Piccolo mondo moderno, Milano, Hoepli (scheda redatta da S. Vallepulcini).

Fortini 1978
F. Fortini, Una volta per sempre, Torino, Einaudi (scheda redatta da R. Zucco).

Foscolo 1807
U. Foscolo, Esperimento, Brescia, Bettoni (scheda redatta da M. A. Terzoli).

Frezza 1614
F. Frezza, Massime, regole, precetti di stato e di guerra, Venezia, Evangelista Deuchino (scheda redatta da C. Henzi).

Gadda 1931
C. E. Gadda, Madonna dei filosofi, Firenze, Solaria (scheda redatta da N. Cassata).

Galilei 1632
G. Galilei, Dialogo sopra i massimi sistemi, Firenze, Giovan Battista Landini (scheda redatta da A. L. Puliafito).

Gioeni 1790
G. Gioeni, Saggio di litologia Vesuviana, Napoli, Stamperia Simoniana (scheda redatta da D. Zollino).

Giovannelli 1593
R. Giovannelli, Secondo libro di madrigali, Venezia, Angelo Gardano (scheda redatta da A. Scalia).

Giulini 1760
G. Giulini, Memorie di Milano ne’ secoli bassi, Milano, Giambattista Bianchi (scheda redatta da A. Staub).

Gozzi 1772
C. Gozzi, Marfisa Bizarra, Firenze [ma Venezia?], Paolo Colombani (scheda redatta da R. Itin).

Guarini 1604
G. Guarini, Pastor fido, Venezia, Giovan Battista Ciotti (scheda redatta da C. Battaglia).

Guglielmini 1697
D. Guglielmini, Della natura de’ fiumi, Bologna, Eredi d’Antonio Pisarri (scheda redatta da E. D. Manetti).

Lapini 1556
F. Lapini, Lettere toscane, Bologna, Anselmo Giaccarelli (scheda redatta da C. Schiavon).

Leopardi 1831
G. Leopardi, Canti, Firenze, Piatti (scheda redatta da M. A. Terzoli).

Leti 1669
G. Leti, Vita di Sisto Quinto, Losanna [ma Ginevra], Gloritio Gree [ma Gregorio Leti] (scheda redatta da S. Dombois-Didak).

Machiavelli 1537
N. Machiavelli Principe, Venezia, s.n. (scheda redatta da M. Molinari).

Maffei 1869
A. Maffei, Poesie scelte, Firenze, Successori Le Monnier (scheda redatta da P. Cucolo).

Maggi 1688
C. M. Maggi, Rime, Firenze, Stamperia di S.A.S. (scheda redatta da M. A. Terzoli).

Maironi da Ponte 1782
G. A. Maironi da Ponte, Storia naturale della Provincia bergamasca, Bergamo, Francesco Locatelli (scheda redatta da N. Ferrari).

Manni 1742
D. M. Manni, Istoria del Decamerone, Firenze, Antonio Ristori (scheda redatta da V. Vitti).

Mantegazza 1873
P. Mantegazza, Fisiologia dell’amore, Milano, Bernardoni e Brigola (scheda redatta da A. Scalia).

Manzoni 1822
A. Manzoni, Adelchi, Milano, Ferrario (scheda redatta da M. A. Terzoli).

Marenco 1873a
L. Marenco, Tecla − S. Antonio mediatore, Milano, Barbini (scheda redatta da E. D. Manetti).

Marenco 1873b
L. Marenco, Raffaello Sanzio, Milano, Barbini (scheda redatta da E. D. Manetti).

Marenco 1885
L. Marenco, Marcellina − Una fortunata imprudenza, Milano, Barbini (scheda redatta da E. D. Manetti).

Marenco 1900
L. Marenco, Celeste, Milano, Barbini (scheda redatta da E. D. Manetti).

Marino 1605 [1615]
G. B. Marino, Tempio, Parigi, Nicolas Jullieron (scheda redatta da E. Russo).

Marino 1638
G. B. Marino, La Lira, Venezia, Heredi di Gio. Salis (scheda redatta da M. Jovanovic).

Martelli 1546
N. Martelli, Primo libro di lettere, Firenze, Anton Francesco Doni (scheda redatta da C. Schiavon).

Mecatti 1752
G. M. Mecatti, Racconto storico-filosofico del Vesuvio, Napoli, Giovanni di Simone (scheda redatta da D. Zollino).

Michelessi 1791
D. Michelessi, Memorie intorno alla vita di Francesco Algarotti, Venezia, Carlo Palese (scheda redatta da E. D. Manetti).

Monti 1829
M. Monti, Storia di Como, Como, C. Pietro Ostinelli (scheda redatta da P. Cucolo).

Monti 1805
V. Monti, Beneficio, Milano, Luigi Veladini (scheda redatta da S. Garau).

Moretti 1924
M. Moretti, Romanzo della mamma, Milano, Treves (scheda redatta da S. Vallepulcini).

Muratori 1717
L. A. Muratori, Antichità estensi. Parte prima, Modena, Stamperia Ducale (scheda redatta da C. Müller).

Orsini 1903
G. Orsini, Terra ed astri, Roma-Torino, Nazionale (Roux e Viarengo) (scheda redatta da N. Lettera).

Palladio 1570
A. Palladio, Quattro libri dell’architettura, Venezia, Dominico de’ Franceschi (scheda redatta da P. Striebel).

Panzini 1920
A. Panzini, Viaggio di un povero letterato, Milano, Treves (scheda redatta da C. Taddei).

Parabosco 1551
G. Parabosco, Lettere famigliari, Venezia, Giovanni Griffio (scheda redatta da C. Schiavon).

Parini 1763
G. Parini, Mattino, Milano, Antonio Agnelli (scheda redatta da M. A. Terzoli).

Parrella 2007
V. Parrella, Verdetto, Milano, Bompiani (scheda redatta da G. Alborino).

Pascoli 1908
G. Pascoli, Canzoni di re Enzio. La canzone dell’Olifante, Bologna, Zanichelli-Paolo Neri (scheda redatta da B. Suter).

Pasolini 1959
P. P. Pasolini, Vita violenta, Milano, Garzanti (scheda redatta da F. Kunz).

Patriarchi 1775
G. Patriarchi, Vocabolario veneziano e padovano, Padova, Conzatti (scheda redatta da E. Eichberg).

Pergamini 1613
G. Pergamini, Trattato della lingua, Venezia, Bernardo Giunta, Gio. Battista Ciotti {et} compagni (scheda redatta da J. M. Müller).

Piccioli 1588
G. A. Piccioli, Canzonette a tre voci, Venezia, Giacomo Vincenzi (scheda redatta da A. Scalia).

Pierantoni-Mancini 1880
G. Pierantoni-Mancini, Lidia, Milano, Giuseppe Ottino (scheda redatta da C. Taddei).

Pirandello 1906
L. Pirandello, Erma bifronte, Milano, Fratelli Treves (scheda redatta da C. Weber).

Rajna 1890
P. Rajna, Corti d’Amore, Milano, Ulrico Hoepli (scheda redatta da E. D. Manetti).

Rea 1953
D. Rea, Ritratto di maggio, Verona, Mondadori (scheda redatta da G. Alborino).

Rolli 1727
P. Rolli, Canzonette e cantate, Londra, Tommaso Edlin (scheda redatta da R. Zucco).

Romano 1969
L. Romano, Parole tra noi leggere, Torino, Einaudi (scheda redatta da S. Urban).

Salfi 1802
F. S. Salfi, Elogio di Antonio Serra, Milano, Nobile e Tosi (scheda redatta da S. Garau).

Sannazaro 1533
I. Sannazaro, Rime, s.l., s.n. (scheda redatta da L. Nocito).

Sbarbaro 1914
C. Sbarbaro, Pianissimo, Firenze, Libreria della Voce (scheda redatta da C. Battaglia).

Sereni 1942
V. Sereni, Poesie, Firenze, Vallecchi (scheda redatta da N. Equey).

Spedalieri 1791
N. Spedalieri, Dei diritti dell’uomo, Assisi, s.n. (scheda redatta da R. Weber).

Stampa 1554
G. Stampa, Rime, Venezia, Plinio Pietrasanta (scheda redatta da L. Nocito).

Tansillo 1538
L. Tansillo, Stanze in lode de la menta, s.l., s.n. (scheda redatta da M. Molinari).

Taramelli 1903
T. Taramelli, Tre laghi, Milano, Sacchi e figli (scheda redatta da C. Taddei).

Tasso 1582
T. Tasso, Messaggiero, Venezia, Bernardo Giunti e fratelli (scheda redatta da I. Jukopila).

Tesauro 1670
E. Tesauro, Cannocchiale aristotelico, Torino, Bartolomeo Zavatta (scheda redatta da T. Radici).

Tommaseo 1841
N. Tommaseo, Nuova proposta, Venezia, co’ tipi del Gondoliere (scheda redatta da B. Suter).

Torelli 1603
P. Torelli, Galatea, Parma, Erasmo Viotti (scheda redatta da B. Bouquet).

Torelli 1605
P. Torelli, Polidoro, Parma, Erasmo Viotti (scheda redatta da B. Bouquet).

Toscanella 1626
O. Toscanella, Istituzioni grammaticali, Venezia, Pietro Miloco (scheda redatta da I. Del Curto).

Ungaretti 1949
G. Ungaretti, Povero nella città, Milano, Edizioni della Meridiana (scheda redatta da M. Ingletti).

Verri 1783
P. Verri, Storia di Milano, Milano, Giuseppe Marelli (scheda redatta da R. Weber).

Vivenzio 1783
G. Vivenzio, Istoria e teoria de’ tremuoti, Napoli, Stamperia Regale (scheda redatta da D. Zollino).

Zanotti 1724
G. Zanotti, Didone tragedia con altre poesie, Bologna, Costantino Pisarri (scheda redatta da E. D. Manetti).