Il quartodecimo libro di lettere dedicatorie di diversi (Bergamo 1603)
a cura di Anna Laura Puliafito
Il Quartodecimo libro di lettere dedicatorie di diversi raccoglie 17 dediche su un totale di 27 carte. Come di consueto, su carte non numerate compaiono in apertura la dedica complessiva del libro, e, in calce, gli elenchi dei Personaggi, a’ quali sono dedicate le Lettere e degli Autori delle Dedicationi.
Con una lettera datata «l’ult[imo] Ottobre 1603», il volume è offerto, a Giovanbattista Biffi, membro di una nota famiglia bergamasca, che quasi «da Prencipe mercatando», porta «e con le merci, e con le lettere, e con ogni lode di industrioso intelletto, e mani, il nome di Bergamo per il mondo» (cc. n.n., ma [1*r]-[3*r]). Luogo di incontro di lettere e negozi, è proprio la città di Bergamo, questa volta, la vera dedicataria del volume (cfr. «Margini», 5, 2011):
A te dunque felicissima Bergamasca, piena di popolo, e Terre maggiori di molte città, colma di negotij, feracissima d’huomini di singolar valore in voce e carta, nel maneggio d’ogni traffico, amicissima dell’industria, capital nemica dell’otio, in questo raro soggetto de Biffi, dedico questo volume di Dedicatorie, acciò sappiasi per il mondo che quella forza, che in se ha naturalmente congionta, e benignamente dispensa con le sue influenze il Pianeta de i Dotti, e Mercanti, deve congiunger etiandio la lode de’ Bergamaschi, stupendi nello scrivere e trafficare. (cc. [2*v]-[3*r]).
La maggioranza delle opere considerate riguarda testi letterari, con una presenza prepoderante di testi poetici (7 su 12). Tre sono i testi di argomento morale in senso lato. La serie è chiusa da un epistolario.
Spicca per la celebrità del testo e dell’edizione la dedica di Febo Bonnà gentiluomo ferrarese al Duca Alfonso II d’Este, «Di Ferrara, il dì 20. di Luglio 1581» (cc. 3r-4r), della ristampa della prima edizione, ferrarese, della Gierusalemme Liberata di Torquato Tasso (cfr. «Margini», 1, 2007; 2, 2008; 4, 2010; 6, 2012). Questa prima edizione uscì inizialmente il 25 giugno presso Baldini; la data in calce alla lettera mostra però che il Comino fa riferimento alla ristampa uscita per i tipi degli eredi di Francesco de’ Rossi (Gierusalemme liberata. Poema Heroico del signor Torquato Tasso. Tratta dal vero originale, con aggiunta di quanto manca nell'altre edittioni, con l’Allegoria dello stesso autore et con gli argomenti a ciascun canto del signor Horatio Ariosti [...], In Ferrara, [Vittorio Baldini] appresso haer. Francesco II Rossi, 1581).
Ma la prima dedica che compare nel xiv libro è quella, da Milano, di Giulio Bidelli a Margherita d’Austria del centone petrarchesco Dugento stanze con dui capitoli tutte de versi del Petrarca. Raccolte da Messer Giulio Bidelli, Con privilegii, 1551 (c. 1r-v). Nel volume del 1551 la dedica di Bidelli è seguita da una dedica a Bidelli di Pietro Aretino e da una allo stesso di Latino Iuvenali. In alcuni esemplari la breve nota altrimenti anonima A chi legge, è attribuita al Marcolini (Il Marcolini a chi legge). Il volume conobbe una seconda edizione nel 1563, in cui compaiono gli stessi paratesti. Minore fortuna ebbe la raccolta dello stesso anno di rime originali (Diverse Rime di Messer Giulio Bidelli, Con Privilegii, 1551) offerta da Bidelli da Venezia a Ippolita Gonzaga (c. 2r-v).
Seguono le Rime di M. Giacomo Zane (In Venetia, 1562, appresso Domenico, & Gio. Battista Guerra), dedicate dal curatore Dionigi Atanagi al giovane Carlo Pesaro (cc. 4v-6r), rampollo di una della grandi famiglie patrizie veneziane appartenenti alle cosiddette Case Nuove. Il volume esce postumo, commissionato dal fratello di Giacomo, Nicolò. Di Atanagi (cfr. «Margini», 2, 2008) viene riprodotta anche la dedica «Di Venetia, il primo d’Agosto 1561») alle celebri Rime di diversi in morte di Irene di Spilimbergo (Rime di diversi nobilissimi, et eccellentissimi autori, In morte della Signora Irene delle Signore di Spilimbergo [...], In Venetia, Appresso Domenico, & Gio. Battista Guerra fratelli, 1561), dedicate ad un’altra nota nobildonna italiana, la signora Claudia Rangona, allora sposa di Giberto da Correggio (cc. 10r-12r).
L’ultimo testo poetico che compare nella raccolta cominiana sono le Rime del Burchiello. Dapprima viene presentata la dedica di Anton Francesco Doni, curatore del volume, a Jacopo Tintoretto (cc. 14r-15r), «di Vinegia, adì 5. di Marzo. 1553». Negli anni Cinquanta Doni (cfr. «Margini», 6, 2012; 9, 2015) e Tintoretto sono in stretto contatto: il pittore viene citato nei Marmi (1552) ed è membro, nel 1553, dell’Accademia Pellegrina. È allora che decide di mandare in regalo a Doni un suo ritratto; Anton Francesco ricambia dedicandogli queste Rime (Rime del Burchiello comentate dal Doni, In Vinegia, per Francesco Marcolini, 1553; esse verranno ristampate da Francesco Rampazetto nel 1566). Dall’edizione pubblicata a Vicenza nel 1597 (Rime del Burchiello fiorentino commentate dal Doni [...], In Vicenza, per gli heredi di Perin libraro, 1597), Ventura trae invece la dedica del curatore, Giuseppe Umbellotti, al patrizio veneziano Pietro Giustiniani (cc. 20v-21r).
La sezione più strettamente letteraria presenta inoltre una serie di dediche dei Dialoghi piacevoli di Nicolò Franco (cfr. «Margini», 8, 2014). Principalmente Ventura riprende l’edizione espurgata del 1590 (Dialoghi piaceuolissimi di Nicolò Franco da Benevento; con permissione de' superiori. Espurgati da Girolamo Gioannini da Capugnano Bolognese, In Vinegia, presso Altobello Salicato, alla libraria della Fortezza, 1590). Da qui è ripresa la dedica di padre Girolamo Giovannini (cfr. «Margini», 8, 2014; 9, 2015), domenicano priore a Venezia e dal 1596 Inquisitore a Vicenza, ad Annibale Ruccellai, vescovo di Carcassone (c. 6r-v). La scelta è dettata, tra le altre cose, dalla similitudine rilevata con il dedicatario della princeps dei Dialoghi, Leone Orsini (Dialogi piacevoli di m. Nicolo Franco, Venezia, apud Giovanni Giolito De Ferrari, 1539), anch’egli alto prelato italiano nominato in una diocesi d’oltralpe, in quanto vescovo di Frejus. La dedica a lui dello stesso Franco, «Di Venetia. Nel mese d’Agosto 1539”, compare di seguito a quella del Giovannini (cc. 8r-9v), nella stessa posizione occupata nel volume del 1590. Dalla stessa edizione del 1590 sono tratte altre tre dediche del Franco. Si tratta di quella che introduce il Dialogo Terzo, «Nel quale si fa beffe delle Chimere, et delle Alchimie, da alcuni trovate per haver fama», a Giovambattista Ludovici, da identificare con tutta probabilità con uno dei segretari della Signoria (cc. 12v-13v). Segue quella che introduce il Dialogo Nono, «Nel quale il Filosofo, et il poeta contendono sopra la presidentia», offerto a Benedetto Agnello, ambasciatore Mantovano a Venezia. Agnello, amico del Franco quanto dell’Aretino, viene scelto come possibile giudice della discussione perché conterraneo di Virgilio e, per altro verso, filosofo lui stesso. L’ultima delle dediche di Franco riportate da Ventura è quella a Giovan Tomaso Bruno del Dialogo Ottavo, «Nel quale promette d'insegnare con ogni facilità, tutte le arti, tutte le scienze, et il vero modo di ascendere a tutti i gradi». Tutte e tre le lettere sono datate «Di Venetia, del Mese d’Agosto 1539».
Due le opere di carattere morale citate nel Quartodecimo libro. Dapprima il volgarizzamento della Vita dell’Huomo Christiano attribuita al Padre Serafico, San Bonaventura (Trattato dell'huomo interiore, cioè Cominciamento del profitto, e della perfettione della regolata vita del seruo di Dio. Del serafico S. Bonaventura dottore di santa Chiesa. Nouamente volgarizzato, e dato in luce, In Napoli, appresso Horatio Salviani, 1590). È lo stesso autore della traduzione, padre Agostino Castello ad offrirla ad un altro francescano, Francisco de Tolosa, con una lettera «Da Santa Maria la Nova di Napoli, li 19 di Giugno. 1590» (cc. 15v-16r). Castello afferma che il lavoro gli è stato commissionato dal Ministro Generale dell’Ordine e vescovo di Cefalù Francesco Gonzaga. Egli afferma inoltre che Pietro di San Martino, «Theologo dottissimo dell’Arcivescovo di Napoli» ha rivisto l’opera prima della pubblicazione confermandone l’attribuzione a Bonaventura. Tuttavia oggi il testo è riconosciuto come opera di fra’ David de Augusta, teologo francescano morto nel 1272.
La seconda opera morale cui viene fatto rifermento (cc. 19v-20r) è la Scala naturale, ouero Fantasia dolcissima di Gio. Camillo Maffei da Solofra, intorno alle cose occulte, e desiderate nella filosofia. Uscita per la prima volta a Venezia,«per Gio. Varisco, e compagni» nel 1564, l’opera venne riproposta dall’editore sul mercato almeno altre cinque volte entro il 1600. Si tratta di una visione di elevazione, cui Maffei, medico, filosofo e musico morto dopo il 1573, afferma di non aver apportato altri cambiamenti, se non la divisione in capitoli «accioche il leggere non apporti noia». Nella lettera, «Di Napoli il dì 2. Di Decembre. 1563», il dedicatario Don Giovanni di Capua è celebrato come ispiratore della visione.
A questi testi si aggiunge infine il Sommario di tutte le scienze del magnifico messer Domenico Delfino, nobile vinitiano dal quale si possono imparar molte cose appartenenti al uiuere humano & alla cognition di Dio. Con la tauola, & le postille delle cose piu notabili, In venetia per ordine di Francesco Sansovino 1568. L’opera era uscita una prima volta sempre a Venezia nel 1556 (Sommario di tutte le scientie, del Magnifico M. Domenico Delfino, nobile venetiano. Dal quale si possono imparare molte cose appartenenti al vivere humano, et alla cognition de’ Dio, In Vinegia, appresso Gabriel Giolito de’ Ferrari), e venne successivamente ristampata. Si tratta in realtà del volgarizzamento della Visión deleytable de la philosophia et de las otras sciençias, di Alfonso de la Torre, «impremido en la muy noble et leal çibdad de Tholosa, por los muy discretos maestros Juan Parix et Estevan Clebat, 1489». L’opera venne ripubblicata una prima volta nel 1526 (Alfonso de la Torre, Visión delectable de la philosophia et artes liberals, metaphisica, y philosophia moral, Sevilla, por Jacobo Cromberger aleman et Juan Cromberger), e poi tradotta dal Delfino, sotto il cui nome prese a circolare non solo in Italia. Le dediche riprodotte sono due: quella di fra’ Nicolò Croce a Cristoforo Mandruzzi, cardinal di Trento e governatore di Milano, già presente nella prima edizione italiana e datata «Di Venetia il dì primo di settembre 1556» (cc. 23r-24v); e quella di Francesco Sansovino (cfr. «Margini», 3, 2009; 4, 2010; 8, 2014) a Bartolomeo Sacco, senza data (cc. 16v-17v). Croce afferma di essere al servizio di Marco Delfini, «figliuolo del detto Autore dell’opera», e di averne ricevuto proprio da lui in dono il testo, con la facoltà di dedicarlo a un personaggio di spicco. Sansovino coglie l’occasione di dedica per omaggiare e stringere più stretto legame di amicizia con lo Zacco (così anche nei volume originali), nobile padovano, autore di sonetti noto nei circoli letterari veneziani e autore anche di una storia di Padova rimasta inedita, e nominata anche nella dedica.
Resta da citare la dedica del letterato milanese Bartolomeo Ichino a Luigi di Castiglia (c. 22r-v), premessa all’edizione postuma delle Lettere di Giuliano Goselini, Secretario già di D. Ferrante Gonzaga in Milano: Poi del Re Catholico, appresso gli altri Governatori, et Capitani Generali in questo Stato, et in Italia [...], In Venetia, Presso Paolo Megietti, 1592. La lettera di dedica, che reca qui la data «Di Milano, il primo di Genaro 1592» compariva già nel Sesto Libro della raccolta del Ventura, dove era però datata «Di Milano, il primo Di Genaro 1602» (cfr. «Margini», 5, 2011). Ichino, già al servizio del Gosellini poi morto nel 1587, ne aveva celebrata la memoria anche con il Mausoleo di poesie volgari, et latine, in morte del sig. Giuliano Gosellini. Fabricato da diuersi poeti de' nostri tempi, In Milano, appresso Paolo Gottardo Pontio 1589.
Bibliografia
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A. L. P.