Il terzodecimo libro di lettere dedicatorie di diversi (Bergamo 1603)
a cura di Anna Laura Puliafito
Il Terzodecimo libro di lettere dedicatorie di diversi raccoglie 13 dediche su un totale di 26 carte. Come di consueto, su carte non numerate compaiono in apertura la dedica complessiva del libro, e, in calce, gli elenchi dei Personaggi, a’ quali sono dedicate le Lettere e degli Autori, da’ quali sono tolte le Lettere.
Nel suo complesso il volume è offerto, con una lettera datata 6 settembre 1603, a Giovanmarco Giovanelli (cc. n.n. [ma 1r] -2v]). Elemento unificatore del nuovo «aggregato di Lettere» è questa volta l’utilità comune che viene dall’esercizio della stampa e della mercatura: dopo non solo teologi, filosofi, legisti, e altri letterati, ma anche cavalieri e uomini d’arme, Comino si rivolge al Giovanelli come esponente di spicco dei «grandi Negotiatori e persone di gran ricchezze, e traffici». La dedica costituisce così una sorta di lode della mercatura libera da frodi e inganni, in cui l’utile si lega con l’onesto: un esercizio del commercio le cui casse si fanno «erario de’ Prencipi, e Regi».
La raccolta vede la prevalenza di opere poetiche, di intrattenimento e insegnamento morale. In apertura è la dedica di Giovan Mario Verdizotti a Vincenzo Gonzaga, duca di Mantova e del Monferrato (cfr. «Margini», 3, 2009; 5, 2011; 6, 2012; 7, 2013; 8, 2014), datata 26 gennaio 1599 (cc. 1r-4v), delle fortunatissime Favole morali, «cento Apologhi» di scrittori diversi, illustrati e ridotti in versi nelle forme ritenute dall’autore «più convenevoli in questa nostra commune favella» (Cento favole morali. De i piu illustri antichi, et moderni autori greci, et latini, scielte, et trattate in varie maniere di versi volgari da m. Gio. Mario Verdizzotti; nelle quali oltra l'ornamento di varie e belle figure, si contengono molti precetti pertinenti alla prudenza della vita virtuosa et civile. Novamente ampliate dall’istesso autore, In Venetia, appresso Alessandro de’ Vecchi, 1599). L’opera conobbe almeno sei edizioni entro il 1600, e altrettante entro il 1700. L’editio princeps era uscita a Venezia presso Ziletti nel 1570, con una dedica a Giulio Capra dottore in legge a Vicenza, ripresa nella dedica del 1599 con la sostituzione solo dell’ultimo paragrafo.
Al genere delle raccolte di motti e facezie appartengono L’hore di ricreatione (In Anversa, appresso di Guglielmo Silvio stampatore regio, 1568) che Lodovico Guicciardini dedica al Duca di Seminara, da identificare con Carlo II Spinelli (cc. 8v-9v). Impegnato nel lavoro di edizione della Storia d’Italia dello zio Francesco (che tuttavia non riuscirà mai a pubblicare), Lodovico è noto per le sue opere storico-geografiche, dedicate in particolare ai Paesi Bassi dove visse per gran parte della sua vita. L’hore di ricreatione ebbero un enorme successo, tanto da conoscere 27 edizioni tra Cinque e Seicento, oltre a numerose traduzioni. A queste sono da aggiungere le 17 edizioni veneziane pubblicate entro il 1613 sulla base di un testo pirata edito da Francesco Sansovino, che nel 1563 aveva ricevuto il manoscritto dall’autore stesso. Sansovino aveva mutato il titolo in Detti et fatti piacevoli et gravi di diversi principi, filosofi, et cortigiani. Raccolti dal Guicciardini, et ridotti a moralità, e l’opera era uscita a Venezia nel 1565 presso tre diversi stampatori, Alessandro Vian, Domenico Nicolini e Giorgio Cavalli. Comino fa seguire alla dedica al Duca la dedica A’ Lettori (cc. 10r-11v), in cui Guicciardini chiarisce alcuni dei criteri adottati nella raccolta, che riunisce tradizione scritta e orale, di autori antichi e moderni, noti e no, in una «ghirlanda» cui, «per variare», è aggiunto «qualche fioretto selvaggio, di poco odore, pur che il colore fusse leggiadro, et vivo» (c. 10v). Agli «apologhi, parabole, facetie, essempi, proverbi et motti sententiosi» si affiancano «versi d’eccellenti Poeti Italiani e Latini», questi ultimi talvolta tradotti dallo stesso Guicciardini. Tutto il materiale è diviso per «caso, o cosa narrata» e introdotto da «un qualche titolo, che sustantialmente ammonisce il lettore, et gli desse subito lume di tutta la cosa, dimostrando sententiosamente che fine ella tende, et qual frutto partorisca» (c. 11r). La lettera si conclude invitando i lettori ad esprimere apertamente eventuali critiche, a beneficio comune (c. 11v).
Due delle dediche sono preposte a favole pastorali: quella d’autore datata 9 agosto 1602 (cc.17r-18v) de La pastorella regia, fauola tragica boschereccia, di Giovanmaria Guicciardi da Bagnacavallo dedicata dall’autore alla 'ill.ma sig. Livia Obizzi de’ Turchi marchesa d’Arriano sua signora' (In Ferrara, per Vittorio Baldini stampator camerale, 1602), e quella di Francesco Contarini a Ferdinando Granduca di Toscana, «Padova 10 marzo 1598», de La fida ninfa fauola pastorale di Francesco Contarini prencipe dell’Accademia Serafica, che nel 1598 veniva pubblicata contemporaneamente a Padova, presso Francesco Bolzetta e a Venezia, presso Giacomo Vincenti (cc. 25v-26v).
L’ambito propriamente teatrale è richiamato attraverso due commedie e due tragedie. A Pietro Capponi, gentiluomo fiorentino, Jacopo Doronetti − che Tommaso Stigliani definisce un «ignorante Vicentino, ma che fu autore di madrigali e di un dialogo pastorale» − offre (cc. 14r-15r) Il cavallarizzo comedia ingegnosa del sig. Luigi Tansillo nuovamente posta in luce. Dedicata al M. illustre sig. il sig. Pietro Capponi (In Vicenza, per Giorgio Greco, ad instanza di Pietro Bertelli, 1601). Nella lettera Doronetti insiste sulle doti di Tansillo, che, afferma, «fu uno dei primi, che poiche il mondo abbellì di molti suoi componimenti, fece questa Comedia ingegnosa, come ingegnoso ch’egli era a maraviglia» (c. 14v). In effetti l’operazione editoriale che portò alla stampa vicentina fu un clamoroso falso, come già riconosciuto dai letterati settecenteschi. La commedia non è infatti che Il Marescalco di Pietro Aretino (In Vinegia, per Bernardino de Vitali, 1533), mutato nel titolo e nel nome dei personaggi. La stessa operazione venne effettuata per altre due commedie di Aretino, Lo Hipocrito (Impressa in Vinetia, per Francesco Marcolini, il mese di marzo 1542) e Il Filosofo (In Vinegia, appresso Gabriel Giolito de Ferrari, 1546), presentate nello stesso 1601 e presso lo stesso stampatore con il titolo, rispettivamente, di Il finto comedia leggiadra e Il Sofista comedia bellissima, entrambe attribuite a Tansillo e dedicate a Pietro Capponi.
Una lettera del 12 febbraio 1572 introduce quello che Comino indica come Duello d’amore e d’amicizia, riportando in realtà solo il sottotitolo della commedia di Sforza degli Oddi L'Erofilomachia, overo il duello d’amore, et d’amicitia, comedia nuova, de l’eccellentiss. dottor di leggi m. Sforza d’Oddo gentil’huomo perugino. Ad instantia de Luciano Pasini (In Perugia, per Valente Panizza stampator publ., 1572). La dedica, che nella raccolta si conclude con l'indicazione della data (cc. 20v-23r), è attribuita da Comino all’autore. In effetti è redatta da Giulio Baldeschi, la cui firma è riscontrabile nel volume originale. Baldeschi afferma di voler dare alle stampe l’opera per dovere d’amicizia, poiché essa «già in diversi luoghi pubblicata, et in mano di molte persone, dove aveva perso il suo vero e natio colore [...] per il costume degli huomini sempre cupidi di novità, andava a gran pericolo d’esser senza altra lima di buon’artefice mandata in luce, et esposta alle riprensioni de gli huomini» (c. 21r). Il riferimento è con ogni probabilità alla circolazione manoscritta del testo, la cui princeps è datata dalla critica proprio al 1572. La commedia, di cui si sottolinea la funzione etica («riceva […] questa piacevole e bella compositione, la quale a guisa di lucidissimo specchio rappresenta a noi i varij, e diversi capricci degli huomini, e con artificiose figure n’insegna il prudente, e vero modo del vivere», c. 23r), venne più volte ristampata fino ai primi del Seicento, ed è proprio alla sua attività di commediografo che resta maggiormente legato il nome di Sforza degli Oddi, ai suoi tempi noto dottore in legge e professore di diritto in varie università italiane, tra cui Perugia, Macerata, Pisa, Pavia, Padova.
Lodovico Dolce (cfr. «Margini», 3, 2009; 8, 2014) firma la dedica della sua Ifigenia, datandola 1 marzo 1551 (Ifigenia. Tragedia di m. Lodouico Dolce, In Vinegia, appresso Gabriel Giolito de’ Ferrari e fratelli, 1551). L’opera viene offerta a Giovan Bernardino Bonifacio, Marchese d’Oria (cc. 19r-20r), già dedicatario di un’opera di Paolo Manuzio e di Lelio Carani, entrato in contatto con i circoli eterodossi basileesi e amico di Bonifacio Amerbach.
Dello stesso Dolce è anche la lettera di dedica delle Prose di Pietro Bembo (cfr. «Margini», 5, 2011; 6, 2012) a Pietro Gradenigo (già dedicatario dell’edizione Giolito del 1561), che potrà così «adornare il suo studio» (cc. 15v-16v) con questa nuova stampa (Le prose di m. Pietro Bembo nelle quali si ragiona della volgar lingua, scritte al cardinal de’ Medici, che poi fu creato a sommo pontefice, & detto papa Clemente VII. Diuise in tre libri, e di nuouo aggionte le postille nel margine, e reuiste con somma diligenza da m. Lodouico Dolce. Con la tauola, In Venetia, appresso Girolamo Scotto, 1563) oltre a quella delle Rime e degli Asolani.
La seconda tragedia considerata dal Comino è la celebre Sofonisba del Trissino (La Sophonisba del Trissino. Stanpata [!] in Roma, per Lodovico vicentino scrittore, e Lautitio Perugino intagliatore, 1524 del mese di luglio), prima tragedia regolare, dunque secondo i canoni aristotelici, composta tra il 1513 e il 1514, ma pubblicata solo dieci anni dopo. La dedica è firmata da Gian Giorgio Trissino (cfr. «Margini», 2, 2008) e rivolta a papa Leone X (cc. 23v-25r). Nel presentare l’opera, tra le altre cose, Trissino insiste, quasi scusandosi, sull’uso della lingua volgare e sul «non havere ancora secondo l’uso commune, accordate le rime, ma lasciatele libere in molti luoghi». La ragione che lo avrebbe spinto verso il volgare, sarebbe la volontà di far intendere la tragedia in tutte le sue parti al popolo, una volta che essa venga rappresentata sui palcoscenici italiani, così da potere coglierne appieno «utilità, et diletto» (c. 22v).
Tre sono i motivi dichiarati che spingono Girolamo Parabosco (cfr. «Margini», 6, 2012) a offrire con una lettera del 12 giugno 1545 (così andrà corretto il testo presentato nella raccolta, c. 12r-v) a Gottardo Occaña (Occagna), commerciante di origine spagnola, la princeps delle sue fortunatissime lettere amorose (Lettere amorose di m. Girolamo Parabosco, In Vinegia, appresso Gabriel Giolito de' Ferrari, 1545): il gran diletto procurato all’Occaña dalla lettura di opere in volgare, la «servitù» e l’«amore» dovuti al «nobile e generoso Signore», e infine l’auspicio che egli possa conoscere che non si tratta di descrivere le «amorose imprese» o «muover pietà nell’altrui core», quanto piuttosto di «disacerbare il dolore» (c. 12v).
Le ultime due dediche appartengono in senso lato a opere di formazione. Si tratta della lettera dell’autore, Orazio Lombardelli senese (cc. 13r-v), che presenta Il giovane studente d’Oratio Lombardelli senese, Tranquillo Umoroso. Nel quale con bellissimi discorsi si ammaestra un giovine, quasi dalle fasce, fin al tempo di darsi ad una professione. Con la sua tavola copiosissima (In Venetia, presso la Minima Compagnia [Francesco Uscio] 1594) al nipote Leonardo Lombardelli (cfr. «Margini», 3, 2009). Spinto, come egli dichiara, da Patrizio Patrizi, egli raccoglie alcuni Discorsi sotto un titolo comune, in cui il termine «giovane» vuole riferirsi ai «principianti» che potranno «cavarne piena istruzzione», mentre il termine «studente» si riferisce ai lettori più «introdotti». Nel volume la dedica del Lombardelli, datata 25 giugno 1591, è preceduta da quella di Antonio Venturini da Sebenico a Matteo Priuli, vescovo di Vicenza, del 17 giugno 1594.
L’ultima epistola, indirizzata a papa Sisto V e datata primo gennaio 1589 (cc. 5r-8r), si riferisce ai Discorsi della penitenza, sopra i Sette Salmi Penitentiali di Dauid. Di m. Nicolò Vito di Gozze, gentil’huomo Raguseo. Ne quali, oltre a la piena cognitione della salutifera Penitenza, si confutano alcune opinioni de gli heretici; & particolarmente in materia della predestinatione. Con la tavola delle cose notabili. Alla santita di n.s. papa Sisto V (In Venetia, presso Aldo, 1589), composti, afferma l’autore, mentre infuriava una epidemia di peste. Il Gozze (Nikola Vitov Gučetić, cfr. «Margini», 6, 2012), personaggio di spicco degli ambienti intellettuali ragusei, coglie l’occasione per confermare al papa la devozione e l’ortodossia della sua città, ripercorrendo per sommi capi la storia di «questo picciol angol della Dalmazia» (c. 8r).
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A. L. P.